Per aspera ad astra

PER ASPERA AD ASTRA
Aspro è il cammino
verso le stelle
 

PER ASPERA AD ASTRA
Aspro è il cammino
verso le stelle

 Premessa: come spesso mi capita, affronto, sulle stesse pagine, temi sacri e profani. Se urterò la sensibilità di qualche lettore, mi scuso con lui; ma non rispetto certi steccati e lascio il pensiero libero di vagare e di cogliere i nessi tra campi spesso lontani tra loro, almeno secondo una consunta logica o un’imposta gerarchia.

 

Fuor di metafora, i progetti più ambiziosi che, nel corso della vita, ci prefiggiamo di raggiungere, sono coronati da successo solo se siamo disposti al sacrificio, alla perseveranza, al riconoscimento e all’accettazione dei nostri limiti nel formularli. 

 

L’incisione nella dura pietra riflette l’asperità del percorso della vita e il suo perdurare nei secoli e millenni

 

Questa frase latina è probabilmente ricalcata su un modello mitologico greco, secondo il quale soltanto agli eroi era concesso di salire all’Olimpo in virtù di una vita ispirata, cosparsa di pericoli, ma impavidamente affrontati per la gloria della propria comunità, città, nazione.

L’uomo percorre schematicamente tre fasi principali, dalla nascita alla morte: infanzia e giovinezza come preparazione alla lotta per la sopravvivenza; maturità, dove la sfida quotidiana contro le avversità è la regola, temperata da scarni momenti di otium; la senilità, dove la mente si leva dal quotidiano e si prepara giorno dopo giorno alla sfida finale della malattia e della morte. Così è stato, per secoli e millenni. 

In anni recenti, ci siamo illusi di avere superato queste norme, in realtà riuscendo soltanto ad allungare la vecchiaia e la giovinezza, a detrimento dell’infanzia e della maturità. 

 


Due eroi precristiani: Achille e Alessandro Magno, icone della gloria guerriera, fatta di audacia e sovrumana sopportazione dei rischi e delle fatiche affrontati nei campi di battaglia. Culto della guerra e dei suoi campioni, elevati al rango di semi-dei

 


I primi due eremiti e Padri del deserto: santi Antonio abate e Paolo. Un esempio che ebbe largo seguito e devozione popolare nell’Alto Medio Evo.

 


Gli eroi della cristianità: dagli eremiti ai santi. Trionfo della dura vita contemplativa, col dono dell’Eterno Presente già in vita. Qui san Girolamo assorto in visioni celesti, oltre il Tempo

 

Ricordo la robusta dose di ingenuità che connotava l’infanzia mia e dei miei coetanei, fino alla soglia dell’adolescenza ed oltre; l’eccitazione delle notti di Natale e la meraviglia all’apparire dei regali che, rivisti con gli occhi di oggi, brillano per la loro sobrietà; l’impazienza prima dell’uscita del Corrierino dei Piccoli e, poco più in là, degli album di Cino e Franco, Mandrake e Gim Toro. Il bagaglio di nozioni era scarso e filtrato dal buon senso delle istituzioni e della famiglia. 

 


 

 

 

Nel giro di un paio di generazioni, un salto educativo che neanche in mille anni. La perdita precoce dell’ingenuità porta presto dall’infanzia alla giovinezza, dove la vita è vista ancora come fiction; e manca la forgiatura mentale che prepara all’impatto con la vita reale

 Poi arrivavano i turbamenti, improvvisi e squassanti, legati alla scoperta dell’altro sesso, in una dissacrante sovrapposizione all’amore romantico sin lì spacciato come unica componente del rapporto tra mamma e papà. Indi, i primi, timidi flirt, i baci e i primi toccamenti esplorativi dell’altro corpo, in un turbinio di emozioni e battiti cardiaci. Poi il graduale adattamento a questa nuova realtà, così inaspettata e insieme meravigliosa. Un incanto che durava ancora per tutti gli anni del liceo, fino all’Università, quando la maturità, nel senso di responsabilità individuali crescenti, scalzava via via il periodo della scoperta fino alla consegna del timone interamente nelle proprie mani, per orientarsi nei cimenti della vita adulta.

