Pensieri finiti nell’infinito

PENSIERI FINITI NELL’INFINITO
Sempre più spesso mi sorprendo a pensare:
come è sempre finito il nostro infinito

PENSIERI FINITI NELL’INFINITO

 Sempre più spesso mi sorprendo a pensare: come è sempre finito il nostro infinito! Come è in-com-prensibile dal nostro umano intelletto, limitato eppur consapevole dell’illimitato spazio che lo circonda e dell’in-finità che eccede il tempo circoscritto e a scadenza della nostra vita! Come si può pensare (pesare) l’impensabile e l’imponderabile, l’immenso e l’eterno?

 

Prendiamo l’insieme dei numeri naturali: chi potrà mai enumerarli tutti? Come può  esistere un numero così smisurato , una specie di mostruoso mega o metanumero che li con-tenga tutti? C’è l’infinito dei matematici, certo, ma si trova da qualche parte al di fuori dei loro calcoli e delle loro formule? E dove mai può trovarsi un infinito se non nell’infinito?  

E possono esistere infiniti maggiori e minori? Per esempio, l’infinito dei numari pari non corrisponde forse alla metà dell’insieme di tutti i numeri pari e dispari? E come è possibile che una metà sia grande quanto l’intero? Inoltre, anche il più potente dei calcolatori elettronici  non potrà calcolare all’infinito e a  un certo punto si dovrà fermare: l’in-finito non può essere com-preso da nessun ente finito. Ma allora, come e quando è potuto entrare questo pensiero nella nostra mente finita?

O quello che noi chiamiamo infinito è e sarà pur sempre anch’esso qualcosa di finito? Noi, ad esempio, pensiamo di trovarci nello spazio, ma nel momento in cui lo pensiamo, lo spazio non è fuori ma dentro il nostro pensiero. Ad esempio: io sono qui seduto a scrivere questi pensieri finiti sull’infinito, intorno a me c’è lo spazio della mia camera, intorno alla mia camera ci sono altre camere, o corridoi o muri perimetrali dell’edificio in cui si trova le mia camera. Intorno all’edificio dove io sto scrivendo ci sono strade ed altri edifici, intorno alla città dove io mi trovo c’è il territorio della provincia, della regione, dello Stato italiano, il quale, a sua volta, si trova in Europa e questa è una parte del pianeta Terra, il quale fa parte del sistema solare, il quale si trova nella nostra galassia, la quale…fin dove possiamo arrivare?

 

   Dove si trovano questi spazi? Dentro o fuori del pensiero che li pensa? E se non fossero pensati da qualcuno, dove sarebbero? E tuttavia, solo un pensiero infinito può com-prendere l’in-finito, non certo il nostro pensiero limitato nel nostro breve spazio, Altra questione:  può mai esserci uno spazio fuori dallo spazio? Il dentro e il fuori, il sopra e il sotto, l’alto e il basso, il prossimo e il lontano, ecc. sono categorie del nostro intelletto o realtà oggettive fuori (ancora) di noi? Basta pensarci un attimo per capire che siamo noi a stabilire le relazioni spaziali e temporali, e quindi, se non è fuori di noi, lo spazio dov’è? E ancora: se il fuori e il dentro (come il prima e il poi) sono relazioni che solo la nostra mente, cioè il nostro pensiero,  può stabilire, come possiamo sapere se c’è qualcosa “fuori” dal pensiero? Certo che c’è qualcosa, affermano i realisti, in totale sintonia con il senso comune; come si può dubitare che le cose visibili, udibili, toccabili, ecc,  esistano “fuori” dalla nostra mente? Anche le parole con cui le nominiamo? Ah no, le parole no, quelle esistono solo in quanto segni pensati, o pronunciati o scritti da qualcuno, mentre le cose esistono di per sé. E allora ditemi, dove stanno le cose “esistenti di per sé”? O bella, nello spazio! Ah, ricominciamo? E dove sta lo spazio?


Sarà, ma le cose che vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, odoriamo o gustiamo, non provengono certo da noi; infatti le incontriamo. Ma che cosa incontriamo? Le cose o le immagini, le sensazioni, le “tracce” che le cose lasciano nella nostra memoria; quindi incontriamo le loro rappresentazioni, non le cose stesse. Le quali, chissà come sono in sé stesse e dove sono! E qui potremmo anche fermarci, se non fosse che il pensiero dell’infinito sembra anch’esso non aver limiti, anzi, è proprio grazie a questo pensiero che riconosciamo i nostri limiti, è grazie all’in-finito che  possiamo aver nozione del finito, quindi degli enti finiti (o iniziati) che noi siamo. Come sapremmo di essere finiti se non avessimo l’idea di qualcosa  che ci supera infinitamente, che va sempre oltre i nostri limiti (i nostri confini)? E ancora: come potremmo concepire una linea di confine tra finito e infinito senza questa idea della trascendenza che continuamente ci fa tendere al di là del limite? E poi, , come sarebbero concepibili e definibili le “forme” delle opere d’arte?

 

E’ in queste forme che pulsa e vive l’infinito nel finito, l’imponderabile in un oggetto che ha un suo peso come la Pietà Rondanini , o l’Estasi di Santa Teresa, o nelle colonne di un tempio greco o nelle masse murarie, negli archi, nelle volte e nelle navate di una cattedrale romanica o gotica;  l’incommensurabile nella misura metrica di una canzone o di un sonetto del Petrarca,  o nei quindici endecasillabi, appunto, dell’Infinito , o  in una sonata di Beethoven, di Schumann o di Chopin? Infine, ma non alla fine, se non ci fosse  l’in-finito non ci saremmo nemmeno noi, miseri e in-finiti profani finiti tra l’essere e il nulla.

  Fulvio Sguerso

 

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