Postverità 3, Il gatto, la volpe e ben altro

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Postverità 3
Il gatto, la volpe e ben altro

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Il gatto, la volpe e ben altro

 Riprendo il discorso sulle fake news, che rappresentano, a mio parere, uno dei dati più preoccupanti dei nostri tempi, perché minano alla base la democrazia, la quale presuppone, per usare una terminologia medica, il consenso o il dissenso informato. Il connubio conoscenza-democrazia è organico, al punto che, mancando l’una, l’altra fatalmente degenera. Conoscere, Aristotele ce lo ha insegnato, presuppone la corrispondenza dei nostri giudizi agli stati di fatto e il ragionamento su di essi, secondo le leggi della logica: l’insieme si chiama argomentazione. I fatti sono sotto gli occhi di tutti o sono verificabili, attraverso i testimoni, e il ragionamento segue regole codificate e valide per tutti. Se rinunciamo alla verifica e alle leggi che governano il ragionamento, noi rinunciamo a capire per credere, affidandoci all’autorità di chi ci suggerisce la versione che corrisponde al suo interesse, ovvero di chi vuole da noi non la conoscenza, condizione di autodeterminazione e democrazia, ma la fede, che istituisce un’autorità, la quale vede per noi e pensa per noi. Da parte nostra, si tratta di una vera e propria abdicazione al personale e faticoso esercizio della sovranità. Quindi, come si diceva, un ‘de profundis’ per la democrazia. La libertà è un bene impegnativo, che chiede disciplina.

 Conclusa la premessa, veniamo ai fatti (e misfatti), buttandola in politica, dove il cui prodest delle bugie è molto chiaro, anche perchè sappiamo quanto Brexit e Trump debbano alle fake, non buttate lì, o la va o la spacca, ma sapientemente prodotte e innescate da un meccanismo complesso di diffusione. Ma, senza andare troppo lontano, possiamo cercare esempi più comodamente in casa nostra: come ci hanno rivelato le indagini di Report, alla destra illiberale di Salvini e Meloni è legata la sistematica diffusione di fake, attraverso cui fomentare un dissenso disinformato e alimentare l’odio, facendo leva sulle passioni antisociali e sovversive di parte della popolazione: egoismi, paura, invidia; e usando a man bassa la comunicazione immediata, via social.

Argomento principale, specie per la Lega, l’immigrazione, dipinta come fonte di ogni male e lesiva degli interessi degli italiani. Qui le fake e i fotomontaggi abbondano, uno per tutti, quello supercondiviso, in cui i fisicati e sorridenti attori di un film sono spacciati per i naufraghi ‘illegalmente’ salvati da una nave ONG. Ci sono fattori predisponenti a recepire tali input, come la crisi, l’insicurezza, la scarsa cultura, la maleducazione, la voglia di dare volto a un capro espiatorio, un nemico che identifichi in negativo l’appartenenza, il bisogno storico di paternalismo, e, oggi, la pandemia. Fino a che punto la base acritica cui si rivolgono questi messaggi riesca ad assorbire la mistificazione, lo rivela anche il fatto che accetta senza batter ciglio che a difendere i valori della famiglia tradizionale sia un manipolo di divorziati o con famiglie disfunzionali. Su questo bisogna dire che c’è stato un lavoro secolare delle comunità cattoliche, abituate dai loro pastori alla doppia morale: fa ciò che dico, non fare ciò che faccio. Pars destruens del sistema fake: non ti fidare di loro (Governo, ONG, Europa, Soros, Bill Gates, papa Francesco ecc.) Ora, se la questione fosse in questi termini: non ti fidare ciecamente ma esercita sempre il pensiero critico, la cosa andrebbe anche bene, ma qui l’appello è ben altro: fidati incondizionatamente di noi. Qualcuno ricorda il gatto e la volpe, versione canora di Bennato? Lui ė il gatto, io la volpe: stiamo in società, di noi ti puoi fidar. 


Quanto al ragionamento, il gatto e la volpe ci presentano almeno due fondamentali strategie manipolatorie: il benaltrismo e quella che mi piace chiamare ‘la deduzione a testa in giù’. Il benaltrismo lo ricordiamo sintetizzato, in combinata con l’alterazione parziale e mirata dei fatti, nel famoso “parlateci di Bibbiano”, dove si volevano sostenere gravi compromissioni, poi fugate, del PD, da usare per screditare l’avversario e non rispondere ai suoi argomenti. Per inciso, è noto come le macchie restino nella memoria a prescindere dai chiarimenti posteriori, per cui, dal punto di vista degli stomaci pelosi, infangare capitalizza sempre (leggi). Il benaltrismo è un depistaggio intenzionale del ragionamento, per evitare di trarne le conclusioni o di assumersi le proprie responsabilità. È una bieca forma di disonestà intellettuale, già presente nell’humus nazionale. Ricordo, ad esempio, un dentista da cui mi facevo curare anni fa, che, mentre non mi faceva la ricevuta o me la faceva dimezzata, si autogiustificava dicendo: l’evasione è ben altra. Da allora il ritornello l’ho sentito cantare più volte.  Un esempio di benaltrismo da manuale ce lo ha dato ancora Salvini, quando a Di Martedì, a Floris che gli contestava di aver tolto la mascherina per fare un selfie con una fan, alla fine se ne è uscito con “gli italiani devono tornare a vivere, perché rischia di fare più morti la fame del virus’.  Larga la foglia, stretta la via: dite la vostra che ho detto la mia.


La deduzione a testa in giù sta alla base di ogni razzismo, perché altera le regole della deduzione, pretendendo di dedurre il più generale dal più particolare, in questo modo: ALCUNI immigrati si comportano male, quindi TUTTI gli immigrati sono pericolosi. Ai grandi logici una cosa simile procurerebbe l’orticaria. Credo che il ritorno alla disciplina del sillogismo sarebbe un buon correttivo delle derive, anche etiche, a cui sta conducendo l’irragionevolezza.

Fine della terza puntata.

Nella prossima parlerò delle fake sul covid e del complottismo applicato alla scienza.

  GLORIA BARDI

 

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