racconto

Una parte di te e di me

Un incontro in chat visto al maschile e al femminile

Una parte di te e di me

Un incontro in chat visto al maschile e al femminile

INTRODUZIONE

La prima parte è stata scritta da Diego (un mio amico, conosciuto su fb), e quindi, nella sua parte, si ha una visione un pò maschilista e direi sgrezza del mondo delle conoscenza in chat, a mio parere, cmq rappresentativa. Penso che, la maggior parte delle persone, soprattutto di sesso maschile, un’incontro in chat la vedano in maniera pressochè unitaria e semplicistica. La seconda parte (scritta da me), da una visione di un’incontro che non si ferma alle apparenze e alle soddisfazioni terrene, ma vuole andare oltre, alla ricerca di un qualcosa di più profondo e non banale.

Visti separatamente, questi due racconti, non hanno quell’esaltazione del contrasto tra il maschile e femminile, che si percipisce, invece, se le due opere vengono considerate insieme…due visioni diverse della stessa trama.

Il linguaggio colorito e non sempre ricercato della prima parte, viene mitigato dalle riflessioni della seconda. Nel contrasto, allora nasce una sorta di compensazione.

Olga Orlovskaia

Prima parte

Quel giorno ero su di giri. Non ricordo perché, ma era uno dei pochi giorni in cui so essere espansivo, aggressivo, molesto e, perché no, normale..

Quel giorno vidi sul profilo di un amico su Facebook, la foto di una ragazza che mi stregò sin dal primo momento. Sonia, si chiamava. Chiare origini russe, cognome da vodka, sguardo profondo e glaciale, capelli rigorosamente biondi e piglio da bond-girl.

Le chiesi l’amicizia, come ho fatto per tante altre stragnocche trovate qua e là, rivelatesi poi, ovviamente, rigorosamente e fortunatamente finte e di conseguenza cancellate.

Nel suo caso non fu così. Un giorno, cercando di portare nuovi iscritti ad un goliardico fan club dedicato ad un amico figa-dipendente, le scrissi qualcosa del tipo: “ Dai, unisciti a noi!” E poi, non riuscì a trattenere un: “ Lo sai che sei una gran gnocca?” Che chi mi conosce, stenterebbe a credere sia uscito dalla mia bocca. Ovviamente nessuna risposta, ma una sera la trovo on-line. Giusto due chiacchiere di cortesia, forse mi scappò di nuovo il mio apprezzamento inusuale, non ricordo. Finì lì, con la sola novità e certezza che la “gnocca che viene dal freddo” era vera, in carne ed ossa.

Poi, il suo profilo si animò, ovvero, alcuni miei amici mi chiesero all’unisono: “ Ma chi è quella topa, tua amica?” A questo punto ci voleva una bella indagine. Chiesi all’amico dove la trovò e se Sonia era vera . “Certo!”, mi disse, “E’ proprio vera!” Fu l’inizio della fine.

Passarono alcuni giorni. Poi, una sera solitaria di cazzeggio su internet, mentre cercavo di organizzare le vacanze estive in Cina, mi cadde l’occhio su chi era on-line. Eccola lì, “ragazza dagli occhi di ghiaccio”, preso da un’incontenibile smania erotica vado a curiosare sul suo profilo, le sue foto, i suoi interessi. Nulla di speciale..Nulla del tipo: “Mi sono iscritta al gruppo, mi piace il bukkake, per sembrare trasgressiva ed avere tanti amici maschi.” Una persona normale. Normale??? Beh, fossero tutte così normali..Insomma, era lì, attaccai il discorso. Mi rispose. Dopo una decina di domande sul clima, la crisi, lo stato di salute ed i gusti alcolici, con ovvie risposte vuote ed inutili, stavo quasi per congedarmi, quando mi viene in mente “Facciamo un gioco?,”

“Dai, di che tipo?”

“Io ti propongo due alternative, tu ne scegli una.”

“Dai proviamo.”

“Mare o montagna?”, butto lì, tanto per vedere se ha capito;

“Mare e montagna.” Vedo che non ha capito.

“Tocca a te, fammi una domanda.”

“Su o giù?”

Mmmh. Dove vuole arrivare questa?

“ su..ovvio no?!!”,dico, tanto per far vedere che anch’io sono di indole democristiana.

La fine era ormai vicina.

Un’ora di gioco mi fece andare a letto con il mal di testa e le tempie che pulsavano. Le tempie, dicevo. Mi chiesi dove voleva arrivare, e chi ero…Pensai poi, che non era il caso di farsi troppe domande ed andai a dormire.

