Politica nazionale

BLOCCO DEL NORD E IPOTESI SECESSIONISTA
Dove ci portano la “Lega” ed il “Lord Protettore”
Qualunquismo seminato a piene mani, e il sindaco Berruti…

BLOCCO DEL NORD E IPOTESI SECESSIONISTA
Dove ci portano la “Lega” ed il “Lord Protettore”
Qualunquismo seminato a piene mani, e il sindaco Berruti…

L’esito delle elezioni regionali 2010 fornisce, tra le altre, alcune ipotesi di valutazione politica tali da prefigurare scenari inediti nella storia della Repubblica.

Il successo della Lega Nord in Veneto ed in Piemonte, unito alla conferma del PDL in Lombardia (accanto ad un alleato leghista forte, anche se non in grado di vantare lo “sfondamento” preventivato) ha indotto molti commentatori a parlare di “Blocco del Nord”, prefigurando una ipotesi di subitanea richiesta da parte dei tre governi regionali di modifiche costituzionali al titolo V e specificatamente sul terreno del riparto di competenze tra Stato e Regioni, oltre che di accelerazione della road map sul federalismo fiscale (pur determinata dalle scadenze dei decreti di delega al Governo, già approvati dal Parlamento).

Il primo assaggio si è avuto con il rintuzzato (dagli stessi ministri leghisti) tentativo di non applicare la legge in materia di utilizzo della pillola RU486: un tentativo che ha fatto scrivere a Stefano Rodotà, circa una prospettiva di “turismo dei diritti”, attraverso il quale si cercherebbe di sfrangiare ancor di più la già frastagliata società italiana, nel suo rapporto con le istituzioni e con la stessa certezza del diritto.

Sul federalismo fiscale si è avuta, invece, la manifestazione dei sindaci lombardi (guidati dal sindaco leghista di Varese) presso la prefettura di Milano: una manifestazione che ben ha sintetizzato la capacità della Lega Nord di essere (come si diceva una volta) soggetto di “lotta e di governo” tenendo dentro questo difficile quadro ad una sorta di rinnovato qualunquismo, all’insegna  di un vero e proprio disfattismo istituzionale ( federalismo fiscale e superamento del patto di stabilità assumerebbero, in questa chiave, un ruolo centrale).

Governare attraverso il qualunquismo dei territori per minare l’assetto complessivo del sistema politico: questo il rischio che stiamo correndo nel fornire credibilità a questo tipo di politica.

Credibilità che, invece, è concessa da parte di amministratori locali del PD: abbiamo letto, infatti, anche con una certa sorpresa, un articolo scritto per “La Stampa” dal Sindaco di Savona, nel quale questo “qualunquismo leghista” appare seminato a piene mani, contrapponendo per di più il “fare” delle amministrazioni locali al “filosofeggiare” di presunti “mandarini romani” ( non meglio identificati e senza distinzione di parte politica) intenti a scialacquare il patrimonio per mantenere intatti i propri privilegi.

Intendiamoci bene, un problema riguardante l’eccesso di privilegi detenuti dal ceto politico esiste, eccome: ma, appunto, limitarlo ai cosiddetti “mandarini romani”, nell’analisi di un presunto amministratore locale, significa muoversi su di un terreno che definiremmo di tipo “qualunquistico – corporativo”.

In tutto questo emerge un attacco ai partiti nazionali (soggetto che, da tempo, non esiste più nel nostro Paese: tutti quelli presenti su piazza sono ridotti ormai a partiti territoriali, compresi quelli che pretendono ancora di avere una funzione nazionale, ma che, in realtà, come dimostrano i casi del PDL nelle regioni più importanti, Lombardia e Sicilia, appaiono essere , invece, “feudalizzati”) quasi si trattasse dei difensori di un presunto “malcostume centrale”.

Quali rischi corre, allora, la nostra democrazia, al riguardo dell’emergere di questo tipo di posizioni e all’interno di una crisi economica profonda e di crisi evidente di credibilità dell’intero sistema politico (come testimoniano le crescenti astensioni dal voto)?

Non crediamo proprio che la Lega Nord, forte di questa situazione di squilibrio nell’assetto politico del Paese che abbiamo cercato di descrivere, riproporrà l’antica opzione secessionista (non lo consentono neppure le condizioni di consenso di cui la Lega gode: consenso, complessivamente in calo e corrispondente all’erosione di consenso dell’intero sistema).

Piuttosto c’è da pensare ad una sorta di progressivo smembramento dell’unità nazionale, in favore e in coincidenza con un meccanismo di “principato” (ci era capitato, in passato, di scrivere di Berlusconi come del “Lord Protettore” cui l’intero sistema si sarebbe affidato: l’ipotesi di elezione diretta a turno unico di Presidente della Repubblica e Parlamento assumerebbe, in questo senso, un sapore plebiscitario del tipo di quello che ebbe, in Francia, nell’occasione del passaggio di Luigi Napoleone a Presidente, prima per 10 anni, poi a vita: in seguito proclamato Imperatore)) che potrebbe rappresentare il punto di saldatura di un nuovo assetto politico, in grado di superare definitivamente la “transizione italiana” avviatasi negli anni’90 ridefinendo complessivamente il quadro di relazioni istituzionali, politiche, civili, sociali e culturali delineate dalla Costituzione del ’48 (intanto partirà l’assalto all’articolo 116 della Costituzione: le regioni del “Blocco del Nord” chiederanno, verosimilmente la revisione dell’elenco delle materie di competenza dello Stato: immigrazione e scuola sopra tutte).

Come opporci a questo stato di cose che, verosimilmente, appaiono incombenti:? il PD appare incerto (del resto nel suo seno appaiono posizioni di infausta esaltazione della “territorialità” come quelle già espresse dal sindaco di Torino e così rozzamente riprese dal già citato oscuro Sindaco di Savona) e lo stesso Romano Prodi torna a parlare di “partito federale”.

Ecco: il dibattito andrebbe ripreso proprio a partire dal tema del federalismo e della gestione delle Regioni e degli Enti Locali, a partire dall’introduzione del meccanismo dell’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Provincia (legge 81/93), primo  passaggio nell’esaltazione – a basso livello – della personalizzazione della politica e della feudalizzazione del territorio.

Un dibattito che toccherebbe ai partiti, prima ancora che alle istituzioni, in una ricerca di ripresa di un ruolo e di una dimensione “nazionale” e di un recupero di radicamento sociale sul territorio, per fronteggiare attraverso una adeguata elaborazione programmatica (pensiamo all’intervento pubblico in economia, allo stato sociale, alla proprietà dei beni comuni, all’assetto del territorio, al ruolo dei consessi elettivi nell’idea di un recupero nella centralità della rappresentanza politica): esiste, almeno a sinistra, una possibilità di avviare un serio confronto su questi temi?

Savona, 12 Aprile 2010                                                           Franco Astengo

 

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