PRESIDENZIALISMO E DINTORNI

PRESIDENZIALISMO E DINTORNI

PRESIDENZIALISMO E DINTORNI

 

Promotori e testimonial d’eccezione

A più riprese negli ultimi anni si è parlato sempre più frequentemente di presidenzialismo come ancora di salvezza per tutti i mali del nostro Paese. Si sono dichiarati favorevoli a questa modifica costituzionale i partiti del centro-destra, quelli del centro montiano e, in maniera più o meno velata, buona parte del PD. Si sono dichiarati invece decisamente contrari i cittadini italiani che nel 2006 hanno bocciato il tentativo di riforma costituzionale del partito di Berlusconi che voleva apportare un cambiamento della Carta in quella direzione.

Un grande sponsor del presidenzialismo è da sempre Giorgio Napolitano. La politicizzazione che Napolitano hai impresso al suo ruolo di capo dello Stato ha fatto entrare la causa del presidenzialismo nel senso comune dell’opinione pubblica. Pensiamo all’agire della prima carica dello Stato nella scelta del governo Monti, piuttosto che nella decisione di impedire a Bersani di presentarsi alle Camere, luogo preposto dalla Costituzione per capire se un governo possa o meno avere la fiducia del parlamento (location certamente più resposabilizzante di una diretta streaming).

 

 

Se non ora quando?”

Si parla quindi di presidenzialismo come soluzione per ovviare al problema della governabilità, per dare risposte all’incapacità della politica di risolvere i problemi, alla debolezza di potere da parte del governo per attuare riforme incisive ecc.ecc. Tutto questo si innesca perfettamente con la crisi della rappresentanza della democrazia creando un mix difficilmente controllabile e lasciando da parte enormi interrogativi sull’equilibrio dei poteri nel caso di una riforma verso il presidenzialismo.

In una società dove il mezzo sembra aver fagocitato il fine occorre ricordare la situazione in cui siamo oggi, poiché ubriacati da questi continui segnali monodirezionali stiamo perdendo di vista non la storia, bensì la nostra attualità. Nelle ultime elezioni abbiamo votato un candidato presidente del consiglio, ovvero il premier (figura non pervenuta nella lettura della Costituzione italiana), i governi che si sono succeduti nelle ultime legislature (marcatamente il centro-destra, ma anche il centro-sinistra di Prodi) hanno governato a suon di decreti leggi, svuotando di fatto il parlamento del proprio ruolo. Insomma un presidenzialismo di fatto.

Va inoltre osservato, a risposta dell’accusa di mancanza di governabilità attuale, che in Italia dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi si sono susseguiti 65 governi (compreso l’attuale targato larghe intese). In una loro calssifica per durata di tempo i primi due posti sono occupati dal II e IV governo Berlusconi (giugno 2001-aprile 2005 e maggio 2008-novembre 2011) e nei primi 10 risultano inseriti anche i due governi Prodi (1996 – 1998 e 2006 – 2008). Scendendo troviamo al 16° posto (su 65) il governo Monti. Questo vuol dire che rispetto agli ultimi 70 anni stiamo vivendo la stagione di maggior stabilità governativa che la repubblica italiana abbia conosciuto, a differenza degli anni 70 e 80 in cui cadevano governi ogni batter di ciglia. Il problema del governo del Paese allora è altrove, ovvero in una classe dirigente che non ha saputo dare risposte a problemi della vita reale dei cittadini e che l’unica risposta che sa dare oggi è che non è riuscita a farlo per mancanza di potere. L’alibi decisamente non regge.

 


 

 

Quale democrazia?

Il presidenzialismo mette anche al centro della discussione il concetto stesso di democrazia. Vi sono campi della vita dell’uomo che non si possono considerare fatti e finiti. La democrazia è uno di questi spazi e va riconquistata ogni giorno nella coscienza di ogni cittadino e va garantita da istituzioni civili, governate da uomini capaci di impegnarsi per il bene comune resistendo alle pressioni degli interessi privati. La democrazia non è soltanto un costume, una metodologia pratica per regolare i rapporti tra gli individui, ma è la filosofia di una società di uomini liberi ed eguali. E’ il risultato di un lungo processo storico che può sempre regredire a causa della violenza di alcuni e dell’ignavia degli altri. Occorre aver ben chiaro quest’ultimo concetto anche per poter leggere la svolta presidenzialista: la democrazia non è qualcosa di fissato, essa può avanzare o regredire. L’accentramento del potere nelle mani di una sola persona non può essere certamente un avanzamento, e di questo bisogna esserne ben consci.

 

 

E i partiti?

Norberto Bobbio nel suo Il futuro della democrazia scriveva che tra le promesse della democrazia vi era quella di alimentare spontaneamente ed autonomamente lo spirito democratico. Oggi abbiamo le prove per dire che la democrazia è tutto tranne che autosufficiente. In questi anni è venuto a mancare il maggior motore della democrazia, ovvero le spinte morali che l’hanno legittimata. Siamo arrivati alla pura e semplice logica della rappresentanza degli interessi costituiti.

Con la Costituzione la politica del tempo seppe rispondere al cambiamento dalla repubblica parlamentare a quella dei partiti, era infatti il periodo in cui i grandi partiti di massa erano espressione del popolo e delle sue ambizioni di cambiamento. Ora, se una politica c’è, è suo compito saper leggere i segni dei tempi e dare delle risposte. Di certo la proposta di legge “anti-movimento” di Zanda e della Finocchiaro più che una visione lungimirante pare un maldestro tentativo di risposta autoritaria ad una profonda crisi partitica. Dove non si sanno dare riposte di merito un bel colpo di repressione è da sempre l’arma più semplice, ma anche quella più fragile in prospettiva.

 

 

 GIORGIO MASIO                          2 GIUGNO 2013

 

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