Perché il titolo “Ossi di seppia”?

Montale non diede mai una spiegazione esaustiva sul titolo della sua più celebre raccolta poetica.
Perché proprio “Ossi di seppia”?
Possiamo, per quanto ci compete, cercare di dedurlo limitandoci agli indizi presenti all’interno dei vari componimenti che tale raccolta costituiscono.
L’avvertenza è dunque che si tratta di una deduzione parziale, che non attinge cioè a dati e informazioni extratestuali.
Una precisazione: “Ossi di seppia” è il titolo dell’intera raccolta di 61 poesie, ma è pure il titolo di una sua sezione di 22 componimenti, quasi che l’autore ritenesse questi ultimi la quintessenza del suo messaggio.
Anche una caratteristica estrinseca come il limitato numero dei versi delle varie poesie di questa sezione rispetto alle altre, ci dice qualcosa; ovvero che si deve intendere il titolo nel senso della massima spoliazione di tutto ciò che va oltre l’essenziale.
E cosa c’è di più semplice del sepion?

Il poeta non vorrà con esso rimarcare il suo lavoro costante di scarnificazione (anche narratologica, visto che l’io lirico si trasforma in voce fuori campo) per riuscire a dirci che il suo mondo è quello degli enti più basici?

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Quello antibarocco, antiaulico, antidannunziano, delle “strade che riescono agli erbosi / fossi dove in pozzanghere / mezzo seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla”?
Ricordiamoci che idealmente l’estate descritta da Montale nell’ambiente delle Cinque Terre, arido, scosceso, e punteggiato da esseri “minori” della natura (gli sterpi, le serpi, le canne…), che sono lì solo perché riescono a sopravvivere ad essa (il “Dialogo della Natura e di un Islandese” si aggira nei paraggi…), si contrappone polemicamente a quella di D’Annunzio nell’ambiente della Versilia, completamente diverso, in cui la natura si fa umana e l’umano si fa mito; nonostante a marcare la differenza, di mezzo ci siano solo una manciata di chilometri, talché si può affermare che pochi sono i casi in cui il cambiamento geo-topografico è così repentino.
Chissà quali “Ossi” e quale “Alcyone” avremmo avuti (e se li avremmo avuti…) qualora Montale e D’Annunzio si fossero scambiati la casa di vacanza. Se nella Versilia Montale sarebbe comunque riuscito a trovare oggetti per il suo correlativo oggettivo rastremato fino…all’osso, e se D’Annunzio a Monterosso sarebbe stato ammaliato anziché da una lussureggiante distesa di pini, da cespugli spinosi e da biche di rosse formiche.
Non lo sapremo mai ma, certo, questa fantasia non è del tutto inutile, in quanto ci spinge a meditare sull’importanza, più o meno determinante, che il fattore dell’ “ambiente” può esercitare sull’ispirazione e sull’espressione di un poeta.
Tuttavia non è solo nell’essenzialità che dobbiamo leggere il titolo della raccolta (e, come si è detto, della sezione ad essa interna).
Concentriamoci un poco sull’oggetto: si tratta di un osso, ma particolarissimo: il sepion, a differenza delle ossa di altri animali, uomo compreso, galleggia.
Questo gli permette di essere trasportato dalle onde e depositato sulla riva.
E’ una sorta di messaggio del mare: se c’è un osso, ci sarà stato pure l’animale che lo rivestiva. Ora, il corpo della seppia si è perso, conseguenza di una morte naturale o violenta, ma il suo unico osso ci testimonia che è esistita, come fosse la traduzione tangibile di una dichiarazione di verità nerudiana:”Confesso che ho vissuto”.
Nel mare c’è l’enigma della vita, per cui di Esterina, protagonista di “Falsetto”, Montale può scrivere:

“Esiti a sommo del tremulo asse, / poi ridi, e come spiccata da un vento / t’abbatti fra le braccia / del tuo divino amico che t’afferra.

Ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane a terra.”

Esterina si tuffa nella vita, lasciando a terra chi non sa vivere. I bianchi endoscheletri fanno il percorso inverso: dal mare che li espelle vanno verso terra. Rifiuti (ricordiamoci che il titolo provvisorio della raccolta era “Rottami”…) e insieme messaggeri di una qualche misteriosa dimensione dalla quale trapela il vago sentore di non essere soltanto una profondità nel buio (della conoscenza?) in contrasto con la finzione di una realtà in cui la luce è, letteralmente, accecante, e serve solo a mostrare “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
La raccolta montaliana in questo senso è la presa d’atto di impalpabili segni o addirittura segnali che giungono da un non meglio determinato “Là”, particella avverbiale polisemantica in grado di travalicare la grammatica la quale, più ancora del luogo e del tempo, indica soprattutto il modo: ci riconduce in quel luogo e in quel tempo in cui il modo dell’essere è l’indistinzione, la fusione.
Forse persino l’armonia del tutto nel liquido amniotico di Gea prima che ella si determinasse nelle fattezze del mondo.

FULVIO BALDOINO

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2 thoughts on “Perché il titolo “Ossi di seppia”?”

  1. Caro amico, anche questa tua “divagazione” estetica, stilistica, mitologica, naturalistica, comparativistica, filosofica nonché geografico-letteraria è di una rara profondità, veramente degna di un poeta autentico quale tu sei. A quando una raccolta di queste tue mirabili esegesi montaliane?

    1. Carissimo,
      il tuo giudizio è lusinghiero, ma poiché appartengo alla “razza di chi rimane a terra”, so di conseguenza che è decisamente troppo generoso.
      Anche riguardo al poeta che ritieni io sia e che, invece, PER FORTUNA non sono. Hai mai visto un poeta che indossi la camicia dell’uomo contento?

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