L’imperativo di giustizia

L’imperativo di giustizia

L’imperativo di giustizia

 

 

Sul sentimento dell’ingiustizia bisogna insistere e insistere e insistere. Andrebbe messo in cima agli obiettivi dei programmi scolastici e, nel caso, anche delle scuole di scrittura. Goffredo Parise lo ha collocato quasi cinquant’anni fa tra gli imperativi di chi vuole narrare.  Ha prescritto: “Provare il sentimento dell’ingiustizia (anche sociale, certo, perché no, ma non soltanto sociale) e indignarsi sinceramente e poi dirlo e scriverlo”. La parentesi è di grande interesse. Non è questione solo di sensibilità per l’ingiustizia sociale, ma per ogni possibile ingiustizia. L’ingiustizia non è a compartimenti gerarchicamente ordinati, un’ingiustizia conta molto, un’altra un po’ meno: bisogna indignarsi sempre.

Ed è notevole, a proposito di indignazione, quell’avverbio: “sinceramente”.

Se ne sono viste tante di indignazioni di maniera, ci vuole poco a mimare a voce e per iscritto quanto siamo indignati. Ma la cosa più rilevante è che Parise non menziona la sete di giustizia. Forse perché è incastonata nell’indignazione. Forse perché non è facile da soddisfare: o c’è il rischio sempre altissimo di restare a bocca asciutta o non bastano i fiumi di sangue. Forse perché il sentimento dell’ingiustizia, quando è sincero, non si lascia fermare da nessun cavillo, disfa ogni collaudata arte retorica e vigila anche sugli eccessi della sete di giustizia.

 

 Domenico Starnone  Internazionale 

 

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