La sera dopo, rieccola.

Freddina, si parla di noi (presi singolarmente), si filosofeggia. Le faccio complimenti per il suo aspetto, non ne ricevo nemmeno per la mia simpatia ( il classico eufemismo per dire “non mi piaci”). Scatta il primo allarme. Però mi dice: “ Vorrei conoscerti, vorrei scrivere un libro con te, vorrei andare in Tibet con te. Con me? Beh, se somigli a quella della foto ti ci porterei anche, ma dovresti pagare un prezzo.. E via coi più torbidi pensieri maschili. Ripreso temporaneamente il controllo del neurone solitario che vive nell’ampio monolocale che ho tra le spalle, le butto lì una bomba a mano innescata: “ Sonia, ti voglio conoscere.” “ Ci vediamo lunedì a Genova davanti al veliero, dall’ Acquario.”, mi risponde. Minchia..E ora ci devo andare? Non ci andai. Non perché non ebbi il coraggio, ma perché mi scrisse una mail in cui si scusava, ma il suo bambino stava male e doveva andare a prenderlo a scuola. Secondo allarme. Scusa banale. Ci ha ripensato. Ormai che me ne ero fatto una ragione ed avevo trovato il coraggio ..Mi chiese però il mio numero di cellulare, che io non avevo voluto darle, dicendo, che se il destino non voleva ci fossimo incontrati, non volevo saperlo da un messaggio, ma scoprirlo di persona. Che coglione..

 

Mi diede il suo numero (qual gesto magnanimo e democratico!), le inviai un SMS al quale non ebbi come da copione risposta. Mi promisi di non scriverle più sul telefonino.

Due giorni dopo, mi butta lì, un: “Dai, allora, ci vediamo?” Maledizione al lavoro, devo passare tutta la settimana sballottato per l’Italia, non si può proprio. E ancor peggio, è che, non la vedo mai on-line. Non mi scrive e-mail, non risponde ad un SMS che mi era scappato a causa dello sconforto della solitudine in una fredda serata calabrese. Le scrivo una breve e-mail da scocciato: “Mi sento inutile ed inopportuno come un lavavetri davanti ad un autolavaggio.” Tanto per farle capire che non mi sembra carino il fatto di non ricevere mai risposta. Torno a casa sconfitto. Il lavoro è andato bene. Sonia l’ho persa…”Sconfitto un cazzo!” ,io dico, “Il lavoro è andato bene solo a me e a pochi altri in questo periodo. Che Sonia si fotta!”

E manco a farlo apposta, rieccola ricomparire. “ Ciao, allora il nostro progetto del libro parte o no? Su dai, comincio a sentirmi ispirata, dai, vediamoci che ne parliamo.” Le mie tempie ricominciano a pulsare, ed entrano con le pinne, fucile ed occhiali nelle sabbie mobili.

“Devo andare a Sanremo domani, passo dalle tue parti verso le 17. Ce la fai?”, scrivo speranzoso in una mail, dopo che l’ennesimo SMS sfuggito, non ha avuto esito.

Dopo qualche ora ricevo la sua risposta, il mio telefono cinguetta: Messaggio da Sonia”. Lo apro:”Ce la faccio Diego. Ci vediamo.”

Devo a questo punto puntualizzare che una delle tante cose che mi fanno andare in bestia è quando le persone non rispondono ad una comunicazione. Passi per il lavavetri al semaforo ( ma in fondo, che ci costerebbe dire “No, grazie”, invece di girarci dall’altra parte sbuffando e tentando di schiacciarli tra le macchine?), passi per il testimone di Geova alle nove della domenica mattina ( ma a quello normalmente si risponde, eccome!!!), ma al sottoscritto, che ti dice qualcosa, con qualsiasi mezzo, non rispondere, è proprio un peccato mortale! La cosa, mi fa incazzare, ma me la tengo, tanto il silenzio vuol dire “No”, “No grazie”, “No, non insistere”, “No, senti vaffanculo”, come a volte vuol dire “Ci sto pensando”, “ Forse sì”, “Sì”. Bene, allora che cazzo comunico a fare? Insomma, per farla breve, i silenzi di Sonia, mi stavano destabilizzando, ed ecco il terzo allarme: questa gioca solo quando vuole lei.

E ci sta tutto, ovviamente. Ma mi cominciavo a chiedere: “ Se questa vuole giocare solo quando le fa comodo, quando non ha nessuno di meglio con cui giocare alla chat erotica, quando non gioca ai videogiochi su Facebook, quando, insomma, si sente sola e disperata, quando diavolo lo scriviamo sto libro? Come posso confrontarmi, consultarmi, scambiare i punti di vista, per poter scrivere un intero libro, se la mia socia non risponde nemmeno ad un “ Buonasera”?

