Libertà

Il “suo” popolo è il Popolo delle Libertà, e ora anche quello dell’amore;
 mentre quello degli altri pare sia quello del servaggio e dell’odio

LIBERTA’ VA CERCANDO

LIBERTA’ VA CERCANDO
Non per niente il “suo” popolo è il Popolo della (o delle?) Libertà, e ora anche quello dell’amore; mentre quello degli altri (ma quanti popoli coesistono sotto lo stesso cielo?) pare che sia quello del servaggio e dell’odio. Da una parte, insomma, tutto il Bene, dall’altra tutto il Male. E chi traccia la linea di confine? Naturalmente Lui, il Capo carismatico, anzi, il Re taumaturgo (“In tre anni sconfiggeremo il cancro”!) consacrato dal voto, appunto, popolare. D’altra parte, siamo o non siamo in un regime democratico?

E se il popolo in maggioranza sceglie, anzi, “desidera” , “prega”, “offre doni” (dal latino vovere) al Cavaliere, perché mai il Cavaliere medesimo non dovrebbe accogliere, interpretare e far suoi tanti desideri e tante preghiere che salgono a lui? Sarà pur libero di  occupare, una volta tanto, la scena: “Ci prendiamo oggi la scena, ma non per andare contro qualcuno, bensì per comunicare la nostra voglia di cambiare questo Paese con l’energia del consenso degli italiani”. Ma non l’aveva già avuto, e per tre volte, “il consenso degli italiani”? Possibile che a due anni dall’ultima plebiscitaria unzione popolare senta  il bisogno di una nuova investitura, e questa volta per acclamazione diretta? Non sarà che le ultime vicende giudiziarie (intercettazioni), il pasticcio della presentazione della lista laziale del Pdl, il rischio di un sorpasso al Nord della Lega, gli ormai cronici “distinguo” di Gianfranco Fini e lo spettro di un massiccio astensionismo dell’elettorato moderato tradizionalmente ostile ai “comunisti” preoccupino non poco il Cavaliere e il suo entourage? Invoca dal palco di Piazza San Giovanni la libertà di voto, di pensiero, di parola, di stampa, di telefonata a chi gli pare e piace; vuole essere e rimanere libero  di criticare questa o quella trasmissione televisiva, questa o quell’inchiesta giornalistica, questo o quel direttore (o editore concorrente) di testata. Siamo o non siamo in una Repubblica democratica fondata sul lavoro? Certo, ma attenzione: che cosa rende rispettabile una democrazia? Lo ha detto il Presidente della Repubblica l’8 marzo: “In una democrazia rispettabile come la nostra per essere buoni cittadini non si deve esercitare nessun atto di coraggio”. Non si deve o non si dovrebbe? Chiediamolo all’autore di Gomorra, o a don Ciotti o alle anime buone e coraggiose di don Diana o di don Puglisi! “Il fatto è – scrive Barbara Spinelli sulla Stampa del 21 marzo – che non siamo in una democrazia rispettabile, e forse il Presidente pecca di ottimismo non solo sull’Italia ma in genere sullo stato di salute delle democrazie.” La Spinelli cita il documentario intitolato Il gioco della morte mandato in onda dalla televisione francese; si tratta di un gioco a premi in cui i concorrenti devono infliggere all’avversario una scarica elettrica sempre più forte per ogni quiz errato, fino ad arrivare al massimo voltaggio che uccide. “La vittima è un attore che grida per finta, ma i candidati non lo sanno. Il risultato è impaurente: l’81 per cento obbedisce, spostando la manopola sui 460 volt che danno la morte. Solo nove persone si fermano, udendo i primi gemiti del colpito. Sette rinunciano, poi svengono. “ Che cosa si può dedurre da questo crudo esperimento? Che purtroppo così in democrazia come in dittatura più che la legge scritta vale quella non scritta del conformismo, l’istinto del gregge (senza far torto alle vere innocue pecorelle). E questo perché “ Il contesto degradato è il nostro orizzonte permanente.” Dunque è necessario essere sempre coraggiosi, tanto più in una democrazia “stinta” come la nostra: “ In Italia la democrazia è stinta più efficacemente perché le leggi e i custodi ci sono, ma l’innesto è meno scontato di quanto si creda. Berlusconi lavora a tale espianto da anni, e ora lo ammette senza più remore: alla legalità contrappone la legittimità che le urne conferiscono al capo. I custodi delle leggi li considera usurpatori oltre che infidi. Legittimo è solo il capo, e questo gli consente di dire: ‘La legge è ciò che decido io’.”

Ecco la libertà berlusconiana. Vengono in mente le ultime parole della girondina Madame Roland de la Platière, poco prima di essere decapitata: “ Oh, libertè, que de crimes on commet en ton nom!”

Fulvio Sgerso

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