Perché l’Europa che sta per implodere ha tanta….

Perché l’Europa che sta per implodere
ha tanta paura dell’Italia
Non è l’Italia il malato come si vuol far credere ma sono proprio la Francia, la Germania e la Spagna i veri malati

Perché l’Europa che sta per implodere

ha tanta paura dell’Italia

Non è l’Italia il malato come si vuol far credere ma sono proprio la Francia, la Germania e la Spagna i veri malati

 I santuari della finanza globale e dell’economia virtuale avevano la loro base politica nell’amministrazione democratica americana e nell’Unione europea. Il controllo dei media e la penetrazione nei gangli delle istituzioni non sono bastati ad impedire il successo dell’uomo nuovo, quel Donald Trump che ha resistito e resiste ad attacchi tanto micidiali quanto ridicoli: dalla Russia che avrebbe favorito la sua elezione ai suoi trascorsi sessuali, come non hanno impedito che il Regno unito uscisse dall’Unione infliggendole un colpo mortale. 

Una dimostrazione di quanto vitale sia per quei santuari il sostegno di Bruxelles è l’accanimento con cui tutto il sistema mediatico europeo ha cercato di influenzare il referendum britannico. Sospetto che oltre che sul piano delle idee ci si sia mossi anche su quello delle azioni concrete per impressionare la pubblica opinione sacrificando qualcuno della propria parte per incolpare l’avversario. Quel che è certo è che sono stati sbandierati dati falsi e previsioni campate per aria, sono state rinfocolate sopite pulsioni separatiste e aizzate le minoranze etniche e religiose.

L’uomo della strada, l’”uomo qualunque”, conosce ed esecra per averla sperimentata la violenza stupida e brutale dei teppisti e, in particolare, di quelli al soldo della politica, quelli che incendiano cassonetti, spaccano vetrine e prendono a sassate i poliziotti; conosce ed esecra il “crimine organizzato” le cui nefandezze gli vengono quotidianamente sbandierate; ma c’è una violenza anche peggiore, che origina ai piani alti dei palazzi del potere economico e finanziario: nelle sue stanze, quando non funzionano la corruzione o i ricatti, si programmano provvidenziali incidenti stradali,  suicidi o salti dalla finestra che mettono al riparo da pericolose turbolenze. 

E foriero di pericolose turbolenze è stato il passaggio di consegne alla Casa bianca, inizio di un sisma che ha interessato prima il Regno unito e successivamente il nostro Paese, in cui è crollato il sistema politico al servizio dell’amministrazione democratica e di Bruxelles.  I nostri autorevoli opinionisti sostengono che i mercati (soggetto impalpabile e improbabile) temono che l’Italia economicamente e politicamente malata contagi il resto dell’Europa. La verità è che all’interno di quei palazzi si avverte il tintinnio delle vetrate e i lampadari cominciano a oscillare;  il terreno su cui poggiano trema  e finirà per farli crollare e si guarda con angoscia alla prospettiva di un’Europa a guida italiana, contagiata dal populismo nostrano.


Il futuro è sulle ginocchia di Zeus. Forse è azzardato prevedere un rivolgimento totale ed è probabile che il sistema politico tedesco  tenga  anche se dovrà rinunciare alla leadership europea; è probabile che si vada verso un’Europa policentrica in cui comunque l’Italia dovrebbe ricoprire un ruolo da protagonista. Mi sento però di escludere un compattamento politico che faccia dell’Europa un soggetto unico nel contesto internazionale. Aggiungo che il postulato secondo il quale nel mondo che conta c’è spazio solo per i grandi soggetti è ingiustificato e fuorviante: la Russia è un gigante politico ma un nano economico; i colossi economici sono gli Stati Uniti, la Cina e il Giappone ma l’equazione dimensioni- potenza è una sciocchezza. Il Giappone è un Paese più piccolo dell’Italia; le grandi potenze economiche emergenti non sono  certo né il Brasile, né la Nigeria (!) o, tantomeno l’India ma piccoli Paesi come la Corea del sud, il Vietnam e, come ha vaticinato Trump, la stessa nord Corea. Senza scomodare i profeti delle tecnologie avveniristiche già ora il potenziale economico di una nazione sta tutto nella formazione, nell’organizzazione, nella capacità di utilizzare le risorse umane. La vera ricchezza delle nazioni non è più  nelle materie prime, non è nel sottosuolo, ma è nel sapere e nell’intelligenza. Ho sentito il “filosofo” veneziano ironizzare nel salotto della Gruber sulle velleità dei sovranisti italiani: l’Italia non conta nulla sullo scacchiere mondiale; gli altri sono Grandi noi siamo piccoli piccoli, tapini, insignificanti, possiamo solo metterci al seguito di qualcuno o sperare di far parte di un’entità grande e potente come l’Europa.  Uno così sarebbe meglio se passasse più tempo dal dentista e meno nei salotti televisivi. 


