Politica

PROMEMORIA
PER  EVENTUALI STORICI FUTURI

 PROMEMORIA

PER  EVENTUALI STORICI FUTURI

A volte mi chiedo sconsolato che cosa mai potranno scrivere di noi italiani di oggi gli storici futuri (sempre che questi abbiano voglia e tempo di dedicarsi a un tema così deprimente). Ho detto “noi” a bella posta perché è tra di noi, nel seno delle nostre istituzioni e dei nostri mezzi di comunicazione di massa – giornali cartacei e online, social network e, soprattutto, reti televisive – che sono cresciuti e si sono moltiplicati “fenomeni” teratologici  come il mediatico e populista Cav. e, a seguire, come Giuliano Ferrara, evolutosi o involutosi da comunista  a socialista craxiano a berlusconiano a neodevoto;

o come il povero Sandro Bondi, comunista pentito e folgorato sulla via di Arcore dal carisma del medesimo Cav; o come l’isterico sedicente socialista Renato Brunetta così incline all’offesa e all’insulto gratuito; o come  l’estroso e bizzoso esteta Vittorio Sgarbi, il quale, stanco di volteggiare tra Sinistra e Destra, ha trovato infine il suo ubi consistam nella casa, o meglio, nella magione principesca del munifico Cav., di cui difende a spada tratta il diritto di divertirsi come gli pare e con chi gli pare (o di mantenere o premiare con cariche pubbliche le sue favorite); o come, si parva licet, la non più giovane promessa del partito radicale Daniele Capezzone, approdato anch’egli,  seguendo l’esempio del senatore Quagliariello e dell’onorevole (!) Stracquadanio (per tacere della già fervente femminista Eugenia Roccella convertita ai principi non negoziabili della Chiesa cattolica), nelle stanze dello stesso Cav.; o come gli avvocati-deputati Ghedini e Paniz, pronti a giurare sull’innocenza del Principe anche se, mettiamo il caso, fosse colto con le mani (?) nel sacco; o come gli ineffabili Scilipoti, e, ultimamente – chi l’avrebbe mai detto? – la fiera pattuglia dei radicali pannelliani entrati non si capisce perché nel partito democratico ma “indipendenti” e “dissidenti” per principio (almeno si spera). Sul “fenomeno” Umberto Bossi e del suo inner circle il tacere è bello.

 

 Qualcuno si chiederà come abbiano potuto personaggi di tal fatta arrivare così in alto; oppure come abbiamo potuto, tutti noi, cadere così in basso, perché è stato anche grazie alla nostra passività o al qualunquismo dell’italiano medio che questi “fenomeni” hanno potuto allignare, formarsi e trasformarsi praticamente sotto i nostri occhi. Prendiamo il caso, invero sintomatico e strabiliante, rappresentato dalla carriera politica dell’onorevole Fabrizio Cicchitto: esponente di primo piano negli anni Settanta di Alternativa Socialista, la corrente  di Riccardo Lombardi del PSI, venne espulso dal partito per essersi iscritto, nel dicembre del 1980 alla loggia massonica “coperta” P2. Riabilitato da Bettino Craxi nell’ottobre  del 1987 ha appoggiato la leadership craxiana fino alla decadenza del gruppo dirigente a causa delle inchieste della Procura di Milano sui finanziamenti illeciti ai partiti. In attesa delle elezioni legislative del 1994, in cui il PSI di Ottaviano Del Turco si presentò  insieme ai Progressisti di Achille Occhetto contro il Polo delle Libertà di Berlusconi, Cicchitto, che era commissario del partito in Puglia, viene nominato capogruppo socialista al Senato nel gennaio del 1994. In questa veste deferisce alla commissione di garanzia del partito il suo ex compagno lombardiano Claudio Signorile e Biagio Marzo, sospettati – si pensi un poco – di intese segrete con Berlusconi. In seguito alla sconfitta elettorale dei Progressisti, Cicchitto chiede le dimissioni del segretario Del Turco.

