L’insospettabile alleanza

Oggi, la sfida nascosta degli uomini, in particolare a causa della genetica, inizia a palesarsi; inizia a scostare la maschera e a lasciarsi identificare effettivamente come il desiderio di essere Dio.
I grandi successi ottenuti fanno la scienza sempre più temeraria e sincera.
E poiché nell’arco di una vita, facciamo pur conto centenaria, una persona non può farsi Dio (ed è tanto vero che persino l’ipotizzarlo risulta grottesco all’ennesima potenza), sempre più (ma evidentemente già nei progenitori esisteva un abbozzo di questo piano) pensa, con quell’illusione nebulosa e profonda che si avvicina all’istinto, di poterlo diventare attraverso i figli.

Si vuole che lo sviluppo dello spirito, cioè il pensiero conscio ed inconscio dell’ecumene condiviso individualmente, continui di generazione in generazione e di acquisizione in acquisizione, fino a costruire quell’entità dalla quale ogni conoscenza ed ogni potenza (sapere, in questa ottica, è baconianamente potere) verranno attinte, sicché da obiettivi da raggiungere, esse si trasformeranno in attributi permanenti dello spirito stesso.
L’umanità invero non ha mai a livello filogenetico collettivo superato la fase psicologica dell’onnipotenza che corrisponde, a livello di sviluppo ontogenetico, all’infanzia di ciascun suo componente.
La storia, essendo giunta ad un punto in cui il progresso scientifico avanza esponenzialmente, in cui le scoperte in tutti i campi dello scibile fanno balenare spazi d’azione prima nemmeno immaginati, in cui il principio di realtà tende a confondersi con il nascosto miraggio dell’infanzia dell’uomo, vede il desiderio principe di quest’ultimo, cioè il suo massimo tabù, perdere via via la sua forza terrifica, fino a che, e non è possibile sapere quando, senza più timore e tremore, l’uomo non soltanto dichiarerà a voce alta la sua intenzione, ma alzerà il capo fino a creare una morale che rovescerà la precedente; una morale in cui l’individuo giusto, buono, probo e santo, sarà colui che più degli altri proclamerà il diritto e il dovere di ogni persona di tentare di farsi Dio, e di combattere per trasformare la sua speranza in realtà.

La chiesa a quel punto non dovrà più ingegnarsi a nascondere ciò che si sarà palesato, ma per essa sarà il momento di incitare; di fungere, proprio con una nuova proposta etico-religiosa, da supporto teorico a una siffatta trasformazione di mentalità.
E infine l’uomo in cammino verso la propria divinizzazione avrà nella scienza e nella chiesa due genitori riconciliati.
Senonché la presunzione inaudita dell’uomo di realizzarsi come Dio non è affatto garantita. Anzi, ad uno sguardo che abbia ben presente il “so di non sapere” socratico, è tutt’altro che garantita.
Ciò non significa che anche l’uomo più scettico al riguardo non creda (per quanto a livello inconscio) di poter aspirare ad essere uno dei passi, infinitesimi quanto si vuole, del cammino per raggiungere una tale meta. E la prova sta nel fatto che continua a riprodursi.
Questo non avverrebbe se l’uomo fosse certo di non poter sfociare mai nella realizzazione di Dio (nell’autorealizzazione di sé come Dio)

Oppure avverrebbe, ma bisognerebbe immediatamente catalogare la procreazione come mera espressione egoistica in senso stretto.
L’uomo vuole diventare Dio, e cerca di perpetuarsi nei figli e nei figli dei figli. Perciò temporeggia metafisicamente (cioè, letteralmente, oltre il suo corpo), evitando di dichiarare i suoi intenti.
Ciò, finché la scienza non sarà giunta al punto estremo del sapere; al punto in cui il suo onnipotere di scienza dell’uomo la eleverà all’attributo divino di scienza tout court. Finché la scienza non sarà  giunta al punto in cui il volere e il potere saranno indistinguibili tanto essenzialmente che temporalmente, perché nello stesso istante quello che l’uomo vorrà, sarà; e il tempo non avrà allora più senso e si vivrà nell’eterno.
Questo l’iter che l’uomo nelle sue intenzioni e nelle sue speranze nascoste dovrebbe percorrere per arrivare a Dio.

