Nostro malgrado

NOSTRO MALGRADO

NOSTRO MALGRADO

 Abbiamo subito il secondo tradimento della volontà popolare di maggioranza, dopo l’autunno 2011, quando l’allora capo dello Stato, Napolitano, su sollecitazione di UE e BCE, decretò la fine del governo Berlusconi per consegnarlo al “tecnico” Monti (il quale oggi pontifica che il nuovo Ministro del Tesoro deve avere come primo requisito quello di “saper scontentare la gente”: alla faccia della democrazia!)[VEDI].

 


Il vecchio e il nuovo; ma un unico fine: il vassallaggio dell’Italia all’UE

 

 Oggi, l’attuale capo dello Stato, Mattarella, a dispetto di un cambio radicale di consenso degli italiani nei riguardi di M5S e PD, come espresso alle ultime europee, ha avallato il matrimonio di secondo letto del M5S con il PD, sino a ieri suo acerrimo nemico. Formalmente, c’è poco da eccepire: si tratta della formazione di una nuova maggioranza parlamentare. Nei fatti, si tratta di due partiti con storie e obiettivi divaricanti, tranne quello di accedere o rimanere saldamente al potere: un collante di pessimo augurio. Che davamo per assodato nel caso del PD; non certo nel caso del M5S, sorto con ben altri connotati. In altri termini, contro la volontà popolare, si sono evitate nuove elezioni per incoronare i due perdenti delle europee e spingere all’opposizione il grande vincente, condannato a fare da vittima sacrificale: la Lega; la quale ha deprecato queste nozze incestuose, addebitando il proprio “gran rifiuto” di continuare quelle di primo letto col M5S ai troppi NO di quest’ultimo. Probabilmente ha sbagliato la tempistica, aspettando un paio di mesi di troppo, per il timore di quello che in effetti è accaduto e che sembrava essere un timore infondato, date le distanze abissali tra M5S e PD.

Lo scenario, dopo lo “stacco della spina” da parte di Salvini, ha messo a nudo un M5S traumatizzato dai risultati delle europee, che lo davano per almeno dimezzato. Trattandosi in gran parte di emeriti sconosciuti, portati alla ribalta dall’ondata di euforia per un movimento non-partito, quindi alternativo a quelli tradizionali, invisi al 96% degli italiani, il salto dalla vitaccia cui tutti siamo stati condannati dalle assurde politiche di austerity post 2007-08, ai fasti del Parlamento, dove si lavora pochissimo e si guadagna in proporzione inversa, era troppo inebriante per pensare di privarsene volontariamente per mera coerenza politica. Quella pletora di giovanotti, neo “onorevoli”, avrebbero stretto un patto anche col diavolo pur di non riprecipitare nella triste esistenza ex ante, tra studi senza sbocco e lavoro precario, se non nullo. E il diavolo l’hanno trovato, nel PD. 

 


 

Patto col Diavolo

 Quei baldi giovanotti non hanno avuto remora alcuna a sconfessare tutte le idee professate fino al giorno prima, come del resto avevano già avuto modo di mostrare in precedenza, arrendendosi alle pretese vecchia maniera della Lega, acconsentendo a smentire i loro cavalli di battaglia, dicendo SI a progetti per i quali avevano avuto mandato dagli elettori di dire altrettanti NO. 

Salvini ha chiuso coi grillini, a suo dire, per i troppi NO. Il fatto è che l’elettorato grillino ha invece chiuso col M5S, facendolo crollare nei sondaggi alla metà dei voti del maggio 2018, per l’esatto contrario: i troppi SI. 

I penta stellati avevano abbagliato gli italiani più sensibili ai temi dell’ambiente promettendo il massimo impegno su questo fronte. Invece, fu una capitolazione continua alle richieste della Lega, tranne in un caso: la TAV. E chi si assunse la responsabilità, mettendoci pienamente la faccia, di dire ripetutamente NO allo sconquasso ambientale che essa comporta, fu il ministro Toninelli; non a caso il più osteggiato, deriso, umiliato di tutti i grillini, mentre fu l’unico a reggere l’urto dei tanti SI-TAV, dalle madamine torinesi a Confindustria e via dicendo. Infatti, è stato messo a riposo senza tanti complimenti, nella previsione dello scarso interesse per l’ambiente dei nuovi compagni di cordata. Via l’ingombrante Toninelli, via alla TAV.