Dopo lo scioglimento del PSI fonda a Roma, insieme a Enrico Manca, il Partito socialista riformista (PSR); confluito poi nel Partito Socialista- Socialdemocrazia di Gianni De Michelis. Dal 1998 è editorialista de Il Giornale e  membro della direzione de L’Avanti. Nel 1999 lascia i socialisti ed entra in Forza Italia, assieme a Margherita Boniver, auspice Gianni De Michelis, buon amico di Berlusconi (come d’altronde fu lo stesso Craxi). Nel luglio del 1999 è cooptato nel Comitato di Presidenza di Forza Italia e nominato responsabile del Dipartimento Nazionale Lavoro e relazioni Sindacali. Alle elezioni legislative del 2001 viene eletto alla Camera in quota maggioritaria, per la lista civetta Abolizione scorporo nel collegio di Corsico (MI).

Rientra così in Parlamento, ma, questa volta, nelle file del centrodestra. Nel corso della legislatura è stato membro della commissione che ha indagato sull’affare Mitrokhin; è stato inoltre primo firmatario di cinque proposte di legge per la formazione di commissioni parlamentari d’inchiesta sull’affare Telekom-Serbia, sul dossier Mitrokhin, su Tangentopoli e sul (presunto)  uso politico della giustizia. Nel 2003 gli ex democristiani confluiti in Forza Italia pongono il veto sulla sua nomina a coordinatore  insieme a Sandro Bondi. Alle politiche del 2006 è candidato per Forza Italia nella circoscrizione Lazio 1 e viene eletto alla Camera.  Alle politiche del 2008 è ancora candidato per il Popolo della Libertà (nel frattempo il leader carismatico ha deciso di fondare il Partito unico del centrodestra con il consenso del Gianfranco Fini di allora), sempre nella circoscrizione Lazio 1, e viene rieletto alla Camera. E’ nominato capogruppo del PDL ed è membro del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, presieduto prima da Francesco Rutelli e ora da Massimo D’Alema), la qual cosa, per un ex iscritto alla P2, ha del romanzesco. Nel novembre 2009 ha presentato a Roma la fondazione REL (Riformismo e Libertà), con l’obiettivo di promuovere una riflessione del filone culturale liberaldemocratico insieme a quello cattolico liberale. Per chi aveva cominciato la sua avventura (mi sembra la parola esatta) politica come marxista fiancheggiatore del Pci di Enrico Berlinguer, non c’è male.

Nel dicembre del 2009, subito dopo l’aggressione del folle Tartaglia a Silvio Berlusconi, ha accusato in Parlamento, tra gli altri, La Repubblica e  L’Espresso di aver armato la mano dell’aggressore “con una spietata campagna di odio”.

 

Recentemente, dopo le violenze barbariche dei cosiddetti black bloc a Roma, invece di cercare di capire come e perché sia potuto succedere quel che è successo, è partito lancia in resta contro chi “si è affrettato a solidarizzare con gli indignati, non sappiamo se per un complesso di colpa, o se per indirizzare  solo sulla cosiddetta (ma perché “cosiddetta”? Mah!) classe politica le responsabilità della crisi in corso del capitalismo con conseguenze sociali assai gravi.

Siccome la protesta sta avvenendo  in tutto il mondo occidentale, è evidente che è indispensabile una riflessione seria che non può essere risolta dalle ‘piccolissime frasi’ di qualche banchiere o di qualche menager che sta cercando di scendere in politica.” Strano: per Cicchitto in politica se scende e non si sale, a chi starà pensando? E poi è indispensabile una riflessione seria? Certo che è indispensabile (vengono in mente le famose “pause di riflessione” dei notabili democristiani della prima Repubblica), e magari non solo una riflessione ma anche una conversione; ma chi è in grado di farla, questa riflessione? E chi è pronto a convertirsi  abbandonando l’uomo vecchio di cui parlava san Paolo al suo destino? Un cortigiano del Principe? Ma i cortigiani pensano a come essere utili al Principe o a se stessi, non alla comunità; lo ha spiegato bene Francesco Guicciardini: “Chi dipende dal favore de’ principi, sta appiccato a ogni gesto, a ogni minimo cenno loro, in modo che facilmente salta a ogni piacere loro: il che è stato spesso cagione agli uomini di danni grandi. Bisogna tenere bene el capo fermo a non si lasciare levare leggermente da loro a cavallo, né si muovere se non per le sustanzialità.” Cioè per le cose essenziali.

La sopravvivenza di un governo screditato appeso a una maggioranza precaria e inaffidabile è evidentemente per Cicchitto e gli altri cortigiani una necessità vitale. Ma lo è anche per il Paese?

FULVIO SGUERSO

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