Nell’anniversario di Matapan

10 agosto 1952. Spiaggia di Villasimius, presso Cagliari.
Una bottiglia rotola avanti e indietro sul bagnasciuga seguendo la spinta e il ritrarsi delle onde. Un uomo la vede. E’ sigillata da un tappo di sughero e cera. Contiene qualcosa. La raccoglie.

Non occupare Malta, punto strategico di straordinaria importanza nel Mediterraneo, e lasciarla agli Inglesi fu, militarmente parlando, un errore madornale.
Da quel momento l’operatività della flotta italiana, potenzialmente la più forte del mediterraneo e in assoluto la quinta al mondo, risultò compromessa nonché estremamente complicata.
Infatti essa già doveva far fronte ad almeno tre altri grandi handicap:

– Non si serviva di un’arma formidabile come il radar.

– Non annoverava neppure una portaerei (Mussolini riteneva erroneamente, come poi dimostrarono i fatti, che la penisola italiana fosse per la sua forma allungata essa stessa una valida portaerei).

– Si muoveva seguendo i comandi impartiti da Supermarina, ovvero dal Comando Superiore della Regia Marina con sede a Roma, le cui direttive trasmesse per telegrafo ovviamente non potevano né essere immediate né precise al pari degli ordini di prima mano impartiti da una nave ammiraglia.

La nave Vittorio Veneto

Con questo quadro, pur scarno e incompleto, si può meglio comprendere cosa accadde il 28 e 29 marzo 1941 nel tratto di mare tra Creta e il Peloponneso.
Scaturita dalla necessità di attaccare i convogli britannici che dall’Egitto rifornivano di armi e materiale gli Alleati in Grecia, fu combattuta una battaglia presso il lembo di terra più a sud d’Europa, l’isola di Gaudo (oggi Gavdos) e si concluse senza vinti né vincitori e senza nessuna perdita da parte dei contendenti.
In realtà, però, la si può considerare la premessa dell’altra più cruenta battaglia che si combatté nella notte.
Infatti avvenne che la nave “Vittorio Veneto”, mentre unitamente al resto della squadra rientrava da Gaudo sviluppando il massimo della velocità verso le basi italiane, fosse attaccata e colpita da aerosiluranti britannici.
Siccome la “Vittorio Veneto” era il fiore all’occhiello della Marina italiana, l’ammiraglio di Squadra Angelo Iachino ordinò che tutte le altre unità le si disponessero attorno per proteggerla affinché, pur  rallentata dalla falla, potesse comunque guadagnare il porto. Durante il rientro, però, una sortita dell’aerosilurante Swordfish del tenente Michael Torrens-Spence, centrò con un siluro l’incrociatore pesante “Pola”, che a causa dei danni  alle caldaie e al motore, non poté continuare la navigazione e perse contatto con le altre unità.
La nave non solo imbarcò una quantità d’acqua, ma essendo priva di energia elettrica, non fu più in grado di muovere le torri dei cannoni, per cui si ritrovò ad essere nelle condizioni di facile bersaglio in balìa delle onde, fisso oltreché inerme.
Quando quasi mezzora dopo l’ammiraglio Iachino si rese conto che il “Pola” aveva perso contatto con la formazione, ordinò che l’ammiraglio sottoposto Carlo Cattaneo con tutta la 1^ Divisione Incrociatori e con tutta la IX^ Squadriglia Cacciatorpediniere, invertisse la rotta per andarlo a recuperare.

Si trattava di 6 navi. Un numero di unità da molti strateghi in seguito giudicato eccessivo perché troppo individuabile ed esposto, ma forse giustificato dal fatto che bisognava recuperare molti naufraghi con le unità più agili (i cacciatorpediniere), e che per rimorchiare il “Pola”, accucciato dall’acqua imbarcata, c’era bisogno di unità potenti (gli incrociatori).
L’omologo britannico di Iachino, Andrew Cunningham, fu informato della manovra che il nemico stava effettuando per venire in soccorso del “Pola” e ne approfittò.
Calato il buio, si avvicinò fino a circa 2500 metri alla flotta del Cattaneo e, servendosi del fascio di luce dei riflettori, cannoneggiò a colpo sicuro affondando nella notte tra il 28 e il 29 marzo 1941 nelle acque greche a sud-ovest di capo Matapan, i due incrociatori gemelli Zara e Fiume e i cacciatorpediniere Alfieri e Carducci.
Le navi italiane, fino ad allora ignare della presenza del nemico e non essendo addestrate al tiro in notturna, reagirono, ma ebbero inevitabilmente la peggio.
Gli altri due cacciatorpediniere, il Gioberti e l’Oriani, riuscirono a rientrare.
Il Pola fu affondato in seguito, dopo che, constatata la totale incapacità offensiva della nave, il  contrammiraglio Philip Mack la fece affiancare e ne trasse in salvo i superstiti.

Incrociatore Fiume

Da parte sua l’ammiraglio in capo Andrew Cunningham, finita la battaglia incrociò nell’area dello scontro per diverse ore, riuscendo a mettere in salvo circa 900 marinai italiani, ma a un certo punto dovette allontanarsi perché c’era il fondato timore dell’incursione di aerei tedeschi.
Si preoccupò tuttavia di segnalare la zona dello scontro a Supermarina, consigliando di inviare secondo le coordinate 35°30′ N e 20°50′ Est, una nave-ospedale.
Le vittime delle 5 navi affondate nello scontro di Matapan, furono comunque moltissime. Gli storici valutano tra le 2300 e le 2500. Chi morì tra le fiamme, chi annegato, chi mangiato dagli squali, chi assiderato (la nave-ospedale “Gradisca” arrivò sul luogo circa tre giorni dopo, e riuscì a recuperare solo 161 marinai): una disfatta. La più grande della Marina Militare mai subìta dall’unità d’Italia ai giorni nostri.

Il marinaio Chirico

Ed ecco, uno tra i marinai dell’incrociatore “Fiume”, quello che subì le maggiori perdite, resosi conto che non si sarebbe salvato, riuscì a recuperare, nel bailamme di una nave sul punto di inabissarsi tra le urla dei feriti e le lamiere roventi, una matita con cui, completamente al buio, su un lembo della copertura in tela di una mitragliatrice, scrisse un messaggio. Poi lo mise in una bottiglia che sigillò con della cera e un tappo di sughero. Infine lo consegnò al mare.
Non sappiamo quali coste e quali isole questa bottiglia abbia lambito, contro quali tempeste e quali venti per undici anni abbia combattuto; ma alla fine le onde hanno onorato il loro impegno.
Chi estrasse la tela dalla bottiglia vi lesse:

“Regia Nave Fiume – Prego signori date mie notizie alla mia cara mamma mentre io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, via Eremiti 1, Salerno. Grazie signori. Italia!”

FULVIO BALDOINO

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