RACCONTI DI AVVENTURE

RACCONTI DI AVVENTURE di Franco Ivaldo
LEON SI SPOSA E PARTE VERSO L’IGNOTO 
Settima parte

RACCONTI DI AVVENTURE di Franco Ivaldo

LEON SI SPOSA E PARTE VERSO L’IGNOTO 
Settima parte
 
Mentre queste intese si stringevano alla corte di Carlo I (meglio conosciuto però come Carlo V del Sacro Romano Impero), e mentre oscure trame di vendetta s’intessevano alla corte di Lisbona, da parte dei Manuel che si sentiva tradito da Magellano e dal cartografo migliore del regno Ruy Faleiro, che avevano sottratto dagli archivi di Stato portoghesi preziosi documenti per offrirli alla Spagna,   su una nave  savonese che faceva la  rotta di ritorno da Tunisi verso la città ligure, c’era al timone proprio lui, Leon  che, come tutta la gente di mare dell’epoca, amava ripetere il detto latino – navigare necesse est.

 
Una vita sul mare perché il mare era la sua vita. Ricordava, eccome, quei tempi felici dell’epoca gloriosa. Era tornato dall’Oriente con un bel gruzzolo , poi aveva ripreso a navigare nel Mediterraneo. Come agli inizi di carriera.

 

“Allora, Pancaldo  – gli aveva detto il nostromo  varazzino Pietro Vivaldi – ho sentito dire che sei impaziente di tornartene a casa, dato che devi sposarti. E’ così, vecchio lupo di mare?”

“Hai sentito bene, mio caro amico!” gli rispose sorridente Leon. “Ho navigato parecchio in questi ultimi tempi e ho diritto ad un pò di riposo…”

“E sposarti me lo chiami riposo?!” aveva replicato l’altro, ridendo.

 Sì, tutto gli veniva in mente. Quello che aveva fatto e detto lui e ciò che aveva risposto Vivaldi.

Leon aveva riso di cuore e ribattuto: “Sempre meglio sposarsi e starsene un pò a casa, che imbattersi in una caracca genovese, pronta a fregarci il carico, visto che siamo diretti a Savona.  A proposito, non ho mai capito perché i genovesi ce l’hanno tanto con quelli della nostra città. Adesso, poi c’è a Genova, quell’ammiraglio, Andrea Doria, che non mi ispira troppa fiducia. Noi savonesi dovremo aprire bene gli occhi… “

” Vecchia ruggine -sentenziò Vivaldi – roba di concorrenza commerciale tra due porti così vicini. Io sono varazzino, ma di padre e madri genovesi, sai. Non vi sono mai stati scontri marittimi tra le nostre città. Solo un po’ di concorrenza nei commerci. ”

“Ho capito. Vuol dire che non siamo poi così nemici.”

“Figuriamoci. Quaranta chilometri di distanza tra le due città. Se siamo nemici noi, allora dove sono gli amici ? “

“I Colombo si erano trasferiti a Savona, ricordò Pancaldo, col vecchio padre Domenico che faceva il cardaiolo. Aveva quattro figli.”

“E’ storia nota. Ma poi il vecchio Colombo tornò a Genova. Sempre povero come quando era partito. “

“Arricchirsi a Savona non è facile.”

“Non è facile neppure a Genova, credimi! Il lavoro bisogna cercarselo dove c’è.”

Leon continuava a tener saldamente in pugno il timone, e sorrideva. A dire il vero, non gliene importava un bel niente delle controversie marittimo-commerciali tra i suoi e gli altri, anche se doveva ammettere -da quel pò di storia patria che un prete gli aveva insegnato – che Savona, puntualmente, finiva per essere quasi sempre nel campo dei perdenti.

Già dall’epoca dei romani. Savo era con i cartaginesi di Annibale, elefanti e tutto il resto, mentre Genua -fedele a Roma – aveva vinto la partita. Poi, Savona ghibellina contro Genua guelfa, e avanti di questo passo. Ma che importava!

 Era tempo di sposarsi. Aveva ormai trentasei anni, con quell’aria rude e anche severa, ma senza tratti di asprezza, il che rivelava un buon carattere ed una sicura giovialità.

Tutti a bordo lo apprezzavano, a partire dal comandante, Luigi Spinola, un genovese anch’egli ansioso di rivedere la Torretta della Quarda e di poter sbarcare per correre a rivedere la Lanterna e riabbracciare moglie e figli.