Sì, perché dopotutto, il primo obiettivo, quello di farsi Sonia, stava passando in secondo piano a pari merito: farsi Sonia con calma, ma scrivendo pure un libro con lei. Noi uomini, siamo veramente delle merde…

Parco di Arenzano

Arriva il giorno dell’incontro.

Parco di Arenzano, 17 abbondanti, ritardo previsto da copione. Scende dalla sua utilitaria col mp3 in un orecchio ed il cellulare nell’altro. Mi saluta, mi prende a braccetto e continua a parlare con il suo avvocato. Ha un po’ di casini, me lo aveva detto. Vabbè, chi non ne ha? Passeggiamo mentre lei liquida l avvocato, ascolto il suo mp3 e cerco di pensare a qualcosa di originale: “ E’ proprio gnocca!” mi viene e dal loggione del mio ipotalamo parte un standing ovation per l’originalità.

“Dai, dille qualcosa di interessante!!”, mi suggerisce il mio subconscio ebbro di nulla. “ Ciao, come stai?” Ok, il più è fatto, stai andando alla grande. Sei immerso nelle sabbie mobili, solo che, hai la zavorra e non hai preso le bombole.

La prima mezzora scorre tranquilla tra il dialogo su più e meno: lavoro, famiglia, desideri..poi, si fa interessante; “ Parlami di te” , mi dice, dopo che io stupidamente le ho chiesto di sederci a cavalcioni di una panchina, rimanendo così faccia a faccia. Non sapevo più dove mettere gli occhi. I suoi, riflettevano un cielo limpido e stellato, malgrado fosse giorno e stesse per piovere. Che profondi…Che belli….Se tentavo di distoglierli mi cadevano inesorabilmente sul suo giacchino in eco pelliccia, che copriva una giacca monopetto foderata, che copriva…Un reggiseno a balconcino col pizzo, che copriva poco, proprio poco, la sua generosa scollatura. Che faccio, guardo su o giù? Nel frattempo, mi toccava descrivermi preda dell’imbarazzo, farle domande su di lei e magari capirci qualcosa. Ma fermiamoci un attimo. Non era certo la prima bella ragazza che mi capitava, la Sonia. Qualunque uomo direbbe: “Ne ho avute tante”. Lo dico anch’io. Solo che l’ultima che ho incontrato e che ho giudicato “bella da imbarazzare”, mi ha profondamente segnato.

Si chiamava Dara, aveva 23 anni. Piccola, con un fisico perfetto, un viso che era la copia di Halle Berry, famosa modella ed attrice. Il più bel culo che abbia mai visto, occhi neri e profondi, un sorriso da infarto. La incontrai chiedendo un’informazione per strada in centro a Milano. (chissà perché proprio a lei, eh?), io fui così fortunato da risponderle “ allora facciamo la strada insieme”, e fui così audace da provarci dopo pochi minuti. Andò tutto bene, a meraviglia. Passai un ora a casa sua, me ne andai, le mandai un SMS dicendole: “Mi piaci tanto che tornerei indietro e ricomincerei da capo”, e lei mi rispose in pochi secondi “ Sono qui che ti aspetto”. Andai avanti 5 mesi, e ogni volta mi chiedevo: “ Perché a me? Può avere chiunque voglia…” Ma non badavo molto alla forma. Prendevo tutto quello che mi veniva offerto, ben felice di poterlo fare, ma consapevole che sarebbe finita. Non so, se ero innamorato. Certo che, fare sesso per mesi con una ragazza con metà dei tuoi anni, bellissima e di piacevole compagnia, ti lascia il segno. Come previsto, un giorno Dara sparì. Mi disse: “ Martedì me ne vado”, e non riuscì nemmeno a vederla per l’ultima volta perché mentre partivo alla volta di casa sua, mi si guastò la macchina e rimasi a piedi come un fesso. Lei non credette alla casualità ( era veramente difficile da credere, anche per me, fermo per strada), e non la sentì più.

Fu una bella soddisfazione, un trofeo per maschio cazzone, ma mi dispiacque moltissimo. Probabilmente, fu un grosso trauma che Sonia mi ha risvegliato. Con la differenza che Dara, mi si dava fisicamente e comunicava. La comunicazione era a doppio senso, insomma, se le parlavo, mi rispondeva. Ma torniamo ai giorni nostri.

