Maria Bolla

Maria Bolla, una vita in prima linea
dalla lotta di classe all’impegno sociale
Il nonno fondatore del Partito socialista, gli orrori della guerra, la madre condannata dal Tribunale fascista, l’odissea del padre detenuto in campo di concentramento, l’impegno e le battaglie nell’Udi e nel Pci

Maria Bolla, una vita in prima linea
dalla lotta di classe all’impegno sociale
Il nonno fondatore del Partito socialista, gli orrori della guerra, la madre condannata dal Tribunale fascista, l’odissea del padre detenuto in campo di concentramento, l’impegno e le battaglie nell’Udi e nel Pci
 

Raggiungo Maria Bolla nella sua bella casa sulle alture della Villetta. Sono venuto per farmi raccontare, per AuserSavonaNotizie, i risvolti della sua vita che ne hanno fatto un personaggio. Non si fa pregare. “Debbo confidarti – dice, aprendo il discorso – che sono cresciuta nel rigore di una famiglia all’antica. Questo, fin da piccola, ha determinato il mio carattere, inducendomi ad agire entro i confini di una certa austerità”.

Una foto sulla scrivania mostra i volti dei genitori, protagonisti con lei, di questo racconto. Col pensiero immerso nei ricordi Maria incomincia a scavare nel passato. “Ritengo di essere stata una donna fortunata, molto fortunata. Mi riferisco alla vita ricca di esperienze e di soddisfazioni vissuta con l’ausilio di ideali che i miei vecchi mi hanno trasmesso”.

Bambina nel cuore della guerra

Nei giorni sul finire del ’43, per quanto fossi una bambina, i miei occhi videro, ed il mio cuore provò per la prima volta, l’orrore della irrazionalità umana. Fissavo nel vuoto, impaurita. Nel mio sguardo si riflettevano figure ombrate che si muovevano disordinatamente in una grande piazza. Eravamo arrivati da poco. Il nonno, cosciente della situazione, non avrebbe voluto coinvolgermi, ma insistetti tanto che alla fine dovette desistere. La ragione di quella mia insistenza era giustificata, volevo vedere e riabbracciare i miei genitori rinchiusi in quel luogo tetro. Mio padre era in attesa di giudizio e mia madre era già stata condannata dal Tribunale speciale fascista di Salò a due anni di detenzione. Stanca, accasciata, dopo un viaggio massacrante, sento il bisogno di riposarmi, mi siedo su un gradino posticcio incastrato nel muro di un caseggiato dall’aspetto sinistro. Dietro, nulla che ne giustifichi la presenza. Sulle ruvide pareti primeggiano scritte a carattere cubitale, frasi inneggianti al Duce e al suo regime. La nebbia rende ancora più tetra la scenografia circostante. Più tardi vengo a sapere che quel trambusto è la conseguenza di un inopinato rastrellamento avvenuto, la notte precedente, in Val D’Ossola. Quelle mura facevano parte delle Nuove Casermette San Paolo di Torino dove erano tenuti prigionieri i partigiani catturati, ma non solo loro. All’interno di quella muraglia dall’aspetto lugubre, si trovavano Aldo e Teresa, mio padre e mia madre. Lui, lo avevano arrestato, giorni prima, mentre cercava di prendere il treno, in corsa, alla stazione di Ferrania. Incautamente informata dal guardiano dello stabilimento, una pattuglia di tedeschi lo raggiunge all’ultimo istante. Ammanettato lo portano alle Nuove Casermette. Ero in ansia per lui, anche se non potevo immaginare quale sorte lo aspettasse. La mia ansia si trasforma in orrore quando con il diradarsi irregolare della nebbia divento, mio malgrado, testimone di uno spettacolo incredibile. Dai cinque alberi che adornano la piazza penzolano altrettanti partigiani impiccati. Frustrata, per quel viaggio della speranza interminabile, mi sento al limite delle forze. Anche mio nonno, inorridito da quello spettacolo, immaginando il mio stato d’animo, non sa cosa fare”.

Papà Aldo in campo di concentramento.

“Papà era destinato al campo di concentramento di Mathausen”, ricorda Maria, poi fa seguire una comprensibile pausa. La interrompo per chiederle cosa spingesse quell’uomo ad esporsi tanto. La risposta è immediata. “L’amore per la libertà, per il suo paese e per la sua famiglia. Mio nonno fu un fondatore del Partito socialista, delegato al congresso di Genova nel 1902. Era proprietario di un albergo ben avviato, nei primi anni del ventennio. Per le sue manifeste idee politiche, il regime gli impone di chiuderlo. Nel tempo, la vita si farà sempre più difficile. Papà Aldo, negli anni bui della dittatura, grazie all’interessamento dell’Associazione arbitri di calcio, viene assunto alla Ferrania. Là, incontra l’organizzazione del “Soccorso rosso”. Inizia così la sua lotta contro il fascismo. Sarà presto individuato e condannato. Mamma Teresa, donna altrettanto determinata, partecipa attivamente alla stessa battaglia politica e finisce anch’essa per essere condannata”.

Dal suo racconto emerge uno spaccato dell’Italia oppressa dal nazifascismo, storie terribili di vita e di atrocità, di sofferenze e di lutti. Le chiedo cosa accadde in seguito, alle Nuove Casermette. “Davanti a me – racconta – si ferma un milite in grigioverde che, intenerito dal mio aspetto, mi chiede perché, così piccola, mi trovi in quel posto. La risposta gliela da il nonno che, riassumendo il motivo della nostra presenza, riesce ad aprire nel milite un varco di umana pietà: prima mi guarda teneramente, poi mi prende per mano e ci accompagna all’interno del carcere. Rammento un alternarsi di immensi saloni, in alcuni sono visibili attrezzature per la tortura. Quasi in fondo al corridoio troviamo la cella nella quale viene trattenuto mio padre. Stentiamo a riconoscerlo. Non è più lo stesso”.

