RACCONTI DI AVVENTURE

RACCONTI DI AVVENTURE di Franco Ivaldo  
PANCALDO E MAGELLANO , INCONTRO IN INDIA 
Quinta parte

RACCONTI DI AVVENTURE di Franco Ivaldo  

 
PANCALDO E MAGELLANO , INCONTRO IN INDIA 
Quinta parte

 Prima parte    Seconda parte   Parte terza   Quarta parte 

Fu proprio in India che i due principali protagonisti di questa storia fecero conoscenza. Correva l’ anno di grazia 1506, battaglia marittima di Cannanore, India. Pancaldo era partito assieme agli equipaggi  in quello storico giorno.

 Il giorno era storico ma per Leon, – lo ricordava come se fosse ieri  – era una bella mattinata come quelle solite quando s’imbarcava. Non vi era nulla al mondo che lo esaltasse di più. L’odore del legno di una bella nave, le corde, le vele, i gabbiani bianchi ad ali spiegati come le vele, quella distesa che – lasciato il porto  – si offriva ai suoi occhi scrutatori. Ne apprezzava ogni increspatura bianca di quell’immenso tavolo azzurro, verde, cristallino come un pittore apprezza con un sol colpo d’occhio la sua tavolozza di colori. Il mare. Una parola che aveva avuto sulle labbra fin da giovinetto. Ascoltava, nella sua modesta casa a fianco del  torrente  Letimbro, i racconti dei suoi. Che meraviglia quando, a dieci anni, il nonno gli disse che aveva conosciuto ed era stato amico di quel giovane ardimentoso, Cristoforo, che aveva scoperto il nuovo mondo.

“Dove nonno?” chiedeva il fanciullo, incuriosito e con gli occhi sognanti.

“Lontano, caro, molto lontano, oltre quell’orizzonte che vediamo quando andiamo alla foce del nostro torrente. Il mare celava nuove terre ed il figlio del cardaiolo genovese, Domenico, amico mio, le ha scoperte…”

Ricordi, un mare di ricordi. E poi, anche lui a navigare, per cercare in quell’immensità azzurra la sua stella spendente, il suo destino. Era lì al timone di una delle venti navi della flotta diretta in India, sulla rotta già tracciata da Diaz , da Gama e seguita da Cabral, la circumnavigazione dell’Africa, con quel capo tormentoso da aggirare. La sua nave era la Virgen du Carmo, la stessa su cui era imbarcato Magellano. Per tutta la lunga, estenuante, traversata, i due si incroceranno senza parlarsi una sola volta. Ma i volti restano impressi, anche se non ci si conosce.

Si conosceranno a Calcutta. Un anno dopo. In circostanze drammatiche per tutti.

Il sultano Zamorino di Calcutta, con la sua veste di seta del Catai ricca di pietre preziose, e di ricami di finissimi tessitori giunti persino dal Cipango aveva appena finito di ricevere un messo dei dogi veneziani. Quest’uomo, giunto dalla lontana città lagunare, gli aveva rappresentato un quadro spaventoso della situazione in cui si trovava. Aveva avuto torto di non cacciare i portoghesi da subito. I commerci con Venezia languivano. Anzi erano stati proprio interrotti. Re Manuel , il portoghese perfido ed infido, l’aveva ingannato. Non doveva aprire le porte del suo palazzo a quegli infedeli, onorarli con doni preziosi, con ricchi presenti d’oro e d’avorio. Doveva ucciderli tutti…

“Ma anche tu, veneto, sei un infedele!” aveva ridacchiato Zamorino. Ma sapeva, in cuor suo, che l’ambasciatore di Rialto aveva ragione. Eccome se aveva ragione!

Quei miserabili dei portoghesi avevano messo tutti nel sacco. Venezia, la sua maggiore importatrice di spezie pregiate e di seta e di perle di Ceylon in quel lontano mare d’Occidente, era rovinata. Le parole del suo messo lo indicavano senza equivoci.

Che ne sarà del mio regno? si chiedeva non certo a torto il sultano di Calcutta.