 

Pancaldo pensava alle sue imminenti nozze. Era fidanzato con Teresa, una giovane di Varazze, castana con gli occhi celesti come il suo mare,  che aveva una famiglia numerosa ma i cui genitori,    commercianti, possedevano un discreto reddito e avevano potuto garantire all’unica figlia una dote piuttosto cospicua.

Le nozze ebbero luogo un mese dopo.

 

Torre della Quarda dedicata a Leon Pancaldo (tav. del fine settecento)

 

 

Ma il mare era il grande avversario di Teresa, la novella sposa.

 In tutti i porti cominciarono a circolare voci della grande spedizione che si stava preparando a Siviglia.

 Gli ambienti marittimi di mezza Europa erano informati del fatto che un ammiraglio portoghese, caduto in disgrazia e cacciato dalla corona di Lisbona, era entrato al servizio di Carlo V di Castiglia e di Aragona, ed ora cercava membri di equipaggio tra tutti i marinai più esperti per andare a scoprire la mitica via delle Indie verso Ovest, tralasciando le rotte dell’Est, ormai controllate dal Portogallo.

Leon, quando apprese il nome di quel comandante lusitano non frappose indugi. Non aveva più rivisto Magellano dai tempi dell’India, ma adesso sapeva qual’ era la sua rotta futura.

Ebbe con Teresa una spiegazione franca e serena. Ma dai toni un pò corrucciati e tristi.

“Siamo sposati da poco – le disse – ma tutta la mia carriera di marinaio dipende, forse, da questa impresa. E’ la più grande avventura del secolo, grande quanto quelle compiute da Cristoforo Colombo, come quella di Amerigo Vespucci, di Giovanni Caboto, di Bartholomeu Dias ,di Vasco da Gama, di Cabral, tanto per rimembrarne alcuni. Forse anche maggiore, in questo caso. Non posso rimanere a casa, mentre altri uomini, marinai come me, stanno per partecipare a questa incredibile esperienza, unica nella vita di un uomo di mare. Sono certo che mi comprenderai…”

Teresa provò ad opporre, con fare modesto, qualche timida obiezione. Ma lo fece ben poco convinta, perché, in fondo -avendo sposato un marinaio -se l’aspettava, da un giorno all’altro. Ma si aggrappò ad un ultimo barlume di speranza. 

“Non è detto- disse –  che sia garantito il tuo ingaggio…Eppoi abbiamo appena messo su casa e già vuoi partire. Per chissà quanto …  ” aggiunse pensierosa e malinconica.

“Sono certo che quando mi presenterò all’ammiraglio e rivedrà la mia faccia di certo mi riconoscerà. Verrò arruolato di sicuro. Conosco questo Magellano e lui conosce me. E’ un capitano portoghese che sa il fatto suo. Credo potrà valutare anche la mia esperienza di marinaio e di nocchiero. A parte il fatto che a Goa…Beh ma questa è storia vecchia. ”

“ Sì – rispose la novella sposa – non ti voglio ostacolare, Leon, in alcun modo. Quando ho detto si  davanti all’altare, sapevo benissimo che da lì a poco saresti ripartito. Certo, non sapevo su quale rotta e quale destinazione. Quando eravamo soltanto promessi, in genere, navigavi nel Mediterraneo… Invece, adesso, si parla di un viaggio lungo nell’Oceano. Chissà quando ti rivedrò…Non sapevo che fosti stato in Asia.”

”Era parecchio tempo prima di conoscerti…”

“Comunque sia, chissà quando ci rivedremo…”

Lui non rispose, perché non aveva risposte a questo interrogativo. Era un dilemma che lo angustiava, anche se non osava confessarlo neppure a sé stesso.

Non si nascondeva i rischi immensi che la nuova avventura sui mari comportava. Ma era disposto a farsi avanti, non solo perché l’offerta di cui si parlava nei porti, appariva come estremamente vantaggiosa dal punto di vista economico, ma anche perché c’era in ballo un enorme prestigio da difendere. Insomma, riuscire in quell’impresa, partecipare a quella storica spedizione voleva  dire assicurarsi un nome negli ambienti marittimi di tutta Europa. Era la consacrazione per qualsiasi uomo di mare, soprattutto per lui che aveva una buona nomea.

Leone X

Non se lo nascondeva, Leon, e l’ambizione che fin da giovane l’aveva animato e spinto ad intraprendere un mestiere pieno di rischi, ma esaltante, adesso gli suggeriva eloquentemente la via da seguire. Era la via della Spagna.