Lascio a chi mi legge il confronto con la situazione attuale, dove un’infanzia col telefonino in mano si catapulta veloce nella giovinezza, che ha un bagaglio di nozioni esponenzialmente maggiore di un tempo, ma una proporzionale riluttanza ad afferrare con le sue sole mani il timone per destreggiarsi nella sfida dell’esistenza. Come quei ciclisti che, abituati a superare le salite con la spintarella del motorino elettrico, riescono a stento a pedalare anche in pianura.

 


A che età si impugna oggi il timone per affrontare le procelle della vita? L’età adulta ha durata sempre più ristretta, accerchiata da una lunga infanzia mentale ed attitudinale e da una vecchiaia “elastica”

 

Gli psicologi dicono che ci sono, negli adulti odierni, crescenti residui di un infantilismo mai superato, tanto maggiore quanto più hanno avuto vita facile sin dalla nascita. Crescono insicuri, in proporzione inversa alla recente sicurezza delle donne, verso cui nutrono un reverenziale timore. La spocchia di molte ragazze odierne, che mostrano di saperne più dei maschi, con cui non condividono l’ansia di prestazione, può essere castrante. In un mondo di enfasi sul sesso, solo i moderni eroi alla Rocco Siffredi, veri o presunti, hanno diritto di cittadinanza. Vita aspra per tutti gli altri. Crescono i casi di impotenza, perché la potenza penica è legata al senso di possesso, di superiorità, di dominio che l’uomo prova durante la preparazione al coito e, naturalmente, nell’atto stesso della penetrazione. Unica eccezione, il sesso addolcito dall’amore. Ma quanto amore c’è rispetto al puro sesso nella vita di un uomo? In quanti amplessi si instaura quella meravigliosa sensazione di fondersi in un corpo e un’anima sola che solo l’amore sa dare? Il sesso come ripetuta prova di virilità è ansiogeno e finisce con l’esserne il peggior nemico.

Questa insicurezza è tutt’altro che assente, ça va sans dire, nell’affrontare le asperità della vita. Asperità che sono state sino allora smussate dai genitori, dando ai figli l’impressione della vita facile, coadiuvati dai messaggi pubblicitari; per cui è venuta a mancare la preparazione “sul campo” per poi sapersela cavare con le sole forze proprie. Di qui lo smarrimento e il ricorso a vie d’uscita “esogene”, come gli ansiolitici giù giù fino alle droghe. A volte, leggendo del giro d’affari a suon di miliardi delle cosche di trafficanti, mi chiedo, di riflesso, quante persone evadono dalla realtà tramite mortiferi composti chimici; o ricorrono a pillole “di supporto”, anch’esse di largo consumo, per forzare il proprio corpo a fare sesso. 

 

Tre eroi moderni: Rocco Siffredi e Fabrizio Corona, in quanto “fighi”; e Flavio Briatore, ricco self-made-man

 

Intanto gli anni e i decenni passano e si entra nella zona grigia, “brizzolata”, propedeutica alla vera e propria vecchiaia, un tempo simbolo di saggezza, maturata con l’esperienza e sostitutiva della forza degli anni del vigore. Qui entro nel campo che, ormai da tempo, mi è proprio, senza volermi ammantare di una sapienza che onestamente non mi appartiene. 

Ho in varie occasioni citato su queste pagine il pensiero del prof. Giorgio Girard, oggi novantenne, per evidenziare le identità e le differenze di vedute. Queste ultime vertono quasi sempre sul mio disquisire sui problemi concreti dell’esistenza, sia pure alla luce di principi elaborati negli anni, come bussole per orientarmi nel labirinto della vita; mentre Girard tende ad alzarsi a parecchi metri da terra, a volte prendendo pindaricamente il volo. “A novant’anni si pensa di più all’Uno dell’Eterno che al Due del Tempo”.

Concetto chiarissimo: oltre una “certa età” i pensieri non hanno altre alternative che perdersi nei ricordi o cercare di immaginare cosa c’è oltre i pochi, ultimi passi terreni: il buio del nulla o la luce di un’altra, eterea realtà? 

