L’Italia come il Venezuela?

 Verso la fine degli anni ’90 mi sono trovato quasi per caso all’Isola Margherita in Venezuela per aiutare un mio cliente in un investimento nel settore del turismo nautico – che poi alla fine e per mia sfortuna ho condiviso con lui – per cui ho potuto assistere  al passaggio  dall’economia liberale a quella statalista di quel Paese e oggi, ricordando la triste esperienza vissuta allora, non posso evitare di vedere tante similitudini con l’attuale situazione di casa nostra, alla quale ogni giorno assisto.

La spiaggia dell’isola Margherita prima di Chavez

L’isola caraibica di Margherita, già dagli anni ’80 era stata meta di tanti italiani che avevano investito nel turismo locale, aprendo ristoranti, hotels e altre attività legate al turismo; lo stesso Re di Spagna aveva investito nell’isola in grandi alberghi e resort di lusso.

Per via del grande flusso turistico proveniente da tutta Europa, attratto del più basso costo della vita rispetto altre isole dei Caraibi più conosciute, erano stati aperti collegamenti diretti con l’isola dai più importanti aeroporti europei, incluso Malpensa, per cui le lunghe spiagge erano sempre gremite prevalentemente da turisti del Vecchio Continente, che apportavano tanta valuta pregiata al Paese.

Come ogni Paese del Sud e del Centro America, anche il Venezuela ha sempre sofferto di mala amministrazione; tuttavia le grandi ricchezze naturali del Paese hanno sempre compensato qualsiasi tipo di ruberia politica e il popolo venezuelano, pur nelle varie disparità sociali, ha sempre vissuto al di sopra degli standard di vita di tutti gli altri Paesi dell’America Latina, tanto è vero che la maggior parte dei lavori più umili erano svolti da emigranti provenienti dai Paesi limitrofi.

 

Oltre alle enormi ricchezze del sottosuolo che vanno dal petrolio all’uranio e dall’oro ai diamanti, il Venezuela possiede un vasto territorio fertile dove i “ganadeos” negli sterminati territori centrali producevano prodotti agricoli di ogni tipo, dallo zucchero al caffè, dal grano al riso, fino ad ogni tipo di frutta tropicale e tradizionale, unitamente ad allevare di bestiame. Forse non tutti sanno che la maggior parte di questi “latifondisti” erano di origine italiana, per lo più dell’Italia meridionale.

Arriviamo alla fine degli anni ’90, siamo in tempo di elezioni e l’avversione del popolo per la politica si fa sentire, un po’ come avviene anche da noi, con la nota tendenza a dire che tanto “… sono tutti uguali, tutti ladri e io non vado a votare”. Detto e fatto, solo una minima parte di elettori venezuelani si reca alle urne e Hugo Chavez vince di misura prendendo per la prima volta il potere nel 1998.

 

Chavez era un personaggio pittoresco, spesso anche simpatico, che riusciva a rendere credibili le tante balle che raccontava ogni giorno a reti unificate nel suo programma “Hallo Presidente”,  durante il quale riusciva a dimostrarsi vicino alle esigenze più elementari dei cittadini, mentre contemporaneamente, sempre tra una balla e l’altra,  cambiava senza troppo clamore mediatico la Costituzione a suo favore, supportato dal voto di una esigua minoranza di venezuelani, per lo più pagati con mancette in cambio di voti – la tariffa era 10 dollari per il voto e 30 per partecipare alle manifestazioni di piazza con la camicia e il cappellino rosso.

 

Chavez con Bertinotti e in piazza

Da buon comunista, mentre si dimostrava accattivante e pacioso, iniziava a porre le basi per la propria dittatura, occupando ogni posizione di potere con mezzi più o meno  legali, e con la sua smania di combattere i ricchi in tutti i modi possibili, calmierava i prezzi sui beni prodotti dagli imprenditori locali decidendo per decreto (v. i nostri DPCM) i salari dei lavoratori e il blocco dei licenziamenti, per poi nazionalizzare le imprese che a causa dei suoi provvedimenti scellerati finivano sul lastrico.   

In quei tempi io ero spesso in Venezuela per lavoro, per cui seguivo in TV i sui interventi giornalieri, anche perché quando lui parlava tutti i canali sospendevano le trasmissioni, e una volta ebbi anche la possibilità di assistere in diretta all’arrivo della prima delegazione politico-commerciale cinese in Venezuela.