Quando l’autoinganno dell’uomo non potrà più reggere perché sarà troppo avanti nel suo cammino di divinizzazione, egli dovrà constatarsi concretizzazione di una contraddizione nei termini di un Dio imperfetto, di un Dio che si fa e che pienamente ancora non è. Infatti l’uomo si trova esistenzialmente di fronte al paradosso di volere un Dio perfetto e nello stesso tempo di voler diventare egli stesso Dio, il quale ultimo giungendo ad essere Dio dopo un processo di divinizzazione progressiva, non sarebbe perfetto da sempre.
Per pensare ad un Dio perfetto, c’è bisogno di distinguere Dio dall’uomo fino al momento in cui l’uomo, diventato Dio, non avrà più  bisognodi ingannarsi.
Tale distinzione è provvidenziale: permette di avere un uomo che crede di essere solo uomo (e che tuttavia, e anzi, proprio perché crede di essere solo uomo, non è inibito dall’agire inconsciamente all’indiamento di sé).
Il male sarebbe dunque la conoscenza di quello scopo cui l’uomo dovrebbe tendere senza sapere di tendervi: diventare Dio. Se lo scopre, di fronte ad un compito immane, si inibisce la possibilità di realizzare il suo sogno. Tuttavia, nell’ipotesi che questo non fosse sufficiente a fermarlo, scoprirebbe che Dio non è perfetto,  che lui (l’uomo) quando sarà Dio, avrà avuto alle spalle una storia di imperfezione, sarà cresciuto nutrendo il divenire e nutrendosi del divenire.

E’ esattamente il peccato di Adamo: mangiando dell’albero della conoscenza del bene e del male, scopre che sta tentando di diventare Dio. Durante questo tentativo, scopre la morte.
Fin dall’inizio di un cammino lunghissimo, l’uomo si trova in balìa della morte. L’incanto dello stato edenico si dissolve e, ormai scacciato dal Paradiso Terrestre, contro la morte comincia a combattere. Lo fa con la scienza e la procreazione.
Si capisce allora come da sempre, perlomeno nella nostra civiltà giudaico-cristiana, la scienza susciti atteggiamenti ambivalenti. E’ apprezzata per gli agi e l’ aiuto che fornisce all’uomo, ma è anche percepita come un pericolo.
In essa viene subodorata una potenziale trasgressività, una rischiosa latenza pronta a sprigionarsi per attentare ad un non meglio identificato tabù.
A questo punto si sarebbe indotti a credere che altrettanto accada per la procreazione. Le ansie che essa, sviluppando un discorso simmetrico a quello della scienza, dovrebbe suscitare, vengono invece solo associate alla sessualità, di cui la procreazione è un eventuale effetto.
Alla percezione spesso negativa della scienza, non corrisponde dunque una equivalente percezione negativa della procreazione.
Il pericolo rappresentato dalla scienza è che essa tolga ogni schermo alla finalità del suo agire, per cui questa finalità verrebbe nitidamente a palesarsi.
Per la procreazione le cose stanno diversamente perché di essa difficilmente si coglie la colpa. La procreazione infatti non è il modo utilizzato dall’uomo per dare la scalata a Dio, ma per temporeggiare (per dar tempo alla scienza di giungere, attraverso il rosario delle generazioni, laddove vuole giungere).
La scienza rappresenta un pericolo che va controllato.
A conferma, si pensi ad esempio alla punizione che gli uomini devono subire per la costruzione della Torre di Babele:
<< Allora tutta la terra aveva una sola lingua e stesse parole. Ora avvenne che, emigrando dall’oriente, gli uomini trovarono una pianura nella regione di Sennaar e vi abitarono. Si dissero quindi gli uni agli altri:
1 “Venite, facciamo dei mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume servì loro da calce.
Dissero ancora:
2 “Venite, fabbrichiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo; facciamoci così un nome per non disperderci sulla faccia della terra”.
Ora il Signore scese per vedere la città e la torre che i figli dell’uomo stavano costruendo, e il Signore disse:
3 “Ecco, essi sono un popolo solo ed hanno tutti una medesima lingua; questo è l’inizio delle loro opere. Ora dunque non sarà precluso ad essi quanto è venuto loro in mente di fare. Venite, scendiamo e proprio là confondiamo la loro lingua, perché non capiscano uno la lingua dell’altro”.
Così il Signore di là li disperse sulla faccia di tutta la terra e cessarono di fabbricare la città, alla quale perciò fu dato il nome di Babele, perché ivi il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse sulla faccia di tutta la terra. >> (Genesi 11, 1-9 ).

