Non è solo stucchevole retorica

Non è solo stucchevole retorica

Non è solo stucchevole retorica

Detesto la retorica, soprattutto quando è solo artificio e teatralità. E detesto le ricorrenze, i giorni o gli anni dedicati a qualcuno o a qualcosa. Sono il trionfo della banalità e dell’ipocrisia. Ci sono delle circostanze, rare, in cui il ricordo reca con sé emozioni condivise e autentico pathos, stringe una comunità in un rinnovato vincolo di memorie e di affetti ma niente hanno a che fare con la puntuale giornata della memoria nella quale l’insistenza sul dovere di non dimenticare è la palese dimostrazione di una sostanziale amnesia e di cinica indifferenza. È il giorno in cui il capo dello Stato dà il meglio di sé. E lo fa evocando pericoli che non esistono, per lo meno dalla direzione verso la quale ammicca; minacce campate per aria e un gran polverone, con l’ennesimo tentativo di confondere le idee di chi grazie all’anagrafe non può contare sulla propria personale esperienza e grazie alla scuola non ha difese contro lo stravolgimento della storia.


Chi mi conosce sa che non posso essere neppure sfiorato dal sospetto di antisemitismo. Alcuni dei miei migliori e più rimpianti amici erano ebrei, da ragazzo ho dovuto subire con ribrezzo la vicinanza di compagni di classe – e compagni in tutti i sensi – che organizzavano raid notturni contro le abitazioni di ricchi giudei, sono nato e cresciuto in una città in cui la feccia delle periferie usava abitualmente il termine ebreo come insulto e me ne è rimasta addosso la vergogna. Se avessi voglia di scherzare direi che una cosa la rimprovero agli ebrei: averci lasciato in eredità il cristianesimo. Già, il cristianesimo, che è la vera matrice dell’antisemitismo, prima e più dell’islamismo, il quale può accampare ragioni politiche mentre il cristianesimo affonda il suo odio nella teologia: gli ebrei sono i deicidi, hanno ucciso il dio incarnato. Tutta la storia dell’occidente, dalla tarda antichità all’età contemporanea, è segnata dalla emarginazione, dall’ostilità e dalla persecuzione verso gli ebrei. Un’ostilità diffusa, alimentata dalla Chiesa di Roma, generalmente innocua quella italiana, ben altrimenti violenta e sanguinosa quella dell’Europa centrale e dell’est.


Un’ostilità che i socialisti nazionali del Führer hanno vellicato e usato ma non hanno certo inventato. Il sionismo è figlio della discriminazione e pretesto per il suo incrudelimento, soprattutto quando la guerra comincia ad aprire ferite nel corpo della società tedesca e il regime reagisce scatenando una campagna contro la minoranza ebraica già duramente colpita dalle leggi del 1933. A questo proposito, in tutto il fiume di retorica nel quale annegano le responsabilità, non c’è nessuno, soprattutto fra quelli che predicano porti aperti e ponti d’oro agli africani che fuggono dal lavoro, che  ricordi a se stesso e alle nuove generazioni che più di duecentomila ebrei tedeschi di cui Hitler si sarebbe liberato volentieri e che volevano emigrare in America e in Gran Bretagna dopo la prima ondata seguita all’avvento al potere dei nazisti si trovarono sbarrate le porte delle democrazie. Il risultato fu che se ne salvarono meno di un decimo, fra quanti poterono nascondersi e quanti potevano vantare consanguinei “ariani”. 


Brutta storia, macchia indelebile sull’Europa cristiana, quella della deportazione e dello sterminio degli ebrei; brutta storia che non riguarda solo la stupida ferocia del regime nazional socialista e l’ottusità dell’apparato militare e burocratico tedesco ma anche se non soprattutto la connivenza dell’opinione pubblica europea, francese, tedesca, polacca e ceca in particolare. Quanto ai comunisti, per loro gli ebrei in occidente erano al servizio del capitale e nel paradiso sovietico una pericolosa zavorra della quale il compagno Stalin si stava alacremente liberando senza che i compagni nostrani presenti alla sua corte trovassero niente da obiettare. Bene, oggi, di fronte a queste tremende responsabilità, di fronte al silenzio complice della chiesa cattolica e delle chiese protestanti e di fronte al rinnovato antisemitismo della galassia filopalestinese – a cominciare dai nostri centri sociali – il tutore della costituzione, il sacerdote della “repubblica nata dalla resistenza” (non è vero ma a forza di sentirlo ripetere si finisce per crederci) evoca oscure minacce ma si guarda bene dal dire da che parte vengono e mette insieme le leggi italiane di difesa della razza firmate dal re, deplorevoli quanto si vuole ma che si limitavano a tener fuori dall’esercito e dal pubblico impiego chi professava la religione ebraica e per le quali non è stato né processato né condannato né deportato nessuno, con i decreti del terzo Reich e i provvedimenti dei comandi militari e dei gauleiter tedeschi e dei loro vassalli. Ci si ricordasse piuttosto che gli ebrei francesi venivano accolti e messi al sicuro nella Francia occupata dall’Italia fascista e si ricordino anche i Giusti d’Israele, Perlasca e Tredici, italiani e fascisti, che si adoperarono  in patria e in Ungheria per strappare gli ebrei dalle grinfie dei tedeschi. Invece il nostro custode di una democrazia in frantumi trova l’occasione per lanciare il suo anatema contro l’indegna dittatura: la damnatio memoriae per vent’anni della nostra storia e per quanto l’Italia seppe dare al mondo nella scienza, nell’arte, nella letteratura, nella filosofia e anche nella critica storica. Una disciplina, quest’ultima, di cui si è perso traccia.


Il modo migliore di onorare le vittime del pregiudizio, dell’ignoranza, del fanatismo è quello di rinunciare alla pretesa di essere migliori, i giusti, quelli che hanno nelle loro mani il criterio del bene e del male. Chi vede tutto bianco o tutto nero è pericoloso ed è portato a preferire le armi dirette della violenza, della criminalizzazione, della demonizzazione al confronto civile e democratico. E soprattutto teme il voto popolare se non è sicuro di poterlo manipolare. Non è un caso che sulla scia della finta commozione del giorno della memoria, della quale i compagni si sono impadroniti con inqualificabile spudoratezza, si torna ad agitare il fantasma dell’uomo nero con una grossolana operazione semantica: il populismo viene fatto coincidere col fascismo. Il populismo si scambia col sovranismo, il sovranismo è un altro modo per indicare il nazionalismo e cosa c’è di più nazionalista del fascismo? E a questo punto Zingaretti, Mentana, l’Anpi tirano fuori dal cilindro tre consiglieri di centrodestra di un piccolo comune ligure che per esprimere il loro voto alzano il braccio pericolosamente inclinato. Serriamo i ranghi, Annibale è alle porte! 

   Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione  

 

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