Pedofilia

 La pedofilia ha un solo responsabile:
il pedofilo

 La pedofilia ha un solo responsabile: il pedofilo.

Potrà sembrare un pensiero scontato e forse anche banale, quello che ho voluto utilizzare come titolo di questo scritto, e vorrei che lo fosse. Se lo fosse io ora non sarei a scrivere questo testo, e probabilmente voi non dedichereste un solo istante a condividerne la lettura. Vogliamo parlare di pedofilia, sul serio?

Senza falsi pudori o inutili ipocrisie. Senza indorare la pillola amarissima che tanti bambini sono costretti ad ingoiare ogni giorno, e che tanti adulti continuano a sentire risalire in gola, anche dopo anni, dopo decenni. Facciamolo, ben sapendo che da autrice di questo scritto mi espongo ad attacchi facilmente prevedibili. Facciamolo, ma tenendo conto che per farlo da lettori bisogna essere disposti a mettere in gioco tante convinzioni, tanti preconcetti e mettere in conto di rischiare dolorose ferite. Sono tanti gli adulti che hanno sopportato molestie e violenze sessuali da parte di adulti, e sono tanti quelli che si sforzano disperatamente di non pensarci mai più. Purtroppo, la forza di volontà non basta a superare certi traumi, il silenzio avvelena l’anima lentamente e lentamente avvelena la vita intera. Il coraggio di parlare, di denunciare, è catartico. Se si viene creduti. Se.

In questo “Se” ipotetico, c’è un universo di dolore. Per parlare di pedofilia, bisogna definirla: la pedofilia è una parafilia. In ambito psichiatrico, psicopatologico e sessuologico con parafilia (dal greco para παρά = “presso”, “accanto”, “oltre” e filia φιλία = “amore”, “affinità”) si intende un insieme di manifestazioni della sessualità umana. Il termine “Parafilia” è stato coniato dal DSM-IV per raccogliere in un’unica classe i disturbi dell’eccitazione sessuale, a causa dei quali il soggetto, pur perfettamente consapevole della propria condizione, non riesce a vivere una sessualità svincolata da comportamenti disturbati e disturbanti. In particolare si definisce pedofilo il soggetto che presenta, per un periodo maggiore o uguale a sei mesi, desiderio sessuale o eccitamento sessuale verso bambini di età inferiore ai 13 anni, desiderio che può essere rivolto sia verso i maschi che le femmine, o contemporaneamente.

Questa la teoria, di cui mi preme sottolineare un punto fondamentale: il pedofilo è perfettamente consapevole del proprio disturbo psichiatrico, è perfettamente capace di intendere e volere. Andiamo avanti. I casi di pedofilia si verificano molto frequentemente ad opera di adulti che hanno conoscenza diretta della loro vittima o della sua famiglia. Lo stereotipo dell’ “Uomo Nero” con cui le mamme erano solite mettere in guardia i bimbi dagli estranei è, purtroppo, molto spesso inutile.

Beninteso, il pedofilo che adesca e abusa di un bimbo sconosciuto esiste, ma le possibilità che il pericolo si nasconda molto vicino sono molto più elevate. Questo ci pone di fronte ad una domanda fondamentale: come proteggere i propri bambini?

L’unica arma è il dialogo. Da non sottovalutare che il pedofilo è abilissimo a colpevolizzare la sua vittima, che sceglie con cura tra i soggetti più deboli, più fragili.

