Presidenzialismo maggioritario

Il modello Francia e Germania non “piace”?
In Italia “presidenzialismo maggioritario”
ESTRANEITA’ CULTURALE
Dopo aver cambiato la testa degli italiani, nuove regole e distruzione della convivenza civile

Il modello Francia e Germania non “piace”? In Italia “presidenzialismo maggioritario”
ESTRANEITA’ CULTURALE
Dopo aver cambiato la testa degli italiani, nuove regole e distruzione della convivenza civile

Siamo stati incerti nella definizione più adatta da usare per riassumere il tentativo di modesta riflessione che seguirà in queste note: eravamo incerti tra “inadeguatezza culturale” ed “estraneità culturale”; l’uso di questa seconda terminologia ha voluto significare, semplicemente, un senso più netto e preciso di distacco; dell’esistenza, cioè, di due campi diversi di pensiero, attraverso i quali, però, non bisogna abbandonare la prospettiva di una possibile sintesi politica unitaria.

Una riflessione, dicevamo, rivolta alle tante compagne e compagni che, nel corso di lunghi anni, si sono impegnati in varie forme all’interno della sinistra italiana ed, oggi, si trovano davvero nella difficoltà di compiere delle scelte.

Il quadro generale è quello di una profonda crisi della democrazia repubblicana: non è questa la sede per ripercorrere tutti i passaggi, ma qualcuno, molto felicemente, ha scritto che “cambiata la testa degli italiani” ora bisogna “cambiare le regole” distruggendo l’impianto di convivenza civile e politica disegnato dalla Costituzione Repubblicana.

L’agenda dei prossimi mesi fa appare compilata dal potere dominante in modo da far tremare le vene ai polsi a chi ha a cuore, appunto, la continuità di quella che abbiamo già definito come democrazia repubblicana: sono in gioco il sistema di diritti sociali, il sistema giudiziario, la forma di  governo che si intende rivolgere verso la torsione estrema del presidenzialismo, la stessa forma unitaria dello Stato (già incautamente aggredita negli anni scorsi).

Nei mesi appena passati, di fronte ad un evidente “vuoto”a sinistra, nello schieramento politico, era stata reclamata, proprio a partire da quegli ambienti “storici” della sinistra italiana cui si faceva cenno, la costituzione di un nuovo soggetto politico unitario rappresentativo – appunto – dell’area politica della sinistra: un soggetto in grado, nel tempo, di contribuire fattivamente ad una riscossa del fronte democratico, costruendo anche una possibile alternativa al governo della destra.

Una prima risposta sembrava essere venuta con la formazione di “Sinistra e Libertà”, mentre su di un altro versante si procedeva ad una sorta di aggregazione (sotto forma federativa) di ciò che rimane di una certa idea di continuità nella denominazione “comunista”.

Oggi, all’indomani dei risultati elettorali e sulla base delle analisi che sono state compiute dalle parti apparentemente maggioritarie del quadro politico compare, molto preciso, il rischio che la risposta a quella domanda cui si accennava poc’anzi risulti del tutto orientata verso una sorta di “adeguamento” al modello che per  brevità definiamo come “presidenzialista – maggioritario” (combinazione tra esasperata personalizzazione della politica, rapporto diretto tra il leader e le masse, investitura popolare del tipo “unto del signore”).

Un adeguamento che avrebbe lo scopo di favorire una alternanza, alle cui spalle potrebbe esserci sì una certa diversità di contenuti (rimane il problema del cosiddetto “elettore mediano” ormai considerato esclusivamente quale fruitore televisivo), ma una sostanziale omologazione circa la qualità dell’agire politico.

I partiti, di cui si è decretata la fine, sarebbero sostituiti da contenitori da usare per appoggio ai leader e per convocare, di volta in volta, manifestazioni a Roma sugli argomenti più disparati al fine di litigare sulle diverse coperture televisive e sul numero dei partecipanti.

Un leaderismo progressivo, da trasferire anche in sede periferica, laddove – è bene ricordarlo- anche i leader sarebbero di ridotte dimensioni: così si costruirebbe un nuovo ceto politico votato alla “governabilità”, senza tener conto tra l’altro di quanto già accaduto in Rifondazione Comunista, laddove, sia pure, in forme diverse una operazione analoga era già stata tentata, a partire dal 1993 ed attraverso il passaggio cruciale del 2001, creando appunto un ceto politico, che oggi si aggira ancora nei corridoi del Parlamento alla ricerca del seggio perduto (da domani, a questi si aggiungeranno anche i deambulanti all’interno dei corridoi delle varie sedi regionali sparse in giro per l’Italia).

Sotto questo aspetto appaiono emblematiche alcune affermazioni del rieletto Presidente della Giunta Regionale Pugliese, che appare davvero il corifeo di questo “nuovo corso”; in particolare al riguardo del passaggio ormai avvenuto dal “che fare?” al “chi fa?” ( una sorta di superamento a destra del leninismo, verrebbe da dire, in maniera del tutto impropria).

Obiettivo di questo tipo di azione: quello di arrivare ad una contrapposizione simmetrica, di tipo bipolare, con il capo del centro destra, accettando il modello dominante della governabilità quale fine esaustivo della politica (che si vorrebbe “partecipata” a colpi di grandi raduni di massa, utili per suffragare il ruolo personalistico di questo e di quello).

Il punto di questo ragionamento risiede nella constatazione del fatto che, a questo modo, si è costruito un meccanismo che rischia di risultare estraneo a moltissime compagne e compagni, culturalmente cresciuti in una condizione molto diversa dell’agire politico, quella (per riassumere) del partito “ad integrazione di massa” rappresentativo delle contraddizioni sociali e dotato di un adeguato impianto ideologico e programmatico, laddove l’azione collettiva e solidaristica appariva il perno dell’insieme dell’azione quotidiana.

Dobbiamo interrogarci su questo.

Senza avanzare fin da ora proposte di ridefinizione di rapporti politici al riguardo dell’esistente, ma nella consapevolezza che le strade possibile appaiono essere due: quella della costruzione di luoghi rivolti esclusivamente alla riflessione politico- culturale, senza pretese di discesa immediata nell’arena, puntando – nel medio periodo – alla elaborazione complessiva di una proposta dotata anche di alcune idee sul piano dell’impianto organizzativo e quella del tentare, comunque, di esprimere una soggettività politica compiuta, sia pure  -inizialmente – ridotta nei margini della testimonianza (al di là della consistenza numerica).

Insomma: si profila una fase di marginalità di scontare, rispetto ai padri/padroni della personalizzazione e della governabilità, anche se in altre parti d’Europa (Francia e Germania) ci si sta muovendo diversamente.

Con una domanda finale: c’è ancora chi pensa al partito come sede di intervento collettivo che prefigura una radicale “alternativa di società”?

Savona, 2 Aprile 2010                                                       Franco Astengo

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