Paolo Barnard a Savona

Paolo Barnard al CUB di Lavagnola

Paolo Barnard al CUB di Lavagnola

Come annunciato con una vignetta nel numero scorso, venerdì sera il giornalista Paolo Barnard, co-fondatore di Report con la Gabanelli, è venuto a Savona ad illustrare a grandi linee il contenuto del suo libro “Il più grande crimine” *. Ottimo successo di pubblico, in piedi e seduto anche a terra.
Barnard ha esposto con molta efficacia la netta distinzione tra soldi e beni materiali dello Stato, tutti inscrivibili in un conglomerato A, da una parte; e soldi e beni materiali di famiglie e imprese, presenti in un conglomerato B, dall’altra. Schematicamente:

                  A                                                                        B

 (Beni e soldi dello Stato)   —————- (Beni e soldi di privati e imprese) 

La differenza economica fondamentale tra A e B è che, mentre nel comparto B i soldi possono solo provenire dall’esterno, ossia da A (e dalle esportazioni), in quanto B è inabilitato a creare moneta, in A invece c’è “l’orto” dove i soldi crescono dal nulla; ed è nella facoltà di A produrne e trasferirne in B secondo il suo giudizio. All’interno di B chiunque ottenga un aumento monetario, sia esso un lavoratore, grazie ad es. ad un aumento salariale, o un’azienda, grazie per es. ad un miglioramento tecnologico o a maggiori vendite a seguito di una efficace campagna pubblicitaria, quei soldi in più significano in entrambi i casi soldi in meno per qualcun altro, privato o azienda che sia, visto che il denaro in B è a somma zero: tanto di più in tasca a Tizio, altrettanto di meno in tasca a Caio o Sempronio. Chi ha il potere di immettere in B nuovo denaro è, oltre alle vendite estere, soltanto A, lo Stato.  

L’equivoco imperante è invece quello che vuol far credere alla gente che il denaro sia, come una materia prima, soggetto a scarsità, con la pressante richiesta che ne consegue di “rigore”, prelievi fiscali per far tornare nelle casse dello Stato buona parte di quanto erogato a B, fino alla follia del pareggio di bilancio, che non equivale ad altro che togliere a B tutto il flusso di denaro che A gli ha erogato. In sostanza, i media, ben pilotati dai grandi speculatori internazionali, hanno avuto buon gioco a paragonare quello di A ad un bilancio familiare, dove i redditi sono perlopiù fissi e quindi ci si deve giostrare per non eccedere nelle spese e non sforare il budget mensile. Lo Stato invece, a differenza di una famiglia o un’azienda, non soffre di queste restrizioni ed è libero di stampare tutta la moneta che ritiene utile a permettere lo svolgimento delle attività e delle transazioni di beni e servizi all’interno del contenitore B. Se lo Stato giudica necessaria un’opera o la manutenzione di un’opera pubblica, non ha nessun bisogno di ricorrere ai “mercati” per farsi prestare denaro a tassi decisi dai mercati stessi, spesso dietro la spinta di agenzie di rating funzionali ai mercati stessi. Se si deve costruire un ponte o rinnovare un’infrastruttura, lo Stato emette la moneta necessaria con cui pagare le imprese e i loro dipendenti in B che realizzano l’opera. Allo stesso modo, le spese per far funzionare la macchina statale, permettere una valida assistenza socio-sanitaria, finanziare la scuola pubblica, ecc. non costituiscono affatto un problema per uno Stato libero di stampare oculatamente tutto il denaro necessario a tali compiti, garantendo così efficienza e massima occupazione.


 

 Rovinati dai signori del denaro

Quanto sopra, tuttavia, è possibile soltanto se uno Stato gode della sovranità monetaria: precisamente quella che lo Stato italiano ha ceduto a un organismo straniero sopranazionale col Trattato di Maastricht, in base al quale non è più libero di stampare la propria moneta, senza debito né interesse verso terzi. La classe politica italiana ha vilmente ceduto, senza contropartita, alla BCE questa autonomia monetaria, ed oggi si trova, debole come un agnello, straccione con la ciotola in mano, alla mercè di forze speculative straniere che valutano la sua affidabilità in base ad un debito pubblico che i nostri governanti hanno proditoriamente e autonomamente riconosciuto ai banchieri internazionali e sul quale paga ogni anno oltre 100 miliardi di interesse.

E per sovrappiù, si sta pianificando anche la restituzione di metà dei 1900 miliardi di debito pubblico a rate annuali, fino al raggiungimento di un arbitrario 60% del PIL (contro il 120 attuale).

Fin qui il discorso segue binari condivisibili. Ma Barnard ci riserva una sorpresa finale. Infatti, quando parla di A, afferma di riferirsi allo Stato pre-euro, dando per sovrana la lira. Ciò non corrisponde al vero, in quanto anche la lira veniva stampata da una banca centrale, Bankitalia, privata al 95%, che prestava, come ora fa la BCE con l’euro, lire allo Stato italiano, con interessi variabili fino a massimi storici di circa il 20% negli anni ’80, dando inizio alla formazione dell’attuale megadebito pubblico, che spetta per l‘8% alla BCE e per il restante 92% alla medesima Bankitalia. L’equivalenza A = Stato può quindi applicarsi soltanto ad un futuro auspicabile, non già ad un passato prossimo.

In sostanza, Barnard è un negazionista nei confronti del signoraggio, non distinguendo tra moneta pubblica e privata. Quasi non ci fosse un’abissale differenza tra la nostra moneta metallica, coniata, questa sì, dallo Stato, senza debito né interesse, e moneta cartacea, la cui competenza è stata usurpata, con un trattato passato sopra la testa di tutti noi, dalla BCE. Quasi non ci fosse stata differenza tra i miliardi di dollari pubblici che costarono la vita a John Kennedy e i dollari della Fed privata, subito ripristinati da Lyndon Johnson, e causa dell’attuale debito pubblico USA, pari al 100% del PIL. Quasi non ci fosse stata differenza alcuna tra i marchi degli anni ’20, oberati di debiti, e quelli degli anni ’30, totalmente pubblici, che dettero alla Germania una florida economia (sia pur stoltamente improntata al riarmo), mentre quella dei Paesi occidentali versava nella Grande Depressione.

Barnard parlava in un circolo operaio e ha peraltro dovuto scontrarsi con tanti atteggiamenti e linguaggi che si credevano scomparsi, dalle sfilate con striscioni, alle rivendicazioni salariali, contrattazioni et sim., da lui definite “beccate tra polli”, mentre alzando la testa si dovrebbe guardare a quello schema A vs. B, che ho stringatamente cercato di riassumere; insomma, i manzoniani “polli di Renzo”per qualche briciola in più, mentre ci rapinano miliardi. A quando sfilate per obiettivi fondamentali come la riappropriazione della sovranità monetaria e la consultazione della gente prima di prendere in segreti conciliaboli decisioni così vitali per l’intera popolazione come l’abolizione dei confini e dei dazi, e la libera circolazione di cittadini stranieri, con ciò che ne consegue alla nostra economia, al nostro lavoro, al potere d’acquisto dei nostri soldi? 

* http://paolobarnard.info/docs/ilpiugrandecrimine2011.pdf 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                                     15 gennaio 2012 

marcogiacinto@graffiti.net

Paolo Barnard
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