È curioso come dopo aver tanto insistito sulla necessità di superare i blocchi, mondo libero contro la cortina di ferro, Ovest contro Est, se ne vogliano creare altri. Evidentemente anche su questo il Pensiero Unico è andato in confusione. Le coalizioni, e i blocchi, sono forieri di instabilità e di guerre e alimentano comunque una spirale perversa. Una dialettica positiva e costruttiva, e soprattutto un sistema omeostatico, possono essere garantiti da una pluralità di Stati sovrani non condizionati da interessi sovranazionali di ordine economico, ideologico o religioso. L’Europa politica non è solo un’utopia: è una sciocchezza. Accontentiamoci della constatazione che  una  guerra europea è tecnicamente e politicamente impossibile e che un certo grado di cooperazione e di integrazione economica commerciale e finanziaria è vitale all’interno del continente, Russia e Regno unito inclusi, ma non parliamo di patriottismo europeo  per coprire l’asse franco-tedesco né di un’Europa -nazione con quattro o cinque ceppi linguistici diversi e una storia fatta di rivalità, guerre, sopraffazioni reciproche. L’UE, che non coincide né geograficamente né politicamente né culturalmente con l’Europa come somma degli Stati europei, è una creatura artificiale funzionale agli interessi della finanza mondiale, alle pretese egemoniche della Germania, all’imperialismo americano  messo in crisi da Trump. Tutto qui. 


Del resto l’unione monetaria e tutto l’insieme degli organismi comunitari non hanno affatto sopito i nazionalismi ma li hanno piuttosto irrobustiti. Il nazionalismo non è sentimento di appartenenza né patriottismo e non a niente  a che fare con l’affermazione della sovranità nazionale. Il nazionalismo esprime gli interessi dei centri di potere nazionali e sovranazionali che hanno trovato una leadership politica che li rappresenta. Esemplare, a questo proposito, il caso della Francia, che si mobilita contro l’Eni e Finmeccanica  e ha provocato un disastro in Libia per favorire la Total. L’Unione europea,  politicamente indebolita per la perdita dell’amico americano, ha subito con la Brexit un colpo gravissimo ma più simbolico che sostanziale, tenuto conto del fatto che il Regno unito non ha mai aderito all’unione monetaria, ma non pare in grado di reggere  al crollo del sistema politico italiano asservito all’asse franco-tedesco. Il venir meno di questo puntello, in una fase di debolezza  non solo politica di Francia e Germania, può avere conseguenze catastrofiche, e ha provocato le reazioni isteriche  del governo e dei media francesi fino all’ultima incredibile uscita  del rappresentante dei liberali europei che in barba al galateo istituzionale e alle più elementari regole della diplomazia ha dato del burattino al primo ministro italiano ospite del parlamento europeo.  Un insulto che fuori del contesto italiano non ha molto senso ed è involontariamente la riprova di come la sinistra italiana imbocchi i nemici dell’Italia. Buona comunque la risposta di Conte ai “burattini della finanza”.


