“…Credenti, guariti e debitori”

“…Credenti, guariti e debitori”
Una domenica a caccia di miracoli,
nel santuario di N. S. delle Grazie a Cairo

“…Credenti, guariti e debitori”
Una domenica a caccia di miracoli, nel santuario di N. S. delle Grazie a Cairo

 Dato che sono scettico e lo sanno, qualche anno fa sono andato ad assistere ad una messa dei “carismatici”, a Cairo Montenotte. Pare che la gente svenga improvvisamente, colta da un torpore benefico, e che durante questi brevi sonni, guarisca da molti mali.

Avevo colto una domenica autunnale dal clima piacevolmente mite. Inoltre di fianco al santuario si fa festa: caldarroste. C’era un certo viavai di gente, tutti impegnati a sgranocchiare e rovistare nel sacchetto, come d’uso.


Ero arrivato a cerimonie erano già partite. Il programma era iniziato alle 16,00, con preghiere e canti. È proseguito con la catechesi sul senso del dono dello Spirito Santo, poi c’era la Santa Messa, alle 17,00 e finalmente alle 18,00 adorazione del Santissimo e preghiere di guarigione. Due ore e mezza di orazione e canto. Sono quindi tornato a guardar le castagne danzare nelle padelle.

Ogni tanto mi affacciavo silenziosamente all’interno della chiesa: una ventina di persone di età media oltre i settanta, al 70% femmine, occupavano i primi banchi della chiesa. Sul lato sinistro trovava posto un piccolo coro microfonato (4 signore appassionate) con direttore d’orchestra, un signore ancor giovine, biancovestito, dotato pure lui di microfono personale. Cantava da solista, questo, muovendo le mani per l’aere, disegnando traiettorie come ho visto fare da Mina qualche anno fa. Di fronte al coro stazionava un pesante suonatore di chitarra. Il ragazzo (piuttosto cresciuto) indossava una felpa scura e brache di identico colore tirate su fino ad arrivar con la cinta al principio del costato. I pantaloni avevano in vita un elastico e questo formava il cosiddetto “effetto salame” sul personaggio. Indossava pesanti occhiali da miope, sul cui fondo s’intravedevano due vaghi puntini. La pelle bianca, le movenze pesanti, la consapevolezza di un certo ruolo, un certo potere all’interno di questa congregazione, lo rendevano immediatamente antipatico.

Don Roberto, prete annoso e quieto, sorgeva quindi da dietro il pulpito, in abiti civili. Enunciava le tante volte in cui lo Spirito Santo era disceso sugli uomini e di cui si parla nella bibbia.

Adamo venne addormentato per via dell’affare della costola, Abramo preso dal sonno come preludio di un accordo con l’Altissimo. Lo stesso San Paolo (che piace tanto ai carismatici) folgorato e quindi intorpidito sulla via di Damasco. Insomma, pare che il Paraclito sia per lo più un anestesista.

Continuano le salmodie e gli inni. Il chitarrista va e viene dalla sacrestia con fare deciso. Ogni volta che passa davanti all’altare si volta verso di esso e china il capo con un gesto profondo e rapido. Egualmente rapido si riaggiusta gli occhiali sul naso.


Arriva gente. La chiesa è piena. Inizia la messa. Torno alle caldarroste.

Mi affaccio per percepire appena il prete che ribadisce quanto il papa abbia diritto di parlare di qualsiasi cosa ed in specie di intervenire sulle cose dello stato civile. Giusto, penso. Libertà di parola. Magari coi propri mezzi e non con quelli dello Stato.

Finisce la messa e una larga parte delle persone se ne esce. Non credevo, pensavo che la gente fosse venuta sì per la cerimonia, ma soprattutto per assistere alle guarigioni o per farsi guarire. Noto invece che restiamo quelli che eravamo all’inizio, prima della messa. Forse c’è un certo scetticismo piemontese che protegge la Valle da sperticate partecipazioni a certi rituali, non so. Ma è un dato: la gente partecipa volentieri alla messa, non altrettanto alle odi per le guarigioni.

Continuano le salmodie e anzi s’intensificano. Si canta secondo un modulo particolare: il sedicente chitarrista strofina lo stesso accordo ossessivamente. Le prèfiche neniano a bocca chiusa. Il chitarratore blatera cose incomprensibili: pare che sia un modo di liberare qualcosa di nascosto nel proprio io profondo, o cose del genere. Penso per più fiate che se il Santissimo potesse far qualcosa per quel chitarrista sarebbe un buon inizio. Magari insegnargli ad accordare la chitarra.

Della ventina di signore e signori rimasti ce ne sono molti che paiono commossi, colpiti, appassionati. Pregano, guardano fissi un punto in alto, un signore si strofina la faccia, come se piangesse. A un certo punto viene giù come ora cadono le castagne. Finisce seduto sul banco, apparentemente addormentato. Al banco dietro avviene lo stesso ad una signora attempata. Questa non cade bene, anzi, va ad incastrarsi fra i banchi. Viene soccorsa con delicatezza, e, senza svegliarla, appoggiata ad un’altra signora che la sostiene. Il torpore dura alcuni minuti. Le nenie continuano. Alcuni aiutanti preparano una fila di sedie davanti al presbiterio. A turno tutti si siederanno, invitati da altri. Don Roberto esce dalla sacrestia e impone le mani. Gli aspiranti guariti dopo essere stati toccati restano inebetiti a guardare il soffitto, forse alcuni dormono.

Vedo Mauro, tra i fedeli, un vecchio amico. Lo saluto. Mi spiega che prima non si usavano le sedie, prima si stava in piedi davanti al prete e lui ed un suo amico stavano alle spalle del guarente, in modo da captarlo al volo non appena l’anestesia avesse fatto effetto. Ma ora si preferisce usare le sedie.

Ci credo: per un verso guarisce l’artrosi e per l’altro ti procura la rottura del femore.

Ma non è giusto essere sarcastici con queste persone: c’è sofferenza autentica tra questa gente, c’è la disperazione per sé o per qualche congiunto. Eppure non riesco a vedere le cose che mi accadono senza provare un blando stimolo al sorriso. Mi allontano in silenzio ed appena in macchina accendo il CD ed esce la voce di Fossati che canta Jubileum Bolero: “Io sono devoto alla logica / Sono devoto a San Giorgio e al suo cavallo / Ecco l’ingegnoso cavaliere e il suo scudiero / A noi tre sarebbe bastato per esempio / Essere immortali. / Ecco il vertiginoso parlare dello spirito umano / Ecco l’insaziabile ricerca che genera / L’opera invisibile / L’opera imperdonabile …”

Fosse stata in questa chiesa mia nonna, da gran bigotta qual’era, avrebbe scosso la testa e se ne sarebbe andata a pregare in camera sua: “Santa Barbara e san Simon, vardeme da u lamp e da u tron ”.

 

ALESSANDRO MARENCO

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.