 

Maduro nell’incontro con i cinesi

I cinesi, che in quanto  ad intelligenza politica non hanno nulla da invidiare ad altri ma che più di altri hanno estremamente  bisogno di fonti energetiche per la loro economia,  si sono presentati in Venezuela con una delegazione mai così numerosa e, con tanti sorrisi e pacche sulle spalle,  hanno posto le basi per piazzare in Venezuela le loro piattaforme industriali e i loro armamenti più obsoleti in cambio di contratti di sfruttamento delle varie risorse venezuelane per i decenni a venire, col risultato che attualmente il deficit commerciale del Venezuela con la Cina ammonta alla bella cifra di quasi 100 miliardi di dollari: ergo, i cinesi hanno nelle loro mani una bella ipoteca sul futuro dei venezuelani.

 

Conosciamo dai giornali l’attuale e pesante situazione sociale del Venezuela, ma io, che ho ancora amici in quel Paese, sono al corrente del fatto che la situazione è peggiore di quanto viene detto: vi sono code chilometriche ai distributori di benzina e manca lo zucchero in un Paese che produce petrolio e canna da zucchero!

Avendo assistito alla metamorfosi venezuelana e trovandomi spettatore di quello che sta avvenendo oggi nel mio Paese non posso che preoccuparmi per le tante similitudini che osservo, similitudini che non possono certamente renderci ottimisti per ciò che ci aspetterà in futuro.

 

Come in Venezuela le elezioni sono state vinte da un partito il cui Capo storico professava esattamente le stesse cose che Chavez diceva in Venezuela, vale a dire “sono tutti uguali, sono tutti ladri” oppure “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”, salvo poi, una volta vinte le elezioni, accomodarsi tranquillamente nella scatola assieme a quegli stessi squali che prima giudicava ladri e incapaci, costretto a diventarne succube socio per non essere, dalla scatoletta, sbattuto fuori!

Come in Venezuela, l’attuale Governo sta cercando di cambiare la legge elettorale a proprio favore mentre sotto certi aspetti sta violando la Costituzione limitando le libertà dei cittadini con la scusa del virus.

Come in Venezuela ogni giorno abbiamo il nostro “Hallo Presidente” a reti unificate che con un eloquio pacato ci racconta un sacco di balle, tipo che siamo i più bravi di tutti, che abbiamo sconfitto il virus solo noi, che le cose vanno benone, mentre chi ha la capacità di documentarsi si rende conto che siamo purtroppo non i primi della classe ma gli ultimi, e  che ci viene nascosta la bomba a orologeria di una  situazione economica catastrofica.

 

Come in Venezuela, dove tutte le cariche politiche che governavano l’economia furono commissariate dai militari, in Italia non siamo commissariati da militari ma da manager variegati e task force  con pieni poteri di spesa, non certamente nominati dal popolo, che non devono rendere conto a nessuno e che, pare, abbiano pure uno scudo giudiziario.

Come in Venezuela, anche in Italia si fanno debiti, non per investimenti, ma per dare paghette e bonus; il mezzo migliore per mantenere il consenso temporaneo, così   abituando i cittadini ad essere mantenuti nullafacenti, caricando  di pesi morti  un economia già allo strenuo.

Come in Venezuela, dove Chavez aveva aperto le porte a una immigrazione incontrollata di disperati provenienti dai Paesi più poveri del Centro America, che arrivavano in Venezuela attirati dalle accattivanti paghette, qui si sono aperte completamente le porte a tutti i Paesi del terzo e quarto mondo, con la promessa di dare la cittadinanza a tutti e mantenere tutti a carico dello Stato sociale.

Come il Venezuela ha ipotecato gli asset del paese a favore dei Cinesi, l’Italia sta ipotecando i nostri asset a favore dei Paesi del Nord Europa, con la prospettiva di un futuro molto simile a quello venezuelano, per cui i prossimi Governi, se si riuscirà alla fine ad andare a votare, troveranno i classici “pozzi avvelenati”.

 

 E per finire:

come Chavez che durante l’incontro con i Cinesi riceveva un sacco di complimenti e pacche sulle spalle, anche il nostro Primo Ministro riceve sistematicamente gli elogi dai Capi Europei dei Paesi del Nord, con l’ unica differenza che da quella parte c’erano gli occhi a mandorla mentre da questa ci sono gli occhi azzurri, ma il risultato mutatis mutandis temo che sarà lo stesso.

In futuro e molto più di oggi saremo prigionieri dei nostri debiti e non saremo più liberi di decidere per noi stessi.

 

    SILVIO ROSSI  Consigliere Comunale  “SAVONA CAPOLUOGO”

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