Come si vede, tre brani della citazione li abbiamo numerati per aver modo di evidenziare come il primo brano stia ad indicare il progresso tecnico, il secondo il desiderio degli uomini di lasciare un segno in questo mondo, il terzo l’eventualità di riuscirci solo agendo in modo sovraindividuale come collettività.
L’autore biblico presentando l’episodio della Torre di Babele come una sfida a Dio, è, per la nostra chiave di lettura, straordinariamente rivelativo. Perché se per gli studi etnologici e per l’archeologia la consuetudine nella Mesopotamia antica di costruire le torri-tempio era, tra l’altro, dovuta al concetto secondo cui avvicinandosi al cielo, ovvero a Dio, si poteva mostrargli meglio la propria deferenza di popolo pio, è altresì vero che era un adorarlo solo per poter esautorarlo.
Allo stesso modo il proliferare dell’uomo << Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra >> di Genesi 1, 28 e Genesi 9,1 e, quasi identicamente, di Genesi 9, 7, è un modo per obbedire a Dio spodestandolo. Ovvero un comando attribuito a Dio affinché l’uomo possa perseguire la sua idea di diventare Dio, senza la paura di incorrere nella punizione di Dio.
Nell’episodio della Torre di Babele, il fantasma di Dio si difende da un tradimento che, così ben congegnato, non sanno riconoscere distintamente per quello che veramente è neppure coloro che ne sono i protagonisti (se lo avessero saputo riconoscere, lo avrebbero giudicato pazzesco e immediatamente cancellato dalle loro menti).
E così ancora oggi: tutti siamo coinvolti nella costruzione della Torre di Babele, ma nessuno sa perché la costruisce. E non vuole indagare al riguardo, altrimenti potrebbe dover ammettere di fronte a se stesso che la costruisce non a maggior gloria di Dio, ma, con il lasciapassare della celebrazione di Dio, per innalzarsi fino a lui e insediarsi sul suo seggio.
La costruzione della torre viene fatta con mattoni che sostituiscono la pietra, e con bitume che sostituisce la calce. E’ il progresso tecnologico che avanza; è con la tecnologia (cioè con la scienza applicata) che si vuole costruire una torre la cui cima tocchi il cielo.
Ma come realisticamente possono sperare le genti di Babele di arrivare così in alto da raggiungere il cielo? E’ un interrogativo che non ha il tempo di essere considerato, perché non appena fa la sua comparsa viene messo da parte. Non tenendolo in conto, infatti, il popolo di Babele non si impedirà di intraprendere, e poi di continuare, la sua opera blasfema.
Ciò nel mito. Perché al di fuori del mito è il mondo intero che pronuncia questa sorta di bestemmia: per tutti, da sempre, esiste il desiderio di andare oltre. E basta questo. Che fattualmente le possibilità di arrivare siano infime, non ha importanza.