Aveva deciso: avrebbe attaccato i portoghesi e le loro navi. Aveva forze, cento volte superiori. Bastava prenderli di sorpresa ed il gioco era fatto. Avrebbe liberato la sua terra da quei rapaci che portavano via ogni cosa, trasformando un sultano come lui in un suddito, un regno in un umiliante protettorato, un monarca assoluto in un vassallo.

Ma tutto doveva restare segreto. Dal veneziano innominato ebbe la promessa di un aiuto.

 Non ci contava troppo Zamorino.  Non si fidava più di nessuno: né di Lisbona, né di Rialto! 

“Questo veneziano è un cane cristiano come tutti gli altri. Prima mi libererò dei portoghesi. Poi toccherà ai veneziani.” confidò il sultano al suo più vicino consigliere, Abdul, il quale sogghignò e rispose: “Così vanno trattati questi infedeli. Sono tutti uguali, in realtà. Pensano solo ad arricchirsi a spese nostre…”

“Ma avranno una bella sorpresa!”

Lodovico de Varthema
La sorpresa, invece, non ci fu. Anzi, ci fu. Ma ai danni di Zamorino, il sultano.

 

Girava a quei tempi per il mondo musulmano e per l’India soggiogata dall’Islam, un singolare avventuriero, Lodovico de Varthema.

Nessuno sapeva da dove venisse, né dove andasse.

“Non riesco a leggere le noiosissime pergamene con racconti di viaggio – diceva il giovane, con toni faceti – ma se si tratta di andare a vedere, per me il mondo non ha confini.”

Era stato quel diavolo di de Varthema, persino alla Mecca. Aveva visto la pietra nera, sacra ai musulmani, nella città santa. Aveva percorso tutte le terre d’Oriente. A piedi, a dorso di asino o di mulo, con le carovane dei mercanti arabi o giudei. Aveva imparato qualche cosa di una miriade di linguaggi e dialetti.

 

Poi doveva averla combinata grossa con qualche sultano. Visita clandestina all’harem, fingendosi eunuco, o qualcosa del genere. Non lo volle mai raccontare. Fuga precipitosa verso Calcutta, travestito da imam. In una taverna, pullulante di musulmani , aveva sentito qualche cosa relativa al progetto di Zamorino di fare la festa ai portoghesi.

Di religioni in India, Lodovico, ne aveva viste ed udite tante, credenze negli dei, nella natura, nella metempsicosi (se rinasco – aveva pensato – voglio essere una scimmia che se la spassa sui rami, ma non un elefante, poveretto che sgobba come… un pachiderma!). Ma di fronte alla minaccia per i suoi correligionari, si era ricordato di essere cristiano.

Doveva avvertire i portoghesi, anche se non gli erano particolarmente simpatici, per tutti i templi che avevano distrutto a Ceylon e a Goa.

Templi testimonianza di altre fedi,  ma soprattutto dell’Islam, che a sua volta, per la verità aveva distrutto altri templi ed altri simboli sacri: induisti o buddhisti.

“Le religioni! Valle a capire tutte! Ognuna di esse proclama la verità assoluta, il dogma e lo proclama di brutto e con brutti metodi…” aveva esclamato l’avventuriero. Ma qui c’erano in gioco le vite di quei poveretti  sulle navi  all’ancora nel porto di Calcutta. Eppoi erano cristiani come lui e la loro religione era superiore a tutte le altre.

Come avvertirli, però, dell’imminente pericolo ?. Sotto il suo turbante di falso imam, si recò al porto. Vide la Virgen du Carmo e scorse a bordo un figura di marinaio che, dall’alto, osservava l’andirivieni della folla che si accalcava nelle viuzze sottostanti.

“Ehì della nave!” gridò in portoghese, Lodovico de Varthema.

“Ebbene? Que quiere usted? Que tal ?”  rispose l’uomo in spagnolo, ma con uno strano accento.

“Sei italiano!” replicò Lodovico, cui non sfuggivano  le inflessioni fonetiche delle lingue italiche. “Magari ligure!”

“Per un musulmano la sai lunga! Che vuoi?”

 

“Parlare al comandante…”

“Non è a bordo!”

“Ad un sottufficiale allora….”

“Di che si tratta ?”

“Di vita o di morte. Della vostra morte, se non mi ascoltate o, se ascoltandomi, non mi crederete.”

