Lettura di un’immagine: Uomo disperato

LETTURA DI UN’IMMAGINE 82
Uomo disperato -Autoritratto
Olio su tela (1844 -1845) di Gustave Courbet
Collezione privata

LETTURA DI UN’IMMAGINE 82
Uomo disperato -Autoritratto

Olio su tela (1844 -1845) di Gustave Courbet

Collezione privata

Il pittore venticinquenne, da poco approdato a Parigi (era nato a Ornans il 10 giugno del 1819 e morirà in esilio, malato e in miseria a La Tour-de-Peilz, in Svizzera, il 31 dicembre del 1877, appena cinquantottenne, dopo una vita da rivoluzionario, tutta genio e sregolatezza, abbandonato da tutti) si guarda allo specchio e lo specchio gli rimanda l’immagine di un uomo disperato tanto da mettersi letteralmente le mani nei lunghi capelli neri scarmigliati, da sbarrare gli occhi come se si trovasse davanti a una visione orrifica; i baffi e la barba talliscono in disordine, le vene e i tendini del polso e del collo sono in rilievo e persino le maniche a sbuffo stazzonate e sgualcite della camicia  ci parlano di un uomo sconvolto e come fuori di sé. Certamente questo autoritratto è un caso anomalo nella storia della ritrattistica e nella storia dell’arte in generale: non è né classico né romantico né accademico (Courbet non ha mai frequentato scuole o Accademie di belle arti, ma moltissimo i musei parigini e soprattutto il Louvre, dove poteva studiare da vicino Caravaggio e Tiziano, Rubens e Rembrandt e, in particolare, i maestri spagnoli della collezione del re “borghese” Luigi Filippo, cioè El Greco, Velàzquez, Goya, Zurbaràn che meglio rispondevano alla sua idea di libertà stilistica in pittura). A questo proposito Courbet stesso ha voluto chiarire, quando divenne un artista di successo, la sua concezione dell’arte: “…ho studiato, al di fuori di qualsiasi sistema e senza prevenzioni, l’arte degli antichi e quella dei moderni. Non ho voluto imitare né gli uni né copiare gli altri, né ho studiato con l’intenzione di raggiungere l’inutile meta dell’arte per l’arte. Ho voluto semplicemente attingere dalla perfetta conoscenza della tradizione il sentimento ragionato e indipendente della mia propria individualità. Sapere per potere, questa fu sempre la mia idea. Essere capaci di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca, secondo il mio modo di vedere; essere non solo un pittore ma un uomo; in una parola, fare dell’arte viva; questo è il mio scopo”. Dunque Courbet, più che appartenere a una determinata scuola o a un determinato genere pittorico, ha  fondato lui la scuola del Realismo francese, seguendo le tracce di Thèodore Géricault, di Diego Velàsquez e del Caravaggio, e così conferendo alla realtà della vita quotidiana, anche nei suoi aspetti più crudi, il diritto e la dignità di entrare a pieno titolo nelle rappresentazioni e interpretazioni artistiche, senza più abbellimenti e idealizzazioni, ma solo in quanto aspetti della realtà così come si presentano  agli occhi del pittore. Tornando all’Uomo disperato, come si rappresenta l’artista stesso, vediamo la sua disperazione ma non quello che la causa. L’artista è disperato per qualcosa che “vede” non all’esterno ma dentro di sé. O forse vede qualcosa che non vorrebbe mai vedere ma che esiste indipendentemente dalla sua volontà. Forse vede la sua morte precoce e l’impossibilità di compiere fino in fondo la sua missione di  rappresentare la vera realtà delle cose del mondo visibile.

FULVIO SGUERSO

 

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