Quale politica per una nuova agricoltura

L’avvenire che ci attende
  8ª parte  – quarto capitolo

Quale politica per una nuova agricoltura

L’AVVENIRE CHE CI ATTENDE
8ª parte

Quale politica per una nuova agricoltura 

alimentare globale

Quarto capitolo

 Carissimi amici lettori domandiamoci:

– Che cos’è oggi la politica?

È quella “cosa” arida e miope che non va mai più in là del quotidiano e del contingente, o è quella parte alta e nobile, che guarda al di là dei confini della nostra esistenza, per tentare di scorgere l’avvenire delle generazioni che verranno dopo di noi, e per comprendere il destino della nostra piccola terra?

In questi lunghi anni trascorsi molto lontano dai palazzi della politica attiva mi sono, più volte, posto questa domanda, ed allora ho cercato di comprendere, attraverso un attivo impegno nel settore del volontariato ed attraverso letture attente meditate, su quali basi poteva fondarsi la logica del modo di essere della nostra società e quali principi e quali valori potevano essere a fondamento del nostro operare quotidiano.

E sono giunta all’utopia e mi sono sentito molto vicino a Ivan Illich, il grande filosofo e sociologo austriaco, il quale sosteneva che

Occorre abitare nell’utopia

Chi avrà la bontà di leggere questo mio scritto, si domanderà, a questo punto, quale rapporto può intercorrere fra l’utopia e l’agricoltura

La mia risposta è relativamente semplice e giunge a sfiorare la banalità:

L’agricoltura è destinata ad incidere non soltanto sul benessere dell’uomo, ma addirittura, sulla sua vita; le statistiche riferite all’entità della fame nel mondo sono emblematiche in questo senso.

Ma, per altri versi, le ragioni dell’accostamento sono più complesse e risiedono nel fatto che l’agricoltura mondiale sta attraversando una crisi di identità (o se vogliamo di trasformazione) inedita nella storia dell’umanità, per cui è difficile prospettarne l’avvenire.

Di conseguenza, anche la professione dell’agricoltore (o del contadino) rischia di sparire dalla faccia della terra, oppure di andare incontro ad una trasformazione, mai verificatasi in passato.

Il tutto, ovviamente, è destinato ad incidere non soltanto sull’economia mondiale, ma, addirittura, sulle ragioni di vita dei popoli e sull’integrità fisica del nostro pianeta.

Riflettiamo, per qualche istante, sull’evoluzione dell’agricoltura nel tempo:

Per millenni e per secoli, l’azienda agricola (e, con essa, l’intera produzione alimentare) si è fondata, non soltanto in Europa, ma in gran parte del mondo, sulla frammentazione della proprietà terriera e sullo spirito individualistico del coltivatore.


Eva Benelli

C’era una volta il contadino (ha mirabilmente scritto Eva Benelli):

“C’era una volta il contadino arava la terra distribuiva il seme sorvegliati racconti controllava il prodotto. E poi, quando era tempo di seminare di nuovo, sceglieva tra le sementi, da lui stesso raccolte, quelle che, a suo parere, avrebbero dato il risultato migliore, in una teoria idealmente infinita di raccolti sempre più ricchi, di produzioni sempre più efficienti. 
Non era fatto, dunque, solo di fatica il suo lavoro; c’era spazio per la progettualità, le scelte, la pianificazione del futuro. 
Chi il suo pezzo di terra era riuscito a conquistarselo poteva dirsi padrone di sé stesso, in una certa misura, maestro del proprio destino. 
Ma, anche chi lavorava la terra degli altri, in qualche modo poteva sentirsi partecipe del miracolo di portare a casa, ogni anno, un nuovo raccolto. “

Ma oggi, non è più così, un contadino, strutturato della maniera descritta mirabilmente da Eva Benelli, non esiste più, se non in qualche area sperduta del mondo; gli attuali contadini possono essere considerati, a buona ragione, come una specie da proteggere, perché in via di estinzione.

Ho cercato di illustrare, nei precedenti capitoli di questa pubblicazione, gli autentici muri finanziari che il contadino di oggi trova, quotidianamente, sul suo lavoro; essi sono:

  •         Gli affitti relativi alla proprietà della casa e dei terreni circostanti (quasi sempre in mano ad altre e ben definite personalità).
  •         Le spese per l’acquisto dei semi e delle sementi

  •      Il costo dell’acqua per uso personale e per l’irrigazione dei campi 

  •         Le spese per l’acquisto dei fertilizzanti e dei pesticidi

  •        Le spese per far fronte all’eccessiva meccanizzazione delle pratiche agricole

Non a caso desidero ricordare il giudizio su questa drammatica sconvolgente situazione espresso fine degli anni 90 del secolo scorso da Giovanni Gallizzi docente all’Università cattolica di Milano:

“I sistemi agroalimentari dei Paesi sviluppati hanno enormemente accresciuto, in questi tempi, l’omogeneità del loro funzionamento e della loro organizzazione, tanto da annullare, in pratica, la spiccata individualità che li aveva caratterizzati in passato.”