Partì senza indugi, salutando la moglie , i suoi vecchi genitori e tutti i membri della sua nuova famiglia. Il distacco con la giovane sposa fu particolarmente toccante.

Teresa gli fece mille raccomandazioni: “Ti aspetterò – gli disse – cerca di agire con prudenza. Io ti raccomando alla Vergine Maria e a tutti i Santi.”Teresa era una donna riservata, e molto devota. Ma aveva un caratterino spigoloso, tanto che i suoi la chiamavano, scherzosamente, “la Selvaggia”. 

 Nei giorni prima della prevista partenza, convinse i suoi familiari a recarsi dal vescovo di Savona, assieme a lei, per fare celebrare una Messa, al fine di raccomandare il marito

al buon Dio, affinché lo proteggesse nella sua ardimentosa iniziativa. Il vescovo (era anch’egli un della Rovere, la famiglia dei Papi savonesi) quando venne a conoscenza dei motivi per i quali Teresa ed i suoi richiedevano la cerimonia religiosa, comprese che si trattava di un avvenimento importante, poiché era a conoscenza dei preparativi che si svolgevano in Spagna. Nulla sfuggiva alla Chiesa, governata in quegli anni (1513-1521)  da Leone X, cioé Giovanni de’ Medici, che era il successore di  Giulio II (Giuliano della Rovere). Leone X era un raffinato cultore delle arti e delle scienze , aperto,quindi, alle novità.   Il vescovo, di fronte all’onesta richiesta di Teresa fece molto di più. Informò i fedeli della piccola città – in pratica, tutti i cives (dai commercianti agli artigiani, dai marittimi ai coltivatori delle terre circostanti) di quella Messa di preghiera e di giaculatorie per propiziare la Grazia divina in favore dell’anima del navigatore che si accingeva a partire per una grande impresa, apportatrice di onore e fama per sé stesso e per la sua gente. Il vescovo non ignorava che il Consiglio della Repubblica di Genova aveva ancora motivi di rammarico per non aver compreso la grandezza del progetto di Cristoforo  Colombo, sostenuto da un cartografo del calibro di suo fratello Bartolomeo e di aver rifiutato al loro conterraneo i fondi che sarebbero stati necessari per finanziare la spedizione  che portò alla storica scoperta del Nuovo Mondo.

Una macchia – pensava giustamente il vescovo savonese – che le autorità laiche ed ecclesiastiche, dovevano essere ansiose di cancellare in qualche modo. Per tale motivo, se non per altro, l’alto prelato dette la dovuta solennità alla celebrazione religiosa pro- Pancaldo, invocando sul navigante la protezione del cielo.

Leon era anch’egli credente e devoto, un buon cristiano, ma anche -come tutti in quei tempi, particolarmente i marinai – parecchio superstizioso. Appresa la notizia della Messa in Duomo, da Teresa, fece i debiti scongiuri e mormorò tra sé:”Spero non si tratti di un De Profundis”.

La moglie che l’aveva udito bisbigliare quel dubbioso interrogativo, sorrise e rispose:”No, è una preghiera collettiva che la tua città ti dedica col cuore, per auspicare la protezione divina sulla tua salute e sul tuo successo, per proteggerti dal male. Quando sarai tornato, faremo celebrare un grande Te Deum di ringraziamento.

 La povera Teresa lo ignorava, ma sarebbero trascorsi addirittura sei anni interi, prima che tra le navate del Duomo, abbellito e reso ricco da Sisto IV, risuonassero gli organi e gli strumenti musicali di quel grande Te Deum  e i Deo Gratia per salutare il ritorno di Leon, coperto di gloria e di onori. Effimeri onori, poiché in questo mondo non vi è bene che non termini, né male che, in qualche modo, non trovi il suo epilogo. Sic transit gloria mundi.

Intanto, in una radiosa alba, quando Savona, coi suoi palazzi nobiliari, si risvegliava al canto di un’infinità di uccelli, che svolazzavano liberi sulle stradine che a poco a poco si riempivano di gente laboriosa, artigiani e,naturalmente, per primi i panettieri che tiravano fuori dai forni le loro focacce calde, vendendole ad una fila di affamati acquirenti mattutini. In quel sorgere del sole, Pancaldo lasciava la sua città, guardando ancora una volta la Torre della Quarda, simbolo della città piena di torri e di torrette di guardia per proteggere le mura dalle incursioni saracene.

Franco Ivaldo

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