Nuovo ospedale a Legino

La proposta indecente
Nuovo ospedale a Legino

 La proposta indecente
Nuovo ospedale a Legino

Agli albori ingenui della mia ingenua campagna elettorale, in uno dei tanti dibattiti in cui fui coinvolta, sentii per la prima volta parlare di progetto per un nuovo ospedale a Legino.

 Nel mio candore, appunto, lì per lì la buttai in battuta: perché il nuovo ospedale non lo facciamo al Crescent? E’ vuoto, vista mare, e sembra proprio un monoblocco.  

Il pubblico apprezzò. Un po’ meno i  moderatori e i principali candidati. La battuta in realtà non era mia, ma di due turisti stranieri in darsena, che avevano appunto scambiato l’edificio per un nosocomio. 

Poi, tornando seria, mi chiesi, dal momento che si affermava come il Valloria fosse incompleto, se non fosse più logico e di buon senso  cercare di destinare i fondi per migliorarlo, anziché consumare altro territorio e molto più denaro per costruirne uno di sana pianta, lasciando spazio magari alla speculazione edilizia su quelle appetibili aree. 

Il Sindaco poi riconfermato Berruti saltò su piuttosto risentito, dicendo: non capisco perché a Pietra Ligure va bene e qui invece si parla di speculazione edilizia!

Ribattei: e chi dice che a noi vada bene, a Pietra Ligure o da qualsiasi altra parte, (or mi sovviene il Galliera, per esempio), che si speculi su aree ospedaliere?

L’ho già detto che sono ingenua? Forse sì, eh?

Be’, ragionavo sul concetto che di fondi pubblici o altri debiti per costruire ospedali non se ne parlava allora, meno che meno se ne può parlare adesso.

 
L’attuale ospedale
 

 Per cui mi sembrava che, in un momento in cui si tagliano reparti, posti letto, medicine e quant’altro, filosofeggiare di nuova edilizia ospedaliera fosse un mero sterile esercizio mentale. 

 Così credevo.

Sciocchina che sono! Ora mi spiegano che, proprio perché non c’è un centesimo, arrivano in soccorso i privati. Me lo spiegano niente meno che i consiglieri regionali del PD di area savonese.

Imperterriti mi fan capire che, magari non c’è uno spicciolo per completare un padiglione, allestire un reparto, tirar su un muro, fare opere essenziali, finanziare la sanità quotidiana. 

Ma per rifare tutto di sana pianta da qualche altra parte, purché i privati abbiano il loro bel tornaconto, i fondi si trovano eccome. Magari, come suggerisce Uomini Liberi in questi giorni, c’è chi ha già acquistato le aree a Legino e pazientemente aspetta. Prima o poi quelle belle terre alluvionali un tempo fertili, ora incolte e lasciate al sempredimoda “degrado” avranno la loro bella dose di cemento. E se non sono abbastanza remunerative come residenziale in loco, si sposta altrove il guadagno. Che ci vuole? Del resto, che se ne fanno gli ammalati della vista mare? Uno spreco.

Magari anche alla viabilità ad hoc provvederà, premuroso e tempestivo e come sempre compiacente, il pubblico, visto che curiosamente c’è un rinnovato interesse politico in merito. E di questi tempi di governi tecnici e inciuci finanziari e bancari, le infrastrutture piacciono e van di moda. Non si trovan soldi per le pensioni, ma per le TAV sì, e pronta cassa. 

Altra battuta che feci in quel dibattito, e che ora mi sento di confermare, è: non abbiamo ancora finito di risolvere (anche qui, con speculazione tirata all’estremo) il problema del vecchio ospedale in centro, e già vogliamo ricominciare la trafila? 

Non so, sarà che sono io sensibile di questi tempi, sarà che la depressione del periodo incombe, sarà che è veramente dura vedere in atto la tendenza suicida e autolesionista di una intera società mondiale, e non poter far niente per fermarla, sarà che il contrasto fra la realtà sempre più misera e spigolosa che viviamo, costretti a contar spiccioli, a sfuggire tasse implacabili, a rinunciare a lavoro e pensioni e servizi, e i grandiosi ( e spesso nefasti) propositi di politica e finanza, si fa sempre più stridente, ma a me questi ennesimi, e se potessi scriverei “ennesimissimi” discorsi di pianificazione speculativa a lungo termine messi nero su bianco, producono un leggero senso di nausea.

La sensazione di distacco fra chi chiacchiera tranquillo nella sua realtà ovattata,  come fosse a un tè delle cinque fra signore e biscottini, proseguendo imperterrito sulla strada che ci ha portato al collasso economico, climatico e sociale, e chi, nella palude del quotidiano, si arrabatta sempre più frustrato e inascoltato, fra difficoltà crescenti, è abissale e incolmabile.

Non trovo parole sufficientemente efficaci per descriverlo, per cui, per una volta, la pianto qui. Mi consolerebbe di non essere la sola a pensarla così.

 

 

Milena Debenedetti, consigliere del  Movimento 5 Stelle Savona 

 

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