In altri termini a causa di questa serata è demenziale politica agricola abbiamo assistito è stiamo tutto ora ad una fuga massiccia dalle campagne 

Gli uomini e donne ridotto chiama fame ad una pressoché assoluta indigenza economica.

La conferma del giudizio sono esposto giunge a tutti noi dalla seguente tabella che dimostra in modo esemplare il duplice fenomeno

La fuga dei contadini dalle campagne di Garibaldi del mondo

Eccessiva concentrazione degli esseri umani nelle città iniziata nel 1390 è tuttora in atto

Addirittura, siamo giunti al suicidio fisico di molti contadini (come pregevolmente descritto da Emanuele Bonini nell’articolo giornalistico da noi riprodotto nel terzo capitolo di questa pubblicazione).

Questi tremendi fatti mi riporta a svolgere queste riflessive considerazioni:

È il culto del denaro che sovrintende all’economia e alla scienza, ed, a sua volta, l’economia diventa la guida della politica.

Ma risiedono proprio in questa assolutistica concezione delle problematiche mondiali ed è la conseguenza miope visione dell’attuale politica, le attuali crisi dell’agricoltura, della perdita della libertà di scelta e di azione del contadino, del crescente e preoccupante fenomeno dell’urbanizzazione, e di conseguenza, la tragica permanenza della fame nel mondo, malgrado esista, in linea puramente teorica, cibo per tutti gli uomini del presente del futuro.

Per questo fondamentale ragione ho deciso di mettere da parte l’utopia e di ritornare a fare politica.


Sottopongo pertanto alla cortese attenzione degli amici lettori queste mie proposte riformatrici:

1. Recuperare i valori della politica che deve sovrintendere ali’ economia (e non viceversa); 

2. Ripristinare il rapporto uomo/natura, nello spirito della visione hegeliana dell’interconnessione tra le due componenti; 

3. In questo contesto, e secondo le indicazioni suggerite da Antonio Onorati, recuperare la funzione e la sapienza del contadino e, con esse,il valore dell’agricoltura tradizionale, perché questa è meglio attrezzata per dare una risposta positiva all’esigenza irrinunciabile di produrre alimenti per una popolazione crescente, senza distruggere, in maniera definitiva, le risorse naturali di cui ancora disponiamo; 

4. Parallelamente, recepire il suggerimento espresso da Walden Bello, vale a dire: creare un modello economico autonomo, in cui, all’interno di ogni singolo Stato, gli agricoltori possano associarsi tra loro, in modo da garantire le massime opportunità produttive, anche sotto il profilo economico, spostando, l’asse della produzione dall’esportazione al mercato interno; 

5. Garantire alle popolazioni rurali di ogni parte del Pianeta non soltanto l’accesso alla terra (come si proclamava anche in un recente passato) ma anche alle tecnologie, alle nuove metodologie di coltura ed alle sementi, di cui l’agricoltura dell’avvenire ha fondamentale bisogno; in altri termini, è necessario un percorso parallelo tra cultura contadina tradizionale ed innovazione scientifica e tecnologica, sottraendo l’esclusività delle nuove scoperte ai monopoli imperanti. 

Termino, a questo punto, con le mie proposte, suggerendo, tuttavia, a tutti coloro che vogliono rimanere nel concreto più rigoroso, di leggere questa riflessione di Niccolò Machiavelli: Il Principe III (1513), augurandomi, che almeno da essa, possano ricevere un utile insegnamento: 

“Et interviene di questa come dicono e’ fisici dello etico, che nel principio del suo male è facile a curare e difficile a conoscere, ma, nel progresso del tempo, non l’avendo in principio conosciuta né medicata (la malattia), diventa facile a conoscere e difficile da curare. 
Così interviene nelle cose di Stato; perché, conoscendo discosto, il che non è dato se non a uno prudente, e’ mali che nascono in quello si guariscono presto; ma quando, per non li avere conosciuti, si lasciano crescere in modo che ognuno li conosce, non vi è più rimedio.” 

 ALDO PASTORE

 

 

 

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