 

Il “peccato capitale” di Toninelli: schierarsi col popolo, contro il “sistema”

 

L’altro fronte caldo era (e certo non ha cessato di essere, anzi) l’immigrazione clandestina. E qui, a fronteggiare il protagonismo di Salvini, c’erano i cosiddetti “fichiani”, seguaci di quell’altro ingombro –di segno contrario-, venuto dal nulla e miracolato della terza carica dello Stato per meriti inesistenti: Roberto Fico. La posizione politica, nonché lo stesso aspetto, mi ricordano quelle dei protestatari sessantottini, che chiedevano la Luna, il famoso “tutto e subito”, in fumose assemblee universitarie, il cui protagonista principale, Capanna, gode tuttora, in solitaria, i lauti frutti di quell’illusione, come ex-parlamentare. Ecco, Fico mi ricorda Capanna in questa gara di generosità “a spese degli altri”. Oggi si chiama “buonismo”, ed è figlio del ’68, quando i giovani col libretto rosso di Mao credevano di combattere il capitalismo, mentre in realtà stavano solo seppellendo la borghesia: un lavoro portato avanti dai piddini, in tutte le sue varianti nominali, attraverso i decenni, col risultato di un capitalismo sempre più vittorioso e vorace, contrapposto ad una classe media in via di scivolamento verso gli ampi spazi dell’indigenza e dell’ormai generalizzata guerra tra poveri. Guerra, le cui fila sono moltiplicate dall’ingresso agevolato di miriadi di africani e asiatici in competizione, al ribasso, coi nostri lavoratori (e disoccupati); anzi, in posizione avvantaggiata, grazie ai sussidi che gli italiani non vedono.

 


Il “peccato capitale” di Salvini: aver tagliato dell’80% gli sbarchi di clandestini, col consenso popolare

 

Dunque, i due grandi temi del dissidio Lega-M5S erano l’ambiente (in quanto restrittivo del lavoro tout court, nella variante aggiornata del vecchio antagonismo “inquinamento o disoccupazione”) e l’immigrazione. Il primo tema aveva portato voti ai grillini; il secondo alla Lega. Dopo i ripetuti arretramenti ambientali (vedi ades. trivelle e TAP), il M5S ha perso lo smalto (e i voti) iniziali, dimostrando che si trattava di un mero escamotage acchiappa-voti. Nessun problema, quindi, a dire oggi SI alla TAV, come vuole il PD. Sull’immigrazione, invece, la nomenklatura ha messo in quarantena Salvini, che sulla questione non aveva affatto cambiato idea, dimostrando quella coerenza che i grillini avevano persa. Ciò fatto, l’uomo anti-sistema non avrà più voce in capitolo sui porti aperti voluti dal PD e dai fichiani, e noi italiani dovremo rassegnarci a girare all’indietro l’orologio, con le immagini quotidiane di ONG, barconi e barchini in arrivo festoso e benevolo sulle nostre coste, per poi abbandonarne i carichi umani alla ventura, liberi di vagabondare nelle nostre città, al servizio delle varie mafie e cosche, nostrane o nigeriane.

D’altronde, diciamolo pure, agli italiani dell’ambiente interessa poco o nulla, tranne quando ne sono colpiti in prima persona; mentre sono sensibili all’identità nazionale (nonostante la sua giovane istituzione), e fremono al vedersi invasi da immigrati che nessuno ha chiamato e che si arrogano il diritto di sbarcare tra di noi a loro piacimento. Tra poco risentiremo parlare anche di ius soli, qualcuno ha dubbi?

 

Chiamata sovranista in piazza il giorno della fiducia: mesto sfogo dopo il non-intervento di Mattarella, che pur intervenne a gamba tesa nella formazione del governo Conte 1 per bocciare Paolo Savona, Ministro del Tesoro in pectore

 

Ergo, mentre non ci saranno manifestazioni di massa sul fronte ambientale, se non in casi specifici, crescerà il malcontento per i rinnovati sbarchi massicci, che non faranno che accumulare punti a favore dei sovranisti: Lega e Fratelli d’Italia. Partiti peraltro poco o nulla sensibili al tema ecologico, essendo prioritariamente produttivisti “a prescindere”, ma fortemente identitari. Alle prossime elezioni, che purtroppo prevedo tutt’altro che prossime, faranno presumibilmente il pieno. I migliori alleati di Salvini e Meloni saranno proprio i vari Fico, Speranza e tutto il PD. Diamo tempo al tempo.

In altri tempi, su altre terre, non si attenderebbe pazientemente la fine di una legislatura che vede il partito di ex maggioranza relativa comportarsi in maniera diametralmente opposta alle promesse elettorali, scadendo da partito con una forte identità ed alti ideali ad una banderuola in vendita al miglior offerente. Ci sarebbero sommosse, o “moti”, come si diceva una volta. In Italia, invece, si digerisce tutto; al massimo qualche mugugno. Anche sotto terra: penso ai rivolgimenti nella tomba del fondatore del M5S, Gian Roberto Casaleggio, che perlomeno è “assente giustificato”…

 

 

Gianroberto Casaleggio: ennesimo esempio storico di innovatori traditi dai propri seguaci

 

  Marco Giacinto Pellifroni      8 settembre 2019

 

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