Il desiderio di andare sempre oltre finché ci sarà un oltre, esiste; ed il suo esistere è sufficiente a fare dell’uomo un sempre nuovo Adamo.
Forse che posto piede sul pianeta più lontano del sistema solare, o scoperta una particella con massa minore del neutrino, l’uomo si acquieterà dicendo: “Fin qui e non oltre”?
Forse che debellata l’insidia di una malattia, non vorrà debellare anche tutte le altre?
Forse che la medicina dopo aver portato l’uomo al traguardo dei duecent’anni, e dei trecento, e poi foss’anche dei tremila, porrà a se stessa il veto di andare oltre? E per quale motivo, poi, tremila anni dovrebbero essere il fine e la fine, e non piuttosto tremila e uno, e due, e tre…
Se non si sa rispondere è perché intimamente l’uomo ha per suo fine non avere fine. Egli insieme al dolore vuole vincere il tempo. Anzi, il tempo che di giorno in giorno, di ora in ora, lo porta verso la morte, per lui è già sofferenza, è già malattia.
Siccome però del potere di fermare per sempre il tempo o di fermarsi nel tempo per sempre, è ancora vuoto l’orizzonte, allora l’uomo gioca l’unica carta che può giocare: temporeggia.
>Generando potrà continuare nei figli il suo cammino interrotto, e trasmettendo loro il profilo del naso, la fede politica o religiosa, il timbro della voce, la visione delle cose, la sua rabbia, la sua poesia, il suo patrimonio economico e genetico, sopravvivere.
Ed ecco perciò, dopo che si è visto il ruolo della scienza, evidenziarsi il ruolo della procreazione. Tuttavia se si constata la verità dei versetti di Genesi 3, 16-19 e/o si crede al loro dettato:
<<  Disse poi alla donna: “Moltiplicherò i tuoi travagli e le doglie delle tue gravidanze, nella sofferenza partorirai figliuoli; verso tuo marito ti spingerà il tuo desiderio ed egli dominerà su di te”. E all’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce della tua donna  e hai mangiato dell’albero di cui io ti avevo detto: Non mangiarne, maledetta sia la terra per causa tua. Con fatica ne trarrai il nutrimento tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi ti germoglierà e tu mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: infatti sei polvere e in polvere ritornerai”, si viene a coinvolgere, per l’egoismo di un inconcludente temporeggiare, chi è generato nella maledizione (biblica) del vivere.
Diversamente bisogna convenire che, tertium non datur, se il temporeggiare non lo si pensa per certo inconcludente, l’unico possibile senso sta nella speranza che l’indefinito proprio del temporeggiare persista fino a che la scienza sia in grado di raggiungere risultati assoluti, di attingere l’infinito, di creare Dio.
La scienza sul versante soprattutto dell’onnipotenza (ma, con la genetica, ormai anche su quello dell’eternità), e la Chiesa soprattutto sul versante dell’eternità, avallano tale speranza.
La scienza sempre più palesemente. La chiesa invece in modo più dialettico e mascherato, fino ad assumersi di fronte al mondo l’onere di frenare e, se il caso, di contrastare la scienza.
Ma l’acceleratore della scienza e il freno della chiesa fanno parte dello stesso veicolo. Ed entrambi hanno la funzione di permettere un viaggio che giunga a destinazione.
La sessualità, se finalizzata alla procreazione, costituisce un attentato a Dio. In tale chiave è opportuno leggere l’obbligo per gli ebrei del tempo di Abramo di sacrificare animali in sostituzione al sacrificio di primogeniti umani.
Dell’episodio riportato della Torre di Babele, è necessario soffermarci adesso sul terzo brano:
<< Ora dunque non sarà precluso ad essi quanto è venuto loro in mente di fare >>.
L’uomo non deve cogliere il frutto dell’albero della conoscenza, perché questo frutto rappresenta anche il frutto dell’albero della vita, e in sostanza il sacro pericolo per cui la scienza e la procreazione sono in funzione di Dio.
“Sacro pericolo”, si è detto. Contraddizione solo apparente. In realtà inevitabile ossimoro per una situazione in cui scienza e procreazione sono indispensabili per (eventualmente) fare Dio, ma sono anche ciò che automaticamente può fare scoprire l’assenza del Dio biblico.
A un certo punto della storia dell’umanità sarà forse inevitabile che il lapalissiano ragionamento per cui se si sta facendo Dio, allora Dio non c’era e non c’è, emerga dall’inconscio più censurato.
La speranza nascosta e peccaminosa dell’uomo, consiste dunque nell’attribuire alla scienza la facoltà di raggiungere un sempre più completo dominio sul tutto, fino al dominio del tutto; e nell’attribuire alla procreazione, sollecitata e benedetta dalla chiesa, la capacità di superare il limite che la morte oppone all’individuo singolo.