 

Riprendemmo a camminare nel parco. Sonia cominciò a raccontare delle sue chat erotiche con varie persone. “ E’ divertente, mi disse, ma tu sei il primo che incontro di persona”, Mah… Difficile da credere, ma voglio crederti Sonia, spero tu possa avere presto l’occasione per dimostrarmelo e convincermi, pensai.

Poi, passammo a parlare del progetto del libro: “ Cosa scriveresti tu?” mi chiese

“ Mah, io farei un prodotto facilmente vendibile, dove ci sia un po’ di tutto”

“ Un racconto erotico?”

“ Anche, e forse ci mettiamo un inseguimento in auto e due scazzottate.”

“ Sì, e tanto sesso.”

Certo Sonia, tanto sesso….Ma qui, se ne parla solo, come faccio a farmi venire un’ispirazione letteraria?

Certo, oggi siamo qui, per conoscerci, e scopare al primo appuntamento mi sembra brutto, ma se l’ ha fatto Dara.. Il mio buon senso, fortunatamente, aveva messo il silenziatore alla bocca, e queste parole non uscirono. O forse, sarebbe stato meglio che uscissero.

Poi, la ciliegina sulla torta; “ Ho un carattere molto forte, ma a volte, penso che, vorrei un uomo con un carattere più forte del mio.” Crack! Se volevi smontarmi, mi hai smontato, bella mia… Mi stai dicendo che, sei abituata a fare sempre quello che vuoi, e che vorresti un selvaggio per domarti? Mia dolcezza, se vuoi un selvaggio tra le lenzuola, posso domarti in un paio d’ore, ma lottare per la supremazia no…. Non ne ho assolutamente voglia. Se non vuoi fare come dico io, quella è la porta. E poi, come faccio a domarti? Ti ammazzo di botte? Se non mi dai ascolto quando ti parlo, se non mi rispondi, cosa faccio? Non picchio nemmeno mio gatto;lui mi da retta. No, no, guarda, che è meglio che faccio quello più debole. Basta che, me la dai spesso… Benedetto silenziatore. La mia bocca, non proferì verbo nemmeno questa volta.

“ Beh,allora ciao, ora devo andare, inizia a piovere e poi, mio marito mi cerca..vedi? Mi ha già chiamata due volte.” In effetti il suo cellulare si faceva insistente, mentre il mio, silenziato, continuava a vibrare in tasca, ignorato.

“Ciao Sonia”. Ultimo segnale d’allarme della giornata. “ Dai, dammi un bacio”, mi dice, e mi porge quasi la nuca. Quanta fiducia verso uno con il quale vuoi scrivere un racconto erotico ! “ Ciao Sonia.”

Parto con la macchina, comincio a pensare: “ Hei, non le ho fatto nemmeno un complimento!” Parte un SMS: “Complimenti per la carrozzeria”.

Seconda Parte

Quel giorno mi collegai verso le 22. Ero stanca. Ciò nonostante, i miei instancabili pensieri si dilettavano a rincorrersi. Pensai che, una partita al Minigolf avrebbe allentato la tensione della giornata appena trascorsa. La routine per quella sera era ormai alle porte ed io, assaporando con aria nostalgica la tranquillità ed insolito silenzio, mi immersi nella Second Life.

La spia luminosa verde si accese in un baleno, dissipando in pochi istanti quelle ormai timide tracce della vita reale. La pagina di FB era davanti a me. I soliti amici, di cui conoscevo davvero poco, si districavano tra un commento e una chiacchiera. Depositai, come da copione, un pensiero rilevante sul mio profilo. Poi, scorsi le repliche della sera precedente. Niente. Non c’era nulla di importante a cui “prestare attenzione”, cliccai allora, su Minigolf. Esso, senza esitare, acconsentì l’accesso ed entrò inesorabile nella mia seconda esistenza. Sapevo, che per le ore avvenire, il relax cadenzato dal tintinnio della pallina, mi sarebbe stato assicurato. Avvicinando con decisione il mouse al portatile e incurante di tutto il resto, cominciai a stracciare i record personali.

Dopo qualche audace colpo mi resi conto che la mia mente, nel frattempo, si era distratta. Un occhio era concentrato sulla buca 2 e l’altro, mio malgrado, sulla comparsa di una nuova presenza sul mio già fecondo profilo.

“ Ti basta proprio poco, campionessa!”, replicò subito il mio subconscio.

“Fatti gli affari tuoi, impiccione! , cercai di zittirlo e presi 5 minuti di pausa, per sbirciare le fattezze del nuovo arrivato .

