Parte seconda: da Renzi all’eternità

Vita e miracoli (pochi) del PD
Parte seconda: da Renzi all’eternità.

Vita e miracoli (pochi) del PD

Parte seconda: da Renzi all’eternità.

 Dunque ecco entrare in scena il “nuovo”, il “rottamatore”, e impadronirsi del partito e del governo, sbrigando senza molta eleganza la pratica Lettastaisereno.

Qui l’inesperienza e la buona volontà entusiastica del M5* ci giocò un brutto scherzo: sopravvalutando l’intuito degli italiani, i nostri davano per scontato che si comprendesse come si cambiassero facce per non cambiare proprio niente nella sostanza.


Tanto scontato non era, purtroppo. La propaganda Renzi faceva proseliti e suscitava assurde e ben poco giustificabili speranze. La superficialità italica, e forse non solo italica, si accontenta spesso di apparenza e impressioni, a scapito della sostanza, più difficile da scovare per i pigri, e anche ben nascosta.

La campagna per le europee fu condotta nella certezza di una nostra affermazione.  Appariva ovvio che solo noi fossimo il nuovo.

Errore fu darlo troppo per scontato, dimenticando che le incertezze dopo le politiche ancora pesavano. Errore fu sottovalutare la propensione al “cambiamento moderato”.  Errore fu trattare e affrontare Renzi come si era fatto con Letta e prima ancora, a colpi di battute in stile Grillo, come un qualsiasi “Gargamella” e “Topo Gigio”.

Senza rendersi conto che le persone lo prendevano, incredibilmente, molto sul serio, che credevano alla sua volontà riformatrice, che interpretavano le sue battute come piglio innovativo e decisionista, che ci sarebbe voluto ben più tempo per ridurlo alla macchietta molto boriosa e molto sopravvalutata che in effetti è.

Che l’idea di proporlo come anti-Grillo e simil-B.   di “sinistra”, contro ogni buon senso e spiegazione, funzionava. 

Certo, facile parlare a posteriori, mi direte. Vero: difatti io mica incolpo nessuno per l’errore in cui siamo caduti, anche se a suo tempo il “vinciamo noi” mi lasciava perplessa anzichenò. Ammetto che quel 40% fu inaspettato e doloroso anche per me.   Non accuse inutili, ma doverosa analisi.


Quel risultato fu una brutta botta.  Per noi, certo. Per gli italiani che perdevano l’occasione di mandare al parlamento europeo, dunque in una sede non direttamente italiana che ben si sarebbe potuta prestare a “sperimentazioni” senza troppi rischi,   vista di solito dai partiti come lucroso parcheggio di nullafacenti assenteisti, una pattuglia più nutrita di persone fuori dai giochi e dagli intrallazzi, pronte a influenzare la visione europea, a intervenire in Commissioni snobbate, a difendere un po’ meglio i nostri interessi trascurati, a denunciare storture nascoste.

Una botta per lo stesso PD, che si vedeva monopolizzato e fagocitato nel renzismo, nel bene e nel male.  Le facce incerte e sorprese dei rappresentanti di lista dicevano tutto.

Una botta per il Paese, ça va sans dire.

Una botta per la mia residua fiducia negli italiani, già compromessa da vent’anni di B.

E molte altre botte.

Ci fu poi un’altra conseguenza negativa per noi pentastellati: non fummo in grado di ammortizzare il colpo rimanendo coerenti all’obiettivo finale, il nostro progetto a lunga scadenza. Da allora iniziarono una serie di aggiustamenti e cambiamenti che non mi vedono del tutto entusiasta. Ma questo è un altro discorso, e sarebbe da affrontare a parte.

Da quel momento, legittimammo Renzi come vincitore e interlocutore, smettendo di considerarlo il non eletto che si era impadronito di un partito e di un governo. Una debolezza.

Caro, buon Beppe che nell’incontro subìto per colpa del voto della rete, lo avevi trattato come meritava, chiarendogli i concetti, suscitando l’indignazione dei perbenisti e l’indecisione di molti di noi.


Non ci misero molto, i molti che l’avevano votato, fin dai primi atti del personaggio, a iniziare a ricredersi.

Alcuni miei amici me lo confessarono. Risposi: se soffrite voi che l’avete votato e avete scoperto chi è realmente, figurarsi io che lo sapevo da prima.

Il recupero di un B. , estromesso a fatica dai giochi solo grazie al M5*, fu un primo chiaro capolavoro.

A quel punto non era più la vittoria dell’ottantenne mai domo: era il trionfo, l’apoteosi.

Inoltre, il suo buon vecchio e comodo partito sparring partner si era premurato addirittura di clonarlo, di creare un nuovo e aggiornato modello di berluschino in sedicesimo, per perpetuare la specie e le opere.

Le larghe intese riproposte in salsa spezzettata, fra finte scissioni, finte opposizioni e veri e concreti appoggi, le riforme assurde e liberticide, la scarsa attenzione per i veri problemi del Paese lasciati incancrenire, la distruzione definitiva di scuola cultura e sanità, la gestione disastrosa e schizofrenica del fenomeno immigrazione, il paludamento, come un leggero velo di cipria  su una consunta meretrice, dei diritti civili esibiti ma alquanto annacquati, usati per simulare una differenza di sinistra in chi ancora ci crede ed è disposto a dare più importanza a principi molto presunti,  che a diseguaglianze e disastri molto reali.

 

Il resto è storia recente. Batoste elettorali, con effetto miracolosa rinascita di un centro destra improbabile, privo di forma concreta e diviso su tutto, tranne nell’accozzarsi disciplinati quando si tratta di poltrone, con esperienza consolidata e un elettorato dalla digestione a prova di struzzo.

La sberla del referendum e l’astensionismo dilagante sono due facce della stessa medaglia, come già dicevo. Laddove si tratta di esprimersi, il popolo si esprime.  Laddove non si percepisce scelta o speranza, prevalgono gli indifferenti, i rassegnati, i disinformati.

Purtroppo, il M5* è stretto sotto una coperta molto corta: ogni tentativo di rubare voti ai partiti, conquistando chi ancora vota, agli occhi dei delusi ci mette automaticamente sul loro stesso piano, rinnegando il cambiamento. Ogni azione che vada nella direzione degli astensionisti, per riportarli al voto, per mobilitare i giovani, è faticosa, incontra un muro di gomma consolidato, è di difficile riuscita specie a breve.

In tanti non capiscono che non esiste un’equazione automatica: molti eletti, altrettanta influenza sulle istituzioni. Che non è così facile e immediato, anzi, tutt’altro, quando incontri le resistenze consolidate e conniventi di un intero sistema di potere e di opinione.

Il rischio è ancora, a questo punto, l’ennesimo governo disastroso di centrodestra o l’ennesima riedizione pasticciata delle larghe intese.  Incubi che ci traghetterebbero verso il definitivo declino.

Ovviamente questo ci spinge solo a raddoppiare gli sforzi, perché ciò non avvenga. Il quadro è fosco e turbolento. Grande confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente? Forse, chissà. Mai smettere di sperare e lottare, lo dobbiamo a noi stessi e soprattutto a chi verrà dopo di noi. 

  Milena Debenedetti  Consigliera del Movimento 5 stelle

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