Su questo dilemma, d’altronde, si è venuto costruendo il nostro mondo, retto sino a ieri da una religione che, al pari delle altre monoteistiche, dava certezze, tra le quali la vita eterna, con tutte le conseguenze etiche che questa certezza implicava. 

Con il crollo delle certezze, sopraffatte dallo scetticismo alla base della scienza trionfante, per la quale non esiste una verità oggettiva né la realtà ultima delle cose, Girard, “vittima” anch’egli di quella psicologia debole che ha contribuito a seguire/fondare, sulle spalle dei grandi, come Nietzsche, Jung e Heidegger, prova ad astrarsi dalle contingenze e dagli affanni del quotidiano per scrutare nel buio il barlume della Luce eterna: tolte le certezze, ognuno è lasciato solo ad immaginare il proprio destino dopo l’effimero transito in questa “valle di lacrime”. 

In Girard gli eroi omerici, che l’Olimpo era fiero di ospitare, sono sostituiti dai mistici, che a quella Luce hanno avuto accesso in vita. La meta finale, dell’abbraccio virtuale con Dio, fino a fondersi nell’Uno senza Tempo, è frutto di una sofferta ascesi, che solo pochi sono in grado di praticare. 

Se traguardi di tale altezza sono stati rari in secoli di pervadente spiritualità, come quelli medievali, oggi sono di ancora più difficile conseguimento, mancando il terreno di coltura: non crescono piante nel deserto.

Dante e Beatrice davanti alla Luce Divina. L’accento medievale sulla vita eterna fungeva da compensazione per i rigori della vita terrena e da stimolo alla probità, per tema dell’Inferno. Scaduta la religione a mera superstizione, sparito il senso di appartenenza ad una collettività, si cerca di estrarre il massimo quaggiù, senza badare al come

 

La funzione di asceti ed anacoreti era quella di creare dei modelli, non raggiungibili, ma parzialmente emulabili: una funzione analoga a quella dei santi, ma ante mortem. Esistono ancora tra noi modelli viventi di santità cui ispirarsi? No, non ci sono, perché l’assordante e fuorviante sistema di vita attuale genera altri modelli, che invitano a traguardi rasoterra, di competizione, di sopraffazione, di violenza.

I modelli contemporanei sono persone di successo, di redditi a sei cifre, proprietari di magioni ed auto di lusso, yacht ed aerei privati.

Sia io che Girard biasimiamo questa scala di valori, lui per la distanza che li separa dall’Uno, io per l’esaurirsi del tempo di vita del nostro pianeta seguendo il solo percorso dei soldi. Essere sobri, parchi, rispettosi delle cose che ci servono, se un tempo era effetto della scarsità generale, alla quale il distacco dalle cose mondane di asceti e santi conferiva il manto della sacralità, oggi ha la concreta connotazione dell’amore verso questa Terra, poco importa se creata o scientificamente spiegata da cosmologia e biologia. 

 

Estratto, pag. 191: “La religione è sospinta verso la mistica e insieme ne aborre: vi è sospinta perché avverte nella mistica il proprio compimento, senza il quale rimane superstizione; ne aborre perché avverte che quel compimento è anche il suo superamento e la sua fine proprio in quanto religio

 

Anch’io mi sto avvicinando, anzi ci sono già, all’età in cui la maggior parte rivolge il pensiero all’aldilà, secondo le proprie preferenze e inclinazioni, ma l’amore per la Terra mi porta a pensare più alla sua salvezza, anche quando non ci sarò più, che alla salvezza della mia anima. A meno che le due cose non coincidano, con la seconda salvezza raggiunta in virtù della prima.

La via verso la salvezza del globo che ci ospita passa anch’essa per il motto che ho scelto per titolo, nel senso che più passa il tempo senza i sacrifici collettivi che meglio sarebbe scegliere anziché subire -come stiamo facendo oggi- e più ardua sarà l’azione di salvataggio, ammesso che non si opti per la sua rinuncia pur di non rinunciare a quegli agi che fanno ormai parte di un modo di vivere che pensavamo, questo sì, eterno, mentre non sarà che un fuoco di paglia.  

 

 Marco Giacinto Pellifroni                     20 settembre 2020 

 

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