Era un uomo su una quarantina, di corporatura media, stempiato, occhialino con una montatura fine, camicia bianca a quadri blu. Un sorriso che esibiva una dentatura invidiabile. Le prime impressioni si susseguivano come le foto sul suo profilo..una dietro l’altra raccontavano la sua vita, i suoi viaggi lontani carichi di avventura. Già, pensai, per un’avventura sarebbe stato proprio perfetto!

“Che genio! Chissà con quel grugno cosa vorrà da te!?”, continuò a intromettersi la vocina.

Non feci caso alle solite insinuazioni, a mio parere, poco ortodosse e rimasi ad osservarlo per un po’. Chiaro che, era un tipetto goffo, ma in compenso, non vantava pretese allarmanti. Era l’amico di Andrea, aggiunto mesi prima su suggerimento di Cizzi, quest’ultima persona fidata. Ciò mi dava sicurezza, anche se, nemmeno Andrea lo conoscevo, decisi, comunque, di aggiungerlo.

Si chiamava Diego e non era né affascinante né bello. Un tipo, direi. Se, sul lato estetico la mia mente mi apostrofò con un netto:” No comment!” Su quello mentale dovette ricredersi. Spulciai sul suo profilo e trovai che, pure lui, anni addietro fece Lingue a Genova ed era appassionato della cultura Orientale oltre che, del cibo etnico.”Non male!” , pensai, “Quella faccia da furbetto, sorridente a più non posso, occhialini da fighetto…” , mi veniva da canticchiare. Cominciammo a chattare.

Un giorno Diego mi mandò un invito su Fb, a dir poco spinto: “Iscrizione al fun club figa-dipendente”. Pensai di essere stata troppo precipitosa nel considerarlo una persona sana di mente. Forse, se era l’amico di Andrea, non aveva poi quel gran senso; anche Andrea poteva essere come lui: un classico acchiappa gnocche! Mmmh. Era il caso di cancellarlo? All’inizio tentennai, ma poi fiduciosa cercai di convincermi di lasciarlo lì dov’era;non dava fastidio; non era ancora ampliamente esplorato, anche se, la vocina continuava imperterrita a supplicarmi di levarmelo dai piedi. “ Ci deve essere un senso se..”, decisi di lasciarlo tra i contatti e filai per la mia strada. Poco dopo però, vidi il suo messaggio privato, quasi stentavo a credere.. Lui mi scriveva che, ero una gran gnocca! Pensai, di essermi proprio meritata il posto nel club,”Che sciocca! Infastidita, lo misi nella lista nera, il prossimo ad uscire dalla mia vita dimezzata. Poi, cercai di ricordarmi i suoi messaggi. Era palese, quasi in tutti, c’era un riferimento al club. “ Uno dei maiali della chat!” conclusi desolata, e il mio subconscio aggiunse: “ Ha parlato la Santa di Lisieux, che possa salvare ancora la tua anima!”

Touché! Non aveva poi, tutti torti.

 

La domenica era fredda e piovosa. Era una sera come tutte le altre, che si susseguirono in quel inverno di intense piogge e sporadiche giornate di sole. Guardai il calendario. Trovai tuttavia, che il 2012 era ancora lontano. “Non era il caso di preoccuparsi ora!”, pensai. Nell’immediato, non c’era spazio nella mia mente per una fine profetizzata. Insomma, quella sera, qualunque evento si fosse presentato alla mia porta, non sarei stata per nulla disposta ad abbandonare le mie vesti, il mio letto e la mia tranquillità serale. Smisi di pensare al diluvio universale, accesi il PC e osservai chi c’era in chat. Tre desiderosi conoscenti mi mandavano i loro saluti. Mi misi a chattare quando vidi Diego aggiungersi alla fila. La fila cresceva inesorabile e intavolare un discorso con quattro o più persone contemporaneamente, era molto divertente. Mi rendevo conto che rispondere a tono a differenti argomenti, (quando questi naturalmente sussistevano), non era poi così semplice, e ciò mi esaltava più dei parlanti stessi.