Maria ha un nodo alla gola, il ricordo e l’emozione sono ancora vivi. Si blocca. La mia curiosità per una testimonianza tanto forte mi spinge a chiederle di continuare. E riprende la narrazione. “L’incontro con quel milite si rivelò provvidenziale: grazie al suo interessamento, la destinazione di papà Aldo sarà cambiata, anziché a Mathausen lo inviano in una torbiera nel Baden. Da lì riesce, dopo una rocambolesca avventura, a fuggire. Lo attende un lungo e faticoso cammino, pieno di insidie e privazioni. Ma quando, ormai stremato, raggiunge Altare, quasi a casa, viene nuovamente catturato. Sotto il comando del generale Farina viene condannato alla fucilazione. Si salva grazie ad un patteggiamento, fatto da membri della resistenza con i San Marco, per lo scambio di prigionieri”.

L’esperienza tra i giovani comunisti

Non vi è dubbio che gli ideali, lo stile di vita di mio padre, influenzarono costantemente il mio modo di essere. A diciassette anni, abituata in quel contesto famigliare dai costumi piuttosto severi, trovo difficoltà a dedicarmi in attività esterne. L’iscrizione alla Federazione giovanile comunista mi apre la via del futuro. Scopro l’impegno sociale e politico e mi sento particolarmente attratta dalle problematiche che riguardano la condizione delle donne. Entro a far parte dell’Udi nata durante la Resistenza. Data l’età inizierò nella sua componente Ari (Associazione ragazze italiane, ndc). Da allora sarò sempre presente nelle battaglie per la libertà, per l’indipendenza dei popoli dal colonialismo.

A questo proposito ricordo la partecipazione alla manifestazione di Cannes in sostegno dell’Algeria, per la sua indipendenza. Non potrei dimenticarla anche perché, in quell’occasione, la mia esuberanza, mi costò il ritiro del passaporto. Da allora ho sempre partecipato, con immutata passione, alle lotte per l’uguaglianza e la pace”.

La partecipazione alle lotte operaie

Nei primi anni sessanta partecipai assieme ad altre compagne alle lotte operaie in difesa del posto di lavoro. Organizzammo i comitati dei famigliari dei lavoratori in lotta: Ilva, Servettaz, Cotonificio di Varazze, Cantieri di Pietra Ligure. Questo mi esortò a migliorare il mio impegno politico. Mi iscrissi al Pci non prima di affrontare due ostacoli, per me ineludibili: la mia fede cattolica e il maschilismo. Sarà la dialettica di Togliatti a convincermi. Ciò nonostante continuo a dedicarmi ai problemi sociali, in particolare a quelli che riguardano l’emancipazione femminile. Sono anni di grande formazione, frequento corsi di psicologia e sociologia del lavoro, oltre che di educazione sanitaria. Coprirò la carica di segretaria provinciale dell’Udi di Genova. La mia formazione diventa irreversibile, però, negli anni sessanta quando scoprirò la lotta di classe. Da donna vivrò le battaglie di fabbrica accanto alle operaie e agli operai. Dopo una parentesi dolorosa per la perdita della mia prima figlia, accetto la nomina a consigliere delle Opere Sociali “Nostra Signora di Misericordia” proposta dal Pci regionale. Per 18 anni seguirò in qualità di amministratore delegato quell’Ente. Saranno importanti, per me, anche gli anni di presidenza della Sms Generale, dove ho potuto godere di collaborazione unitaria ed ho conosciuto splendidi esempi di volontariato. Fui la prima donna a ricoprire una tale responsabilità. Il 1971 sarà un anno meraviglioso, nasce Licia. Tutto questo mio attivismo, ci tengo a dirlo, lo praticherò senza nulla togliere alla mia famiglia. La fortuna di aver sposato un uomo meraviglioso (Secondo Francesco Cesarini, già dirigente Carisa, esperto di economia e scrittore, ndc) mi ha molto aiutata. Sono presidente da oltre diciotto anni dell’Aned (Associazione nazionale deportati, ndc) sezione di Savona e vice presidente nazionale. La nostra funzione vuole mantenere viva la memoria delle deportazioni attraverso testimonianze nelle scuole, il riconoscimento dei deportati politici. Ancora oggi i militari internati nei campi di concentramento non vengono riconosciuti nonostante i rischi e i meriti. Così come non vengono riconosciuti i partigiani combattenti. Attraverso concorsi tematici che puntano su una maggiore cultura, molti ragazzi vengono premiati con viaggi nei luoghi delle deportazioni. A maggio, del prossimo anno, andranno a Mathausen”.

Una vita intensa, quella di Maria Bolla. Ha attraversato difficili, dolorosi: la guerra, l’impegno politico e sociale, la determinazione di tenere alti valori fondamentali come la Resistenza e il ricordo delle vittime dei campi di sterminio, la lotta a favore dell’emancipazione e del ruolo delle donne nella società come nella politica. Le ricordo che, nel suo lungo racconto, ha dimenticato il ruolo di consigliera supplente di “Pari opportunità”, assegnatole dal ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.

Claudio Tagliavini

(Da SavonaAuserNotizie)

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