E’ un errore frequente e pericolosissimo immaginare un pedofilo come un delinquente sporco, poco accorto. E’ esattamente il contrario: non è certo un caso se il pedofilo ricopre ruoli lavorativi e/o sociali con i quali entra facilmente in contatto con bambini spesso in condizione di difficoltà. Per essere chiari, si comporta come un necrofilo tipo che si procura un lavoro presso agenzie di pompe funebri o obitori. Non solo, il pedofilo è abilissimo a creare attorno a se un alone di fascino e di competenza che lo proteggono dal sospetto. Chi mai crederebbe ad un bimbo “difficile”, non “di buona famiglia”, rispetto ad un rispettabilissimo pedofilo?  E’ quello che è accaduto ad Alassio. Ricordiamo brevemente i fatti: la storia assume rilievo il 29 dicembre 2009 quando don Luciano Massaferro, parroco quarantaquattrenne di Alassio, viene arrestato e condotto nel carcere di Chiavari con l’accusa di aver compiuto abusi sessuali nei confronti di una bambina di undici anni che frequentava la sua parrocchia. L’arresto del sacerdote avviene a seguito della denuncia da parte del dipartimento di Psicologia Infantile dell’ospedale “Giannina Gaslini” di Genova, che aveva in cura la giovane vittima. Dopo quindici mesi di indagini serrate, si è concluso il processo di primo grado, con la condanna dell’imputato a sette anni e otto mesi di reclusione, 190 mila euro di risarcimento alla vittima e alla madre, interdizione perpetua dai pubblici uffici e quindi interdizione perpetua a fini educativi.

E le tante polemiche apertesi su questo caso che, è il caso di ribadirlo, come vittima ha una bambina ora tredicenne? Come dimenticare? Una bambina cui si è rivoltata contro un’intera comunità, stretta attorno al sacerdote, forse incredula di fronte alla gravità delle accuse, forse incapace di ammettere il torto grave di aver concesso fiducia a chi non ne era degno. IL “Secolo XIX” riportò, a suo tempo, il dolore della vittima, che si vide additata come bugiarda, come mitomane (a undici anni). Una bambina che ha dovuto cambiare scuola, che probabilmente avrà dovuto cambiare città. Una bambina che ogni giorno ha dovuto vedere appesi striscioni inneggianti l’innocenza di colui che la giustizia ha stabilito essere il suo violentatore. Una bambina che non ha ricevuto nessuna solidarietà, da nessuno. Cosa si prova a subire uno stupro, tre stupri come ha accertato il Tribunale, e non essere creduti? Cosa si prova a vedere che colui che ti ha violentato, ancor più nell’animo che nel corpo, viene difeso a spada tratta perché “non può essere stato lui”, mentre tu che sei la vittima vieni additata come una poco di buono? Lo sapete cosa si prova? Allora ecco qualcosa su cui riflettere alla luce di questo articolo, di cui propongo il link: http://www.pontifex.roma.it/index.php/editoriale/il-fatto/12355-il-fattaccio-di-fano-ma-la-famiglia-della-bimba-dove-stava-ce-lo-dicano .

Ad ognuno le proprie considerazioni, ma i sottintesi si colgono senza troppi problemi. Non bisogna essere esperti di tecniche comunicative (e di certo l’Autore dell’articolo non lo è) per insinuare il dubbio in chi legge. E’ un maldestro uso della litote, uso che farebbe inorridire i maestri della retorica, ma ogni strumento è lecito per raggiungere lo scopo, per alcuni. Lo scopo quale è? A questo si risponde facilmente: no, la Chiesa no, il portavoce del vescovo di Fano (non un “Don Lu” qualunque) se colpevole (ricordate il famoso “Se”?) poverino, beh, in qualche modo è stato indotto in tentazione. Sempre a parlare del colpevole, in questo caso presunto (nonostante sia reo confesso) visto che l’iter giudiziario deve ancora cominciare. Delle vittime, quando? Quando non se ne può fare a meno. L’attenzione sociale verso il reato di pedofilia cresce, la Chiesa non può più chiudere gli occhi, le resta solo cercare di intorbidare le acque attorno alle vittime, dimenticando di essere caduta, come istituzione, nel fango di cui molti vedono coperti gli zoccoli del demonio. Tante domande, una sola certezza: il pedofilo è l’unico colpevole di pedofilia.

Giovanna Rezzoagli Ganci

 

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