In chat si poteva trovare un po’ di tutto, come al mercato e a buon prezzo!C’erano persone che scrivevano lentamente due sillabe, per volta, non preoccupandosi dell’interlocutore che si trovava dall’altra parte. Talvolta, mi sorprendevano quando riuscivano ad emettere un suono completo! Mi chiedevo allora se erano limitati dai mezzi oppure dalla mancanza di entusiasmo? A questi rispondevo automaticamente. C’erano altre che, per forza delle cose o direi del carattere, dovevano insinuarsi nella tua esistenza. Approdavano in rete come dei profughi, entrando in confidenza, cercavano di spezzare la propria routine, dotata di mancanza di dialogo. C’erano poi quelli, che a tutti i costi, dovevano ottenere da te un “Si!” Per poi buttarsi, soddisfatti, sulla preda successiva. La categoria dei vecchi compagni di scuola era quella che mi divertiva di più. Se era una donna, ancora ancora, te la potevi cavare con due chiacchiere cariche di recondite emozioni. Ma se era un maschio, vecchio amico che chattava con te, femmina, magari dei suoi sogni, allora era finita! Si iniziava appunto cosi: “ Ti ricordi com’eravamo?” , “ Ma tu, non sei cambiata, anzi, con gli anni migliori!” e poi, si aggiungeva, “ Ma perché non ci siamo più sentiti?” , “Non sarebbe male, organizzare una cenetta tra i vecchi compagni…” Spesso e volentieri però, si finiva a letto, per ricordare i vecchi tempi da un’ altra prospettiva, e direi, in maniera più approfondita.

Ci sono quelli, che io chiamo “ Persone a cui prestare attenzione”, perché oltre all’entusiasmo nel comunicare, oltre ad essere veloci nel digitare e capaci di spaziare tra una miriade di argomenti, sanno come farti sorridere. Sono quelle, le persone, con cui io accetto di uscire. Diego apparteneva a questa categoria. Era un outsider e fu un inizio. Per le sere avvenire mi collegai solo per sentire lui. Nelle nostre conversazioni, c’era sempre un sorriso, una battuta, un gioco, il vecchio club era ormai archiviato, l’impatto iniziale era superato con successo ed il mio livello di serotonina, saliva più che mai, facendomi sentire soddisfatta.

La sua presenza mi dava conforto. Ma una sera d’inverno il puntino verde, nella finestrella in basso a destra non apparve. Era sparito! Ripensai alle sere precedenti e non trovai nulla che potesse temere il peggio. Niente discussioni. Sconsolata, spensi il computer. Le sere seguenti il suo puntino continuava a mancare all’appello. Feci una scorpacciata di partite a Word. “ Figa–dipendente e pure latitante!!”, pensai. Non quadrava. Ed ecco, una sera, mentre con la mazza da golf mi accingevo a colpire la pallina indirizzata verso la Tour Effel, eccolo ricomparire. La pallina mancò l’obbiettivo. Mi venne sangue alla testa. Ero furibonda per il mio ego ferito. Preparai il pungiglione, ma Diego mi smontò:

“ Ciao Sonia” , mi disse “Sai, sono stato via per lavoro! Il computer fuso! Non sapevo come dirtelo.”

“ Che smacco!” , ridacchiava la vocina.

Ero in trance e rispondevo come un automa. Per un attimo, ebbi la sensazione che Diego si stesse scocciando. Ma poi, la mia mente si riprese per via del profumino squisitamente invitante che proveniva dalla cucina. Mi rendevo conto che, ogniqualvolta che subivo un’emozione forte, balzava in prima linea il mio appetito. Ora i gamberoni alla piastra mi chiamavano (o forse era mia madre?), andai in cucina e me ne mangiai due, immergendoli delicatamente nella salsa. Tornai alla mia postazione, Diego mi proponeva un gioco.

“Mare o montagna?” ,domandò lui.

Capì subito dove voleva arrivare, ma preferì tergiversare:

“Mare e montagna!” , risposi, come se nulla fosse.

“Dolce o salato?”, mi chiese.

“Dolce,salato e…”, risposi ghignando.

“Destra o sinistra”, continuò ad insinuare.

“Sempre in mezzo..”, risposi ridendo.

Ora toccava a me, decisi di calcare la mano, in modo da creare una situazione di momentanea incredulità nel mio interlocutore e metterlo così fuori piazza. Prima che lui aprisse bocca, digitai:

“Su o giù ?”

Suspense…… La vocina ed io, ora ridevamo a crepapelle.

“Su..ovvio, no?” rispose dopo qualche interminabile secondo.

Pareva imbarazzato. E di sicuro era neofita nel campo della chat erotica. A meno che, era talmente bravo, da sembrare così innocente… Optai per la prima.

Ora il gioco prendeva un’altra piega, lasciai fare ancora per un po’, poi, quando si entrava nel vivo, mi congedai con una scusa. Diego era divertente e ciò mi bastava, mentre per la chat erotica preferivo un genere a cui “ non prestare attenzione”, se non per una sveltina virtuale.

La mia mente era soddisfatta. Il fisico lo era giornalmente. Salutai Diego e scivolai tra le lenzuola felice.

