Loano

A Loano danno… I numerini

A Loano danno… I numerini

Mattino ore 8.30, martedì.

Numero 43, do un’occhiata in giro, scorgo un posto libero, la signora gentilmente toglie la borsa e mi accomodo.

Conto gli sportelli: solo tre sono aperti, in uno c’è una bella signora bionda, è molto gentile e spero di essere servito da lei quando sarà il mio turno.

L’impiegata offre agli utenti carte telefoniche della posta ad un prezzo vantaggioso; invita a passare dal suo sportello anche gli utenti degli altri sportelli… Intanto il numero sul tabellone è sempre fermo sul 26.

 Accanto a me c’è una giovane madre che gioca col suo bimbo; più o meno avrà due anni, ancora regge i tempi di attesa e non è irrequieto.

Entra una donna sui settant’anni, osserva la colonnina dei numeri come fosse un mostro, fa una smorfia con la bocca, aggrotta le sopracciglia, arriccia il naso tirando su il labbro superiore, esita un attimo e poi si convince a prendere un biglietto. La signora guarda gli sportelli, alza gli occhi sul tabellone “incantato” dei numeri; poi, rassegnata, si siede al posto lasciato libero da un tizio che attende in piedi nervoso il proprio turno.

L’impiegata bionda e gentile insiste saltando da uno sportello all’altro cercando di piazzare carte. A questo punto, spero di essere servito da quella brutta (l’altra), che non sorride mai, ma almeno è più veloce.

Una terza signora accanto a me sta perdendo la pazienza e comincia un monologo polemico su come funzionano le poste in Italia; deve andare a lavorare e, per pagare un bollettino, le “balla” la giornata!

Io sono in pensione e non ho nulla da fare, ma penso che ha ragione.

Mi chiedo se è possibile che un paese come Loano, con un porto così grande, abbia un ufficio postale grande a sufficienza, ma aperto solo al mattino fino alle 13.00, soprattutto nei mesi estivi, quando il flusso di gente in riviera è maggiore… Ma, certo, anche gli impiegati hanno il diritto di andare a spiaggia!

Finalmente è il mio turno: pago il  bollettino e me ne vado. Sono le 10.10.

Mi reco alla stazione per fare una serie di foto alla macchinetta perché ho smarrito la carta di identità e, dopo una breve coda di soli venti minuti (che passo allegramente sotto il sole guardando i tassisti che si lavano l’automobile), arriva il mio turno: sfodero un sorriso e… Clic.

Alle 10,45 sono all’anagrafe, prendo il solito numerino 57, ma come è possibile se l’ufficio apre alle dieci e mezza?

Mi armo di pazienza e aspetto il mio turno, che arriva a un quarto alle dodici.

L’impiegato  mi chiede la denuncia dei carabinieri, ma perché, domando io: non mi hanno rubato la carta di identità, l’ho smarrita! Niente da fare, senza la denuncia non si prendono la responsabilità di farmene una nuova. “Ma l’autocertificazione?”, protesto io! Non basta. Così ora dovrò recarmi dai carabinieri e chissà quanta gente c’è!

Esco fuori abbastanza alterato, sbattendo la porta e con un “fanculo” fra i denti, abbastanza chiaro, però, per strappare un applauso ai presenti in attesa.

Signore e signori: avanti il prossimo… E cin-cin!

Giambello

 

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