Pancaldo, perché era lui quel marinaio, comprese che quel tizio, i cui tratti non gli erano del tutto sconosciuti, non raccontava frottole. Aveva sicuramente qualcosa da dire, per chiedere    addirittura di essere messo in presenza del comandante.”

 

“Avanti, la scaletta è calata. Sali. Ti autorizzo…”

Lodovico de Varthema, con un agile balzo saltò sulla scaletta ed eccolo a bordo.

Fu il primo lui a riconoscere il marinaio che aveva di fronte, adesso che poteva osservarlo da vicino. Infatti, lo scrutò ben bene. Eppoi, proruppe in un’esclamazione di sorpresa e di stupore.

“Ma non è possibile. Non credo ai miei occhi. Leon! Tu qui?”

A sua volta il marinaio aguzzò lo sguardo. Lodovico si era tolto il turbante ed il mantello, restando a capo scoperto e sotto il mantello aveva un  abito di foggia veneziana.

“Mi riconosci?”

“Lodovico!”

“Sì, ci eravamo lasciati nel porto del Pireo, ricordi ?Dopo quella traversata su quella nave, beh, chiamiamola nave, dal porto di Venezia…”

“Tu era diretto in Oriente, se ricordo bene… A quanto pare in Oriente ci sei andato!”

“E tu, naturalmente, sempre in giro su una nave o su un’altra. Ma questa è una nave da guerra portoghese… Che ci fai su una caracca ?”

“Il mio mestiere e basta. Le armi le maneggiano gli altri. Però, come è piccolo il mondo. Aveva ragione Colombo a dire che la terra è poca. Dunque, come ti dicevo, io non maneggio armi. Quelle però non mancano a bordo…

“Tra non molto ne avrete bisogno. Il sultano di Calcutta prepara  una sorpresa per tutti voi. Ignoro quando attaccherà, ma per attaccare stanne pur certo che  è sicuro!”

“Vieni con me!” gli intimò Leon.

Fu così che si trovo’ di fronte il marinaio soldato di guardia. Era uno dei millecinquecento   marinai portoghesi pronti a combattere in caso di bisogno.

Quella rivelazione salvò  la vita a parecchi uomini e fece conoscere  Pancaldo a Magellano e quest’ultimo ai suoi superiori. Il  sobresaliente  si prese tutto  il merito di aver avvertito il comando   del pericolo che sovrastava le loro teste. Ma a Pancaldo interessava la salvezza dell’equipaggio – e  quindi la sua- non gli importava molto di riconoscimenti che l’apparato gerarchico e militare portoghese, del resto , non sarebbe stato mai disposto a riconoscere ad uno straniero.

Così il proditorio attacco di Zamorino fu previsto e sventato, almeno in parte.

Sì, ricordava Leon , fu una vera strage e gli uomini di Francisco de Almeida  uccisero tanti indù  musulmani per non venire a loro volta uccisi. Ma  vi furono  morti numerosi in entrambi i campi. 

Magellano, da allora fu riconoscente a Pancaldo per la vita.

Tanto più che si ritrovarono ancora una volta in pericolo al largo di Goa ed il nocchiero savonese rivelò doti eccezionali di bravura, salvando praticamente una nave dal colare a picco in piena tempesta.

Quanto a Lodovico de  Varthema  quell’avventuriero, forse era veneziano. No – adesso ricordava – era un bolognese. Strano  personaggio davvero, un tipo sanguigno, un po’ burlone, certo un grande avventuriero.  Chissà che fine ha fatto? Voleva seguire la via della Seta, sulle orme di Marco Polo. Che Dio lo protegga. Spero, pensò Leon quella notte, che non si trovi nella situazione in cui mi trovo io, prigioniero e senza alcuna speranza di rivedere la patria così lontana.

Anch’io, pensava il prigioniero, vorrei poter tornare in patria, invece, vengo trasferito da una prigione all’altra per colpe che non ho.

Mi si rimprovera di aver fatto il marinaio su una flotta della Spagna. E’ questo è l’unico mio crimine. Ma agli occhi dei portoghesi sembra davvero un grave delitto.     

 Franco Ivaldo

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