Postille e puntualizzazioni un po’ piccate

Postille e puntualizzazioni un po’ piccate
A proposito di monumenti e di colonie

Postille e puntualizzazioni un po’ piccate
A proposito di monumenti e di colonie

 Il primo significato di moneo è “far ricordare”, da cui monumentum, l’oggetto fisico che ha la funzione di mantenere il ricordo di qualcuno o qualcosa. A questo serve una tomba o un cenotafio, come quello eretto ad Affile per Rodolfo Graziani. Che è stato, piaccia o no, un personaggio importante per l’Italia della prima metà del secolo scorso, un protagonista del tentativo italiano di strappare a francesi e inglesi il monopolio dell’Africa e del bacino del Mediterraneo. Francesi e inglesi che i loro imperi non li avevano perì fúseos, per grazia divina o per qualche misterioso lascito ma come risultato di occupazioni militari accompagnate da stragi, deportazioni, violenze, giustificate dalla superiorità razziale, civile e morale. Francesi e inglesi per i quali l’Italia piantata in mezzo al Mediterraneo era una presenza ingombrante, un terzo incomodo per i primi che aspiravano a egemonizzare tutta l’Africa occidentale e per i secondi, che consideravano vitale il medio oriente per unire i loro possedimenti dal Kenia al Mar Rosso fino al Mediterraneo, senza soluzione di continuità e senza rivali.

Gli stessi inglesi che consideravano cosa loro il continente su cui insisteva una civiltà che quando loro si aggiravano per le fitte foreste dello Yorkshire emettendo grugniti aveva già prodotto sofisticate organizzazioni politiche, raffinati stili di vita, complessi sistemi filosofici, un tesoro letterario confluito nelle Mille e una notte e le basi del sapere astronomico e scientifico dell’occidente, compresa la numerazione che chiamiamo araba.


A proposito delle colpe sabaude

Che in Italia, dopo il 1925, ci sia stata una dittatura non c’è bisogno che lo dicano gli antifascisti: lo dichiarava esplicitamente Mussolini forte di un consenso plebiscitario. Una dittatura che non si impone con la forza, che non è sostenuta dall’esercito o da altri poteri dello Stato ma si regge sulla volontà popolare è comunque abbastanza atipica. Ma ancora più atipico è un dittatore che rassegna le dimissioni perché sfiduciato da un organo da lui stesso creato.

Vittorio Emanuele III sarebbe colpevole di aver dato a Mussolini l’incarico di formare il governo nel 1922. A chi avrebbe dovuto dare l’incarico? Ai socialisti che avevano perso le elezioni? Forse perché se la sinistra perde il gioco non è più valido?

Vittorio Emanuele III sarebbe colpevole di aver gettato l’Italia in due guerre (parole testuali di un giornalista di Sky). Due guerre, si badi bene, mondiali, alle quali nessuna potenza di rilievo si poté sottrarre, non volute dai governi italiani, scatenate dallo sciovinismo francese e tedesco e dagli interessi della finanza internazionale e alle quali l’Italia dové partecipare per non rischiare la marginalità.

Vittorio Emanuele III è accusato di un colpo di Stato che non ha commesso ma si tace del colpo di Stato di cui si è reso responsabile il 25 luglio del 1943 quando, dopo aver ricevuto le dimissioni del Duce, col pretesto di volerlo proteggere (?) lo fece arrestare. Si insiste sulla fuga ma si glissa sul doppio gioco, quando l’abbandono della capitale potrebbe anche essere giustificato ma il doppio gioco assolutamente no.


A proposito di fascismo

Dalla fine della guerra ad oggi, qualcosa come settantadue anni, si continua ad agitare il fantasma del fascismo e a rivendicare i valori della democrazia e, of course, della resistenza. Ma che cosa diamine si intenda per fascismo non è dato sapere. Sarà l’ideologia sottesa al programma di sansepolcro? Sarà il ventennio mussoliniano? O saranno i 600 giorni di Salò? Perché anche i più sprovveduti sanno che sono cose diverse. Attribuire la caratteristica di regime all’effimera Repubblica Sociale Italiana è un po’ azzardato. Si trattò di una costruzione politica precaria e sgangherata, utile per garantire scuola, cure mediche, lavoro e, in generale, una vita relativamente normale a decine di milioni di italiani che altrimenti sarebbero stati alla mercé di un governatorato militare tedesco. Quando Gentile fu assassinato usciva dall’aula universitaria dove aveva fatto lezione e fu una sua studentessa a indicarlo al sicario che gli sparò. Lezione, università, cose di ordinaria normalità come l’ospedale in cui io bambino fui operato di tonsillectomia, come i tribunali che decidevano di cause civili o i carabinieri, non più reali, che arrestavano i topi di appartamento. Normalità nella precarietà del coprifuoco, degli allarmi, dei bengala, delle tessere annonarie e degli attentati. Sopravvivenza, illusione, velleitarismo e in buona sostanza attesa della fine. Sarà questo il fantasma che fa paura? I partigiani hanno combattuto contro i tedeschi e l’esercito di questa repubblica precaria e sgangherata. Come si fa a chiamarla resistenza è un mistero. Resistenza a che cosa?

