Impegnarsi per essere Charlie

IMPEGNARSI PER ESSERE CHARLIE:

UN MODO PER FAR SEGUIRE I FATTI ALLE PAROLE

IMPEGNARSI PER ESSERE CHARLIE:
UN MODO PER FAR SEGUIRE I FATTI ALLE PAROLE

Dopo i fatti di Parigi i social network sono lastricati di frasi di cordoglio e di inni alla resistenza civile e non violenta; propositi che probabilmente resteranno tali, inghiottiti dalla routine di tutti i giorni.

Ma come fare qualcosa di concreto per contribuire ad evitare che l’odio cresca a tal punto da portare le persone a imbracciare i fucili e sparare?

Qualcosa da poter fare a casa nostra, dato che non tutti noi siamo abbastanza coraggiosi per andare in una zona di guerra come cooperanti.

Provo ad illustrare un personalissimo pensiero in materia.

Leggendo qua e la sul web e sui giornali i due attentatori, e chi li ha ispirati, vengono chiamati: pazzi, estremisti, islamisti e in molti altri modi ancora.

Tutto vero, ma se invece di giudicarli astraendoli dal contesto provassimo a valutarli collocandoli nel tempo e nello spazio (nella storia e nella geografia), dovremmo aggiungere al quadro che questi sanguinari provengono da popoli che sopravvivono in una condizione di guerra e di instabilità permanente ormai da svariate generazioni.


Giusto per farci un idea del tipo di ambiente da cui provengono e in cui sono cresciuti loro e i loro padri, proviamo a pensare a un mondo in cui la certezza di tornare a casa la sera e di riabbracciare i propri cari dopo una giornata di lavoro non esista, dove si possa morire d’improvviso raggiunti da un razzo o da un proiettile, dove si corra il rischio di essere torturati barbaramente se non si condividono le visioni del “bullo” del momento. Proviamo a spogliarci delle nostre sicurezze, a non pensare più alla nostra casa come a un bene immobile e sicuro, proviamo a pensare a un luogo dove quella sensazione di comoda e calda sicurezza non esista; anche sforzandoci potremo capire solo marginalmente la quotidianità in cui vivono queste persone. In questa quotidianità si è formata e diffusa l’idea che tutto quello che l’occidente propone sia dannoso, in quanto diverso, per alcuni versi, da quanto proclamato dalla cultura secolarmente praticata in questi luoghi.

Teniamo comunque ben presente il fatto che non tutti gli abitanti del medio oriente, ad esempio, sono Jiadisti, solo una frangia contenuta di esaltati entra a far parte di tale categoria.

Se andiamo a vedere come si genera l’instabilità di cui si parlava e che a nostro avviso sarebbe uno degli elementi che contribuiscono a mantenere fertile il terreno su cui si è sviluppata e diffusa la follia Jiadusta, risulta impossibile non riconoscere una parte attiva alle nazioni Occidentali nella composizione del quadro.

Gia ben prima di quando il petrolio e il gas naturale diventarono i combustibili globalmente più utilizzati, le potenze Occidentali intervenivano, commercialmente e militarmente, in Africa, Asia e Medio Oriente al fine di accaparrarsi le risorse in barba alle popolazioni locali; alimentando l’instabilità di alcune zone già di per se ricche di culture diverse difficili da far andare d’accordo.


 Pensiamo ai Russi, prima, e agli Americani, dopo, in Afaghanistan ad esempio.

Oppure alla Nigeria, dove la milizia Boko Haram (letteralmente la Cultura Occidentale è Sacrilega) sta guadagnando sempre più spazio incendiando villaggi, violentando donne e facendo migliaia di morti; se andassimo ad indagare cosa hanno combinato, e combinano, le imprese Italiane per sfruttare il petrolio nel delta del Niger, ci stupiremmo meno di vedere tanto odio verso la cultura occidentale. (invito chiunque a documentarsi, vi sono moltissimi siti e articoli sull’argomento)

La tesi che si sostiene non vuole in nessun modo giustificare la violenza in virtù di un peccato originale occidentale, forse questa situazione di odio e di contrapposizione si sarebbe comunque generata anche a prescindere dalla nostra presenza in determinati luoghi del pianeta e in ogni caso, ammesso e non concesso che la colpa possa essere nostra, vi sono infiniti modi di manifestare il proprio sdegno senza che la protesta vada a ferire o uccidere qualcuno.

Quello che si afferma è piuttosto che, innegabilmente, tutti noi abbiamo una parte di responsabilità nei disordini che caratterizzano i luoghi dove poi si configurano posizioni estremiste e violente; ogni volta che sprechiamo le risorse che traiamo da tali luoghi in qualche modo diamo un nostro piccolo contributo a questo sporco affare.

Parallelamente si apre, quindi, anche un canale per lavorare alla costruzione della pace, ovvero: migliorare i nostri consumi, razionalizzandoli, e concentrarci sulle potenzialità locali, sfruttando i prodotti del nostro territorio, rendendo più morigerate le nostre abitudini nel caso fossero troppo decadenti.

Per contribuire alla pace e alla sicurezza dobbiamo cominciare a usare l’auto con razionalità, prediligendo i mezzi pubblici, le biciclette o praticando il carpooling.

Rifiutare le allettanti offerte degli ortaggi che arrivano sulle nostre tavole a un prezzo ridicolo nonostante vengano trasportati da lontano via nave o camion; cominciando a richiedere e consumare prodotti locali, coltivati a poca distanza da noi, che quindi richiedano l’impiego di poca energia per arrivare sulle nostre tavole.

Abbassare il riscaldamento e usare l’aria condizionata con moderazione e oculatezza.

Rinunciare a un viaggio di piacere, ad esempio, per avere un po’ di denaro da investire per migliorare la coibentazione del nostro appartamento, in modo da risparmiare energia.


Cominciare a guardare a quali risorse il territorio locale offra; ad esempio la provincia di Savona è tra le più boscose d’Europa, perchè non ricavare quindi energia usando questa risorsa, attraverso moderne caldaie di pirogassificazione unitamente alle tecniche di crescita veloce del bosco che vengono studiate e sperimentate nel nostro campus Universitario.

E via così, si potrebbero elencare migliaia di possibili azioni concrete per realizzare un uso più oculato delle risorse, quindi una minore necessità delle stesse, quindi favorire la stabilità e la ricchezza dei paesi che posseggono tali risorse.

Ognuno di noi ha un margine di azione che dipende dalla sua discrezionalità e dal suo impegno civico (e civile); sarebbe bello vedere qualcosa di più concreto dei commenti su Facebook quando accadono tragedie come quelle di questi giorni.

Certo la scelta di esprimere il proprio sdegno via Twitter è molto più semplice e da una soddisfazione immediata, subito tangibile, mentre altre forme di risposta comportano tempi molto più lunghi e magari offrono risultati solo se praticate su larga scala.

Concludo con una bella fase di Nick Hornby, tratta dal libro “Come diventare buoni” (che consiglio a tutti).

“Sono l’incubo dei progressisti, perchè voglio che alle mie parole seguano fatti”

ANDREA GUIDO

dottor.andrea.guido@gmail.com

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