Senza il puntello italiano l’asse franco-tedesco  imposto dai poteri finanziari non è più in grado di sostenere il peso dell’Unione  e non potendo realisticamente contare, nonostante le rassicurazioni di Berlusconi, su un’imminente fine del governo giallo-verde,  cerca un’altra gamba su cui poggiare per non ribaltarsi e la trova nel malconcio Sanchez. Se non fosse che tutta questa commedia si recita sulla pelle dei popoli ci sarebbe da ridere: la Merkel che ormai è un’anatra zoppa, Macron  malconcio come una testa di turco e il socialista spagnolo messo lì per tappare un buco e privo di qualsiasi potere effettivo danno l’idea dello stato confusionale in cui si trova l’Europa. I nazionalismi che covavano sotto la finzione europeista  vengono ora alla scoperto in questa sgangherata triplice intesa, che potrà al massimo produrre la spartizione di  traballanti poltrone europee ma nel contempo rinsalda per contrappeso  la nuova lega anseatica che si è creata a nord  e spingerà il gruppo di Visegrad attraverso il corridoio austroungarico  a stringere un patto di ferro con l’Italia, con la benedizione di Trump e la benevolenza di Putin. 

La debolezza italiana consisterebbe nel suo debito pubblico; ma paradossalmente  è una debolezza  finché  quel debito viene considerato all’interno dell’Unione, con le regole che l’Unione si è data; fuori dell’Unione il debito è perfettamente sostenibile, come lo è quello giapponese o quello americano. Negli ultimi decenni lo spauracchio del crac italiano è servito per mantenere al riparo privilegi e rendite di potere. Dalle parti del vecchio establishment nazionale si dovrebbe riconoscere che se il debito non ci fosse bisognerebbe inventarlo, tanto è tornato, e torna ancora, utile quello spauracchio. In Italia c’è un problema drammatico di iniquità sociale, di ricchezze parassitarie, di pessima amministrazione, di lobby che hanno fatto il buono e il cattivo tempo, ma la base economica è salda ed  è in grado di resistere a scossoni provocati da  congiunture interne e internazionali. Non a caso i tentativi che si sono susseguiti di scatenare i mercati  sono sostanzialmente falliti: ieri lo spread, oggi le previsioni di agenzie interessate, che possono produrre danni ma sono anche consapevoli di non poter tirare troppo la corda. 


Già quando si doveva far cadere Berlusconi si diceva che l’Italia era sull’orlo del baratro. Ora la musica si ripete con maggiore insistenza. Era una sciocchezza allora come lo è oggi: fra i grandi Paesi europei quello più stabile è proprio l’Italia: la Spagna è a rischio di disfacimento non solo per la secessione della Catalogna ma per la perdita di qualsiasi afflato nazionale, con una monarchia appiccicaticcia, una destra che si regge solo per l’inconsistenza della sinistra, una povertà diffusa  e tanta gente che vive di espedienti; in Francia il malessere sociale covato per anni è alla fine esploso in modo devastante perché privo di una proposta politica e senza un’organizzazione e una guida visibili  che possano ricondurlo alla dialettica democratica; in Germania sembra finita l’epoca delle vacche grasse e della linfa succhiata ai vicini, l’economia mostra la corda e la società  civile è scossa  da una conflittualità endemica e dal timore di perdere la propria identità. Situazioni disastrose che corrispondono a leadership prive di consenso: Sanchez e Macron odiati dalla maggioranza dei loro cittadini, la Merkel sopportata in attesa di qualcosa che dovrà accadere. Ed è da questi Paesi che l’Italia dovrebbe prendere lezioni, l’Italia che ha un governo e una maggioranza solidi, una società tranquilla nonostante i tanti nodi da sciogliere, dove l ’unico motivo di fibrillazione, quello del prezzo del latte, è inquadrabile, isolabile e quindi risolvibile. L’unico disastro all’interno del Paese è quello di cui è vittima la sinistra ed è un disastro benefico perché neutralizza i gruppuscoli eversivi storicamente al suo servizio, impedisce  strumentali manifestazioni di protesta e  toglie ossigeno ai contestatori in servizio permanente all’interno delle scuole.  L’Italia, secondo i nostri opinionisti esterofili, sarebbe il malato che rischia di contagiare l’Europa. È vero esattamente il contrario: l’Europa in disfacimento teme che il corpo sano dell’Italia fornisca gli anticorpi che la risanino eliminando le cause dell’infezione.

   Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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