Ma forse il fantasma è quello dei fasci di combattimento. Quelli, per intenderci, nati per contrastare la pretesa di anarchici e socialisti di sovvertire lo Stato o di cancellarlo seguendo l’esempio della Russia, come recitava una canzone “rivoluzionaria”. Quelli che avevano adottato i metodi dei loro avversari e che toccò a Mussolini, diventato l’uomo d’ordine, mettere in riga. Tolte le violenze, di quella stagione rimase il patriottismo dannunziano, che nel regime evolse nel mito dell’impero. Archeologia.

Il fantasma da esorcizzare non è però quel magma di anarchismo nero, futurismo libertario e superomismo di una stagione irripetibile dominata dall’irredentismo fiumano. Il fantasma è verosimilmente quello del ventennio, segnato dalla scomparsa della sinistra, anzi, del sistema dei partiti sciolti nel calderone del partito unico, dai limiti imposti alla libertà di stampa, di parola, di associazione. Gli stessi limiti che ci vorrebbero imporre quanti tacciano di fascismo ogni tentativo di contrastare il regime attuale, impasto di corruttela, affarismo, violenza occulta e stupidità, caricatura grottesca di democrazia e liberalismo. Il fantasma è quello di un ventennio in cui l’Italia fu teatro di un esperimento politico al quale non guardava con ammirazione solo l’agitatore tedesco che sognando un nuovo ordine europeo finì per trascinarci nel baratro della guerra ma, per un lungo periodo, tutto l’Occidente con la benevola attenzione prima di Lenin poi dello stesso Stalin. E con qualcosa di più di una benevola attenzione da parte di quel mondo islamico che ora ci odia e ci disprezza. Lascio per ultima la calorosa amicizia del mahatma, il simbolo della non-violenza e della fratellanza universale.

Le leggi per la difesa della razza del 1938 sono un’infamia; ma un’infamia è anche stabilire una relazione fra quelle leggi, che ribadivano o ripristinavano le limitazioni giuridiche imposte dal papato ai non cattolici o ai preti spretati, e le deportazioni o addirittura le camere a gas. Le norme che discriminano i cittadini sulla base della confessione religiosa o della razza sono un’infamia ma è anche un’infamia far credere che siano state una prerogativa del regime fascista. Quelle norme gli inglesi di religione cattolica le conoscevano bene come le conoscevano bene gli irlandesi e meglio ancora le conoscevano gli americani di pelle scura ai quali non erano interdetti solo gli uffici pubblici o l’insegnamento o, finché non ha fatto comodo servirsene come carne da cannone, l’esercito ma perfino l’uso dei mezzi pubblici.


A proposito di coscienza storica

Italiani io vi esorto alle storie! Il richiamo di Ugo Foscolo è evidentemente rimasto inascoltato se ci troviamo un ministro della difesa che confonde il secondo Reich, tenuto a battesimo da Bismarck che ricompose l’unità politica perduta con la fine del Sacro Romano Impero (Heiliges Römisches Reich, che è il primo Reich, tedesco, nonostante il nome), col progetto hitleriano di riscattare la repubblica di Weimar creando un nuovo impero germanico (il terzo Reich) e fa confusione con le bandiere. Ma una confusione che nessun politico ha rilevato, men che mai il ministro dell’istruzione, non solo digiuna di storia ma vittima della scarsa dimestichezza con la lingua scritta e quella parlata, che la fa inciampare nel congiuntivo e inabissare nel “più peggiore” dei modi. Che credito dare a questa gente quando straparla di fascismo e di democrazia? Resta da sperare che qualche Fiano non accusi la Guardia Civil spagnola di violazione della legge Scelba per quel bel fascio littorio che campeggia nel suo stemma.


Ci meritiamo tutto questo?

Qualis rector tales illi qui reguntur. Niente di più falso; la relazione è complementare, non simmetrica: senza ladri non ci sono derubati e gli italiani sono da troppo tempo derubati. Derubati non solo di soldi ma soprattutto di dignità, di decoro, di memoria, di coscienza. Gli italiani non somigliano ai loro governanti. Il popolo italiano è paziente, laborioso, intelligente, tollerante e l’ha dimostrato nei secoli della sua storia. Ripagato ora della sua laboriosità con le inchieste (!!!) sui “furbi del cartellino”, costruite ad arte per disorientare l’opinione pubblica, screditare il pubblico impiego, mettere una categoria contro l’altra; ripagato della sua mitezza con la sopraffazione subdola delle istituzioni e scoperta della canaglia dei centri sociali; ripagato della sua intelligenza con un sistema formativo disastroso a tutti i livelli; ripagato della sua tolleranza con l’invasione programmata dall’Africa (e se appena osa manifestare qualche perplessità scatta l’accusa infamante: razzismo!).

No. Gli italiani non meritano questi governanti, questi politici, questa caricatura penosa di democrazia. Stretti fra due imbonitori speculari, con un aspirante premier che confonde il Cile col Venezuela e minaccia di mettere le mani su pensioni da duemila euro scambiandole per pensioni d’oro, bombardati quotidianamente dal caso Bóschi (non sanno dire Bòschi: ma è così difficile imporre ai giornalisti televisivi il rispetto della fonetica italiana?) tanto per non parlare di chi ha preso i soldi e di com’è potuto accadere che quattro scalzacani si siano impadroniti del sistema bancario italiano. 

     Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.