La sera dopo era lì. Parlammo di noi. Diego, dopo varie frasi di circostanza cominciò a farmi dei complimenti, i suoi soliti. Poi tornò alla serata precedente, spiegandomi che, un congedo simile non gli andava proprio giù e che per lui, il mio comportamento equivaleva alla sua “castrazione emotiva”. Io ridevo. Dovevo farglielo capire a tutti i costi che, da un tipo come lui, io avrei voluto uno stimolo mentale più profondo, un impulso ancestrale, per poter accrescere le reciproche coscienze.

Sfrontata come al solito, gli feci una proposta. Volevo partire con lui, per il Tibet. Lui esitò. Niente risposta. Nessun segnale. Ridevo non saprei se per la contentezza nel aver espresso un mio desiderio, oppure per aver colpito nel segno. D’altronde, Diego era lì per giocare con me. Quell’attesa di pochi secondi mi sembrava interminabilmente lunga. Temporeggiava. Più ci pensavo, più sentivo crescere in me, anzi, sopra la mia nuca “ l’energia del fuoco”, proprio nel chakra della corona si apriva un vortice intenso, ma leggero; percepivo la sua consistenza, la sua fluidità appariva più o meno visibile. E per me era visibile eccome!

Ad un certo punto pensai che, se per un caso fortuito, me lo fossi trovato lì davanti le parole si sarebbero dissolte e avremmo provato l annullamento temporale, mentale e perché no, anche quello fisico. Ci saremo elevati in quel vortice, uno nell’altro, due anime ritrovate dopo un lungo pellegrinaggio.

La visione mistica scomparve. Diego appariva all’orizzonte. Il sipario sul Tibet si chiudeva con la data da destinarsi.

Il Tibet venne temporaneamente sostituito dal porto di Genova, per un appuntamento al buio. E ché buio! Non mi diede nemmeno il suo numero di telefono per sembrare più originale. Il veliero ci attendeva. La domanda di rito, pure. Ero pronta, ma…il giorno dell’incontro ebbi un imprevisto, il solito, dei momenti importanti. Mio figlio Sasha, ebbe un attacco d’asma e dovetti sconsolata, desistere da ogni mia iniziativa. In quel momento pensai che, l’originalità di Diego, gli sarebbe costata davvero cara. Cercai di correre ai ripari. Gli mandai un e – mail su FB, nella speranza di trovarlo lì. Immaginavo già, il triste incontro a senso unico. Lui, là, dal veliero, aggraziato dall’emozione, con un sorriso smagliante a cercare l’approvazione negli sguardi dei passanti. E magari anche..nel mio. Io seduta sul mio letto, a 50 km dall’appuntamento, a consolare il piccolo, alleviandogli lo strazio. Tutto finì, ma nel miglior dei modi. Sasha, guarì in un paio di giorni e Diego lesse la mail. Tirai un sospiro di sollievo, vedendo la sua risposta e pensai che, la storia, la nostra intendo, doveva essere ancora scritta.

Dopo il flop iniziale, ci scambiammo i numeri di telefono. Passammo qualche settimana senza sentirci. Io non mi collegavo più. Il virtuale doveva rientrare nei suoi limiti. La realtà, la mia vita erano in pericolo, i problemi di salute di Sasha erano dei segnali evidenti della mia “mancata attenzione”. Sì, “prestare attenzione” alla realtà e non dimenticare che si lavora, si accudiscono i figli, si mangia, si beve, si fanno i bisogni, nel mondo reale. Sdoppiamento era in fase di stallo.

Dopo una disintossicazione dal pianeta virtuale, cominciai a pensare che, forse, il reale, non era poi così brutto e che prendere il distacco dalla realtà a piccole dosi, avrebbe evitato l’assuefazione virtuale. Certo, non ero arrivata ai livelli di alcuni dei miei amici che, per via delle vite virtuali, si dovevano togliere una parte del sonno, svegliandosi di notte, per andare a riscuotere lo stipendio virtuale in fabbrica ed accumulare “denari” per poi, comprarsi terreni, case, trovarsi le fidanzate e amici, e addirittura sposarsi, preparando per filo e per segno ogni particolare del proprio matrimonio, comprarsi delle azioni in Borsa e assoldare un sicario per far fuori l’amante della neo sposa! No, non ero ancora così, ma correvo il rischio di diventarlo. Un giorno, risvegliai me stessa e pensai che ero pronta a tornare da Diego. La frenesia tecnologica non aveva più leva su di me ed era arrivato il momento di conoscersi vis-à-vis.

