OMOFOBIA E BULLISMO

OMOFOBIA E BULLISMO
IN ETA’ ADOLESCENZIALE

OMOFOBIA E BULLISMO
IN ETA’ ADOLESCENZIALE
Il tema dell’integrazione e del rispetto nei confronti degli omosessuali ciclicamente torna ad agitare la dialettica in svariati contesti, da quello politico a quello sociale, transitando persino attraverso quello sanitario. Poiché le parole sono come le pietre, che una volta lanciate non si possono riportare indietro, occorre molta prudenza e tanto tatto per affrontare la questione. Soprattutto alla luce dei più recenti dati che riguardano un fenomeno in costante aumento: il bullismo a sfondo omofobico in età adolescenziale.

Il bullismo, fenomeno convenzionalmente associato all’età scolare, è l’equivalente dello stalking posto in essere dagli adulti. La differenza è che lo stalking è, finalmente anche in Italia, reato mentre invece il bullismo, pur essendo caratterizzato da condotte lesive della dignità e dell’integrità psico-fisica di chi ne è vittima, difficilmente assume connotazioni di reato minorile. L’adolescenza è tipicamente l’età più fragile, a livello psicologico, attraversata dall’essere umano nell’arco della propria esistenza. Non è raro che un adolescente abbia problematiche di identificazione sessuale, o che sviluppi timori circa la propria appartenenza di genere: spesso sono frutto di scarsa o nulla educazione sessuale e di diffusi stereotipi. Ciò non toglie che i giovani più fragili siano molto esposti e vulnerabili al bullismo connotato di omofobia. Omofobia che, al pari di tutte le altre forme di intolleranza e discriminazione, aumenta in maniera direttamente proporzionale alla crescita di sofferenza sociale. E’ sempre accaduto che nei periodi di crisi la società cerchi dei capri espiatori, probabilmente è una componente insita nelle dinamiche sociali, un modo per catalizzare l’insicurezza e la frustrazione. Ovviamente questo concetto non giustifica minimamente atteggiamenti incivili o violenti, casomai deve essere un ulteriore elemento da ponderare con cura nell’approcciarsi alle dinamiche sociali.  Nel 2004, lo studio condotto dal Massachusetts Department of Education sul comportamento a rischio dei giovani delle scuole superiori con età compresa tra i 14 e i 18 anni, ha rilevato che le minoranze sessuali giovanili costituite da studenti che si sono definiti omo/bisessuali o che hanno avuto contatti omosessuali hanno probabilità molto più elevate di non andare a scuola, rispetto agli studenti eterosessuali, a causa dei comportamenti violenti di cui sono vittime.

Lo stesso studio ha evidenziato diversi tipi di problematiche associate con un orientamento omosessuale: sentimenti di insicurezza, isolamento dal gruppo dei pari, denigrazione e persecuzione per quelli di cui è noto o presunto l’orientamento sessuale, rifiuto da parte delle famiglie per chi si è dichiarato omosessuale, abuso di sostanze stupefacenti ed alcolismo. Per molti di questi fattori è nota l’associazione con disturbi mentali, quali ansia e depressione, distimie e disturbi dell’affettività (Dohrenwend, 2000; Kendler, Kessler, Walters, MacLean, Neale, Heath, Eaves, 1995;) e con comportamenti suicidari (Bagley, Tremblay, 1997; Herrell, Goldberg, True, Ramakrishnan, Lyons, Eisen, Tsuang, 1999; Hershberger, Pilkington, D’Augelli, 1997; Proctor, Groze, 1994).

La scuola, è ancora un contesto omofono e l’omofobia risulta tra le prime cause di bullismo, ma anche tra quelle di suicidio tra gli adolescenti. Il bullismo omofobo è  tipicamente maschile   perché la realtà dell’omosessualità mina la costruzione dell’identità maschile nell’adolescente che è cresciuto in un ambiente che gli ha inculcato un modello di mascolinità rigido e fortemente stereotipato. Le vittime raramente denunciano e sono ad alto rischio di comportamenti autolesionistici e suicidari. Queste sono realtà di cui una società civile non può non tenere conto. Corretto sarebbe garantire il rispetto per tutti, rispetto che va chiesto con fermezza e sobrietà.  L’omosessualità non è una patologia afferente alla sfera della sanità mentale, nonostante vi siano psicologi e psichiatri che sostengono di poter “curare” tale “disfunzione” attraverso l’utilizzo della  terapia cognitivo-comportamentale, in aperto contrasto con i protocolli guida dell’O.M.S. Plagiare un soggetto fragile attraverso il contro-transfert è estremamente facile, ma soprattutto non è etico curare un soggetto che non è patologico. Concludo questo scritto con un paragrafo di un articolo tratto da Repubblica.it, che vale più di mille discorsi:  “Perché me lo hanno trattato così? Non aveva fatto niente di male, era un essere umano come tutti loro”. La signora Priscilla non riesce a darsi pace per la morte del figlio sedicenne, che martedì scorso si è tolto la vita gettandosi dalla finestra della sua abitazione, al quarto piano di un’abitazione di Torino. Piange spiegando che suo figlio M. non sopportava più di sentirsi emarginato e insultato dai compagni di scuola che continuavano a ripetergli “sei gay, ti piacciono i ragazzi”. (5 aprile 2007, Repubblica.it).

Giovanna Rezzoagli Ganci

http://www.foglidicounseling.ssep.it

 

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