FULVIO BALDOINO
Condividi

2 thoughts on “L’insospettabile alleanza”

  1. Articolo davvero magistrale e rivelatorio dei traguardi cui puntano, in forma forse inconsapevole, scienza e procreazione, in una indichiarata alleanza verso la conquista del trono di dio, scoprendo allora che non è mai esistito, perché è presente, in fieri, nell’uomo stesso.
    Il mito della torre di Babele ben si attaglia ai moderni tentativi verso un mondo perfetto e quindi sacro, arrivando all’equivalenza tra potenza e atto, attraverso un incessante susseguirsi di generazioni, conferendo all’uomo, come infinita replica di se stesso, il dono dell’eternità.
    Resta però senza risposta la domanda cruciale sull’origine del mondo che, esistente prima della comparsa dell’uomo, rimarrebbe senza creatore e regolatore attraverso le leggi che lo governano. Se esisteva prima dell’uomo, allora qualcuno, chiamato vagamente dio, ha provveduto alla sua comparsa e il big bang non è che uno degli infiniti respiri del cosmo, tra big bang e big crunch, come nelle intuizioni di Eraclito e dello stoicismo.
    Oggi assistiamo al confuso balbettio di scienziati e politici, con il formale appoggio della Chiesa, sulla sostenibilità ambientale dell’odierno stile di vita grazie all’avanzamento della scienza, senza accorgersi che è proprio grazie alla scienza che il mondo è diventato ingovernabile e iperpopolato, in una chiara nemesi dei fini

  2. Tra le questioni trattate in questo coinvolgente e originale articolo, vorrei sottolineare quello dei limiti della conoscenza umana e quindi della scienza in generale a cominciare dalla domanda: la scienza, il sapere, la conoscenza hanno dei limiti o questi limiti sono superabili ad infinitum? L’Autore dell’articolo (a cui va riconosciuto il merito di avventurarsi in una territorio pressoché inesplorato) propende per la seconda ipotesi, basandosi sul fatto indubitabile che non si finisce mai di scoprire nuovi aspetti e nuove possibilità di “colonizzare” la natura, la materia e la stessa mente umana. Ma fino a quando? L’ Autore risponde: fino a che l’uomo non realizzerà la promessa fatta dal Serpente ad Adamo ed Eva nel paradiso terrestre: “Eritis sicut deus scientes bonum et malum”. Ecco il vero peccato originale: la volontà di essere come Dio. Ma allora dietro il continuo e illimitato progresso della scienza agisce , in modo conscio o inconscio, quella stessa volontà di potenza che ha fatto perdere ad Adamo ed Eva , con l’innocenza, il paradiso (terrestre)? Significativo è anche il racconto (il mito) della torre di Babele: la pretesa, o il sogno, umano di arrivare al cielo solo con le proprie forze e con il proprio lavoro, provoca il castigo divino che confonderà le loro lingue in modo che non possano più attuare il loro superbo progetto. Anche in questo caso il peccato di ybris provoca il castigo di Dio. L’uomo di oggi, però, evidentemente, non tema più l’ira di Dio, e procede senza paura nella sua scalata al cielo, confortato dai miracoli della tecnica che ormai domina sulla nostra vita, che si vorrebbe già eterna su questa terra come era quella di Adamo ed Eva nel giardini dell’Eden.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.