Ognissanti o Halloween?

Ognissanti o Halloween?

Ognissanti o Halloween?

Come ogni anno alla fine di ottobre si ascoltano diversi commenti alla ricorrenza appena trascorsa: la notte di ognissanti, o come si preferisce per la tradizione commerciale/anglosassone, “halloween”.

In genere si tratta di dichiarazioni di repulsione del festeggiamento nei termini proposti generalmente, e cioè una mascherata, celebrazione dell’orrore dei film e dei personaggi noti attraverso la televisione e i vari media, dolcetti, scherzetti, gadget, cene a tema, aperitivi, danze, divertimenti.


Feroci critici della festività in questione sono i religiosi (cattolici, ma anche protestanti o testimoni di Geova) per motivi legati alla spiritualità della festa, che dovrebbe essere una ricorrenza e non (appunto) un’occasione per la bisboccia; ma sono altrettanto critici anche coloro che propugnano una certa ortodossia nei festeggiamenti; dicono, queste persone, che halloween non ci apparterrebbe, essendo mutuata da festeggiamenti pagani di origine celtica, comunque anglosassone, passata attraverso gli Stati Uniti.

Secono quest’ultima visione laica le tradizioni sono importanti e sono legate ad un popolo, ad un’etnia, esistono quindi delle tradizioni consolidate che appartengono a quel dato ambito geografico ed etnico, lo rappresentano, ne sono un modo di identificazione.

Anche se non sono religioso trovo le motivazioni dei religiosi molto più serie e concrete. Festeggiare una ricorrenza non è festeggiare un compleanno o un capodanno. La sera e la notte di ognissanti potrebbe essere un’occasione per riavvicinarsi al sacro, all’introspezione, al dialogo su cose ultraterrene. Ma ognuno la vive poi giustamente come preferisce.


Sulla questione delle sacre tradizioni mi sento di fare qualche breve appunto. Le civiltà che abbiamo conosciuto fino ad oggi hanno comunicato tra loro continuamente, scambiandosi usi, costumi, cibi e patrimonio genetico. Le tradizioni millenarie e cristallizzate sono una mera invenzione letteraria: tutto è in continua evoluzione e compromissione. Inoltre inglobare le tradizioni di altri non è, come a volte si sente dire, un segno di debolezza di una civiltà, ma casomai il contrario. Ovvero la civiltà è debole quando ha paura di nuove tradizioni.

Chi propugna l’ortodossia rivendicando tradizioni locali, costumi caratteristici, usanze consolidate “da sempre”, dichiarando l’assoluta appartenenza di quelle usanze proprio a questo (o quel) territorio, deve ricordare che noi (ad esempio) siamo in maggioranza devoti a un corpus di riti religiosi originati da un ebreo palestinese e dalla sua famiglia, non propriamente italico, dunque. E che la stessa religione cristiana è stata codificata, designata, elaborata e discussa, tra gli altri, da un turco e un algerino, due fondamentali padri della chiesa cattolica (Paolo di Tarso e Agostino). E pure che alcune tradizioni sacre del cristianesimo sono state innestate su feste preesistenti, come ad esempio il Natale sui saturnali romani, e via andare con cento altri esempi non difficili da trovare.


Massimo Montanari

 

La tradizione è una semplice invenzione, che però ci piace vedere come caposaldo irremovibile e infrangibile dei nostri confini mentali. Lo stesso vale per il cibo: Massimo Montanari, docente di Storia medievale e storico dell’alimentazione, faceva notare che il piatto tipico per eccellenza in Italia è la pasta al pomodoro: ebbene, si tratterebbe di un elaborato dalla semola (di origine araba) condito con un frutto proveniente dal continente americano… Vogliamo parlare della polenta? Sacra consuetudine delle nostre campagne! Anche questa arriva dall’America, e si diffonde in Italia più o meno con le patate (altro cibo caratteristico) più o meno duecento anni fa.

Per tornare ad halloween, negli USA i bambini vagano di casa in casa chiedendo “dolcetto o scherzetto”, ma anche qui da noi i bambini delle borgate dell’Appennino, nelle sere prima del capodanno, vagavano di casa in casa a “chiamare strenna”, di questa consuetudine ce ne siamo quasi dimenticati.

Insomma, tutto questo per dire che non è tanto l’arrivo di una nuova tradizione che deve scandalizzarci, quanto l’incapacità di dare un valore altro, che non sia solo commerciale, ai riti e ai miti che ci portiamo in questi tempi complicati.

Facciamo pure festa, perché no, la sera e la notte di ognissanti, ma riportiamola ad una dimensione famigliare. E va bene, mascheriamo i bambini, decoriamo zucche, scherziamo con maschere e streghe, e poi, a un certo punto, si potrebbe uscire all’aperto, in campagna, a sentire l’aria fresca e respirare la sottile nebbia dell’autunno. E ragionare un poco con chi ci è vicino sul tempo che passa, sulla stagione che cambia, sul tutto che si rinnova e prosegue, contaminandosi e rinforzandosi. Potremmo parlare delle persone che non ci sono più e che ci hanno insegnato qualcosa, a cui abbiamo voluto bene, evocandole nel ricordo, non come becere sedute spiritiche banali e volgari, ma come rispetto del sentimento, della memoria nostra (questa volta nostra davvero). Il tutto lontano dalle televisioni, che andrebbero tenute spente quella sera. Spente materialmente, disalimentate, e spente nel nostro cervello, come consigli, propaganda, retorica e amplificazione di rumori molesti.

Concludo con due appunti molto più materiali: se vogliamo rispettare le tradizioni innanzi tutto si cucinino i ceci, magari con la ricetta che i nostri vecchi usavano (cotiche e zampetti di maiale, avendoli) e soprattutto, ma soprattutto, e lo dico più chiaramente possibile, si scoraggi il più possibile la barbara usanza dei petardi e dei botti. Prima di tutto perché fanno paura agli animali e ai bambini più piccoli, poi perché sono pericolosi e poi perché a me non piacciono. E quest’ultima cosa basta per tutto il resto.

Alessandro Marenco     1 novembre  2013

 

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