Privatizzazione dell’acqua

Campagna referendaria sull’acqua.
 In tutta la provincia 20 punti di raccolta
L’acqua sarà la causa di nuove guerre al posto del petrolio
NON SOLO ACQUA !!!!!!

Campagna referendaria sull’acqua. In tutta la provincia 20 punti di raccolta
L’acqua sarà la causa di nuove guerre al posto del petrolio
NON SOLO ACQUA !!!!!!

Con la privatizzazione dell’acqua, da sempre concepita come bene pubblico, non è solo a rischio un diritto universale che vede la stessa come bene essenziale, ma è anche a rischio la partecipazione democratica, alla sua gestione, dei cittadini che la pagano.

Questo lo sanno bene gli amici di Amare Vado che hanno approntato, sabato mattina in Piazza Cavour, il loro banco di raccolta firme per il referendum abrogativo e tutti coloro che hanno seguito il loro esempio nelle altre piazze d’Italia.

Questo lo sanno bene coloro che si sono e si stanno apprestando a dare la loro firma per dire: ADESSO BASTA, SULL’ACQUA DECIDIAMO NOI!

Nessuno può sentirsi estraneo a questa battaglia proprio mentre la Francia, che tempo fa aveva intrapreso la strada della privatizzazione dell’acqua, sta facendo “marcia indietro” e in Italia si sta correndo a piè sospinto verso l’immissione nel mercato del “bene acqua”, per dare la possibilità ai privati di trarne profitto.

Il percorso è partito anni fa e malgrado  la fortissima pressione dell’opinione pubblica e gli appelli lanciati da più parti, si è andati avanti comunque, pur sapendo che la  liberalizzazione dell’acqua peserà sulle tasche dei cittadini con aumenti che – secondo le associazioni dei consumatori – saranno  compresi tra il 30% e il 40%, se consideriamo in 3 anni il tempo necessario perché il nuovo sistema vada a regime.

 Si è stimato, infatti, che se nel 2009 una famiglia media italiana ha speso 260 euro per un consumo medio annuo di 200 metri cubi d’acqua, tra 3 anni la stessa famiglia spenderà 340 euro all’anno.

In una cittadina toscana, dove spesso soggiorno, ho sperimentato concretamente quanto viene previsto dalle associazioni consumatori.  Qui i privati, subentrati, già da qualche tempo, nella gestione in una S.p.A. con una piccola quota pubblica, hanno emesso bollette dell’acqua che, fra i metri cubi e le tassazioni aggiunte, possono arrivare per lo stesso consumo anche a una spesa di 400 euro l’anno.

Questo accade anche in altre cittadine della stessa Toscana dove, mentre ci si dichiara contrari e si firma l’opposizione al decreto Ronchi, si sperimenta, da tempo, una compartecipazione col privato e cioè a capitale misto dei servizi idrici, annullando di fatto un modello pubblico lontano da una democrazia partecipativa e da un controllo diretto delle comunità locali a tutti gli effetti.

Forse proprio per questo Bersani non appoggia l’iniziativa dei Comitati referendari pur “guardandoli con simpatia”, sostenendo che il referendum non sia la strada giusta, perché non propone nessuna legge al posto di quella abrogata.

Il referendum però, e questo lo sa anche Bersani, non ha la pretesa e neanche il ruolo di legiferare, ma solo quello di esprimere la volontà popolare nei confronti di una legge che andrà a regolare un bene che i cittadini sentono moltissimo e la prova ne è che, davanti ai banchi di raccolta firme, la fila paziente e ordinata sia continua .

La partecipazione democratica e il senso di civiltà della gente si manifesta puntualmente, ma sempre più lontano dagli organi di partito che, pur volendo rappresentare le forze della sinistra, ne hanno perso il ruolo.

Intanto con la conversione in legge del Decreto che apre la strada alla privatizzazione, più del 50% delle aziende attualmente operanti cesserà di esistere al 31 dicembre del 2011, salvo non venda almeno il 40% a gruppi industriali privati che baderanno soprattutto ai loro profitti e questo , si è già visto in alcune regioni  del Sud, può aprire la strada agli interessi della criminalità organizzata che farà  dell’acqua, come dei rifiuti, il suo business.

IDROPOLITICA E BUSINESS.

I conflitti nel mondo per l’accesso all’acqua sono sempre più numerosi, perché l’acqua, ormai si sa, sarà la causa di nuove guerre al posto del petrolio.

L’acqua, infatti, non scorre solo dal nostro rubinetto, ma è usata dalle industrie e da altre attività produttive, in agricoltura e nelle centrali di produzione di energia, insomma una fonte primaria legata all’economia e alle condizioni sociali di un Paese e condizionata solo in minima parte alle condizioni climatiche e orografiche del suolo, quanto alle scelte politiche degli Stati che la governano.

In Bolivia, ad esempio, l’acqua è abbondante ma, gestita da multinazionali europee e americane che aumentandone il costo del 20%, l’ha portata a essere motivo di guerriglie e proteste da parte della popolazione.

In Turchia, dove l’acqua è moltissima, si combatte con Siria e Iraq per il controllo del Tigri e dell’Eufrate.

In tutto il mondo si possono contare una cinquantina di guerre combattute a causa della gestione e del controllo dell’acqua che diventa, sempre  più un mezzo di potere o di ricatto: la nuova idropolitica.

La soluzione prospettata da alcuni, però, di considerare come bene economico raro l’acqua dandole un prezzo di mercato che ne rifletta la scarsità, porta la stessa alla stregua del petrolio e non favorisce certo la pacificazione dei conflitti piccoli e grandi, agevolando solo il business di pochi.

Neanche nel mondo occidentale e soprattutto nel nostro Paese, ci si può illudere di dare soluzione a problemi annosi consegnando al mercato privato i servizi idrici nazionali.

Problemi come: sprechi idrici da attribuire a vecchie e mal gestite condotte, come distribuzioni orarie giornaliere dell’approvvigionamento idrico dovute non certo alla siccità stagionale, come perdite e mancati controlli sulla potabilità e la depurazione delle acque, ancora vergognosamente presenti in alcune Regioni.

Le disfunzioni che gestori pubblici inadeguati hanno prodotto negli anni, non saranno certo i privati o le multinazionali a sanare, troppo impegnati a ricavare i loro profitti proprio dall’acqua: bene comune e  diritto universale.  

I cittadini, che hanno deciso di dare la loro firma, sanno che solo con l’abrogazione di questa legge, approvata con tanto di fiducia, si potrà rivendicare una ripubblicizzazione dell’acqua, perché L’ACQUA E’ UN BENE COMUNE E NON SI VENDE.

                                                     ANTONIA BRIUGLIA 

 

 Guarda i 20 punti di raccolta

 

 

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