Il parco di Arenzano, popolato dai germani, pavoni, cigni, e oche selvatiche; attorniato dalle maestose e antiche querce, fontane e laghetti artificiali, invasi dai pesci rossi e tartarughe acquatiche, era un luogo ideale per far scaturire ogni sorta di “vivo pensiero”, vivo come era la natura intorno a noi. Arrivai in ritardo all’appuntamento, le cuffie del mp3 nell’orecchio sinistro e al telefono con il mio avvocato. Mi veniva da vomitare. Staccai da tutto e guardai l’orologio: “Le 17 passate, accidenti!”, pensai. Intravidi Diego all’entrata del parco. Piccolino, stempiato, occhialino alla moda, con il suo inconfondibile sorriso. Si, era proprio quello della foto, sembrava solo due palmi più basso. Mi osservava con un’aria perplessa. Per un attimo tentennai: “Risalgo in macchina e scappo..” . Ma era troppo tardi. Diego si dirigeva verso di me. Chiusi la macchina e mi avvicinai a lui, lo presi a braccetto e come se nulla fosse continuai a parlare con l’avvocato, camminando per il parco. Diego sembrava allibito. Una presentazione coi fiocchi! Il mio “affaire Dreyfus”, non mi dava tregua, come del resto nemmeno il mio telefonino. Chissà che avrà pensato quel povero ragazzo! “E’ arrivata la donna d’affari! Ma pensa che faccia tosta, io son qui, ad aspettarla e lei che fa? Mi prende a braccetto e mi dirige come un vecchietto!” Il mio subconscio mi stava uccidendo. Finalmente la conversazione con l’avvocato terminò ed io, potei rivolgermi a lui, aspettando un fendente in piena regola. Nulla di fatto. Socchiusi gli occhi. Niente! Altro che aggredirmi. Diego con grande imbarazzo taceva, e toccava a me, per prima proferire qualche parola sensata. Ad un certo punto sentì la sua voce :” “Come stai?”, mi chiese. Pensai: “Che razza di domanda è!” Lo guardai negli occhi per capire se era veramente lui, Diego della chat. A dire il vero, mi sarei aspettata un omone alto e di sicuro non così disorientato. Mi sentivo disinvolta e cercai di toglierlo dall’iniziale imbarazzo. Ci sedemmo su una panchina di fronte ad una fontanella con un cigno superstite che sguazzava felice. Pensai alla complessità della mente umana e alla bellezza e semplicità di quel cigno, a cui un laghetto artificiale sarebbe bastato per riempire     l’esistenza temprata dai cicli naturali. Diego mi guardava. Il silenzio interrotto solo da qualche schiamazzo vicino, continuava a prevalere sul resto. Dopo circa una mezzora il dialogo stentava di decollare. Circondata da quel piccolo angolo di paradiso, mi buttai sui temi olistici. Pareva che Diego ne sapesse qualcosa. Ero sorpresa, ma fisicamente provavo un fastidio. Un fastidio inspiegabile. Come se in quella persona si celasse un pericolo. Quanto avrei voluto riuscire a capirlo! Purtroppo potevo contare soltanto su dieci per cento del mio essere. Cercai di ragionare. Sulle mie capacità di fiutare il pericolo non avevo dubbi. Ma che aveva Diego? Pensai al primo momento che lo vidi..insomma provavo il desiderio di scappare. Sì. L’impatto era stato determinante. Ora che dovevo fare? Scappare con una scusa? Quel Diego per me, era un’altra persona. Ripensai al mondo virtuale e alla sua assuefazione e mi promisi di non rifare più un errore del genere. Diego esaurì i suoi argomenti e…per fortuna, suonò il mio telefono. Dovevo rientrare a casa, di corsa. Tirai un sospiro di sollievo. Spiegai al mio interlocutore del rientro anticipato. Dalla contentezza gli diedi due sonori baci sulle guance, mi avvicinai alla macchina e come una ladra partì a tutto gas. In macchina quasi sotto shock e senza capire nulla, mi infilai in bocca una barretta ai cereali. Trattenevo il respiro dalla paura. La mia mente era annebbiata. Per tutto il viaggio pensai alla stranezza di quell’incontro e del senso di fastidio che quella persona, così tanto familiare in chat, mi trasmetteva. Ad un certo punto capì di essermi liberata da un incubo! Mentre i miei pensieri cominciavano a rallentare e il subbuglio interiore a trovare un po’ di pace, arrivò un sms: “Complimenti per la carrozzeria!”

Esterrefatta chiusi lo schermo e scoppiai a ridere.

Olga Orlovskaia

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