Lettura di un’immagine: Sacrificio di Isacco Olio su tela (1603) di Michelangelo Merisi da Caravaggio

Sacrificio di Isacco Olio su tela (1603) di Michelangelo Merisi da Caravaggio
Galleria degli Uffizi – Firenze

In quest’opera Caravaggio illustra il passo di Genesi che racconta il cosiddetto sacrificio d’Isacco: “Abramo!…Prendi tuo figlio, l’unico tuo, colui che ami, Isacco, vattene nel nel territorio di Moria e là offrilo in olocausto” (Gn 22, 1-2), in particolare il momento in cui Abramo, obbediente al comando di Dio, sta per calare il coltello sul collo del figlio, ma viene fermato dall’angelo del Signore: “Abramo!…Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio” (Gn 22, 12). Isacco viene salvato all’ultimo momento dalla mano dell’angelo, al suo posto verrà sacrificato un ariete che si era trovato nei pressi, con le corna impigliate in un cespuglio di rovi. Come è noto, nella Bibbia, tutto ha un valore simbolico: l’ariete sacrificato al posto di Isacco è una evidente prefigurazione del sacrificio di Cristo (Agnus Dei qui tollit peccata mundi). Alle spalle di Abramo scorgiamo un albero di alloro, uno degli stemmi della casata Barberini, alla quale apparteneva il cardinale Maffeo, futuro papa Urbano VIII, committente dell’opera. L’alloro è anche simbolo di gloria e di vittoria e per i cristiani, di vita eterna; inoltre l’edificio turrito che si intravede sullo sfondo in controluce è simbolo della futura chiesa cattolica. La drammaticità della scena emerge dall’espressione disperata e incredula del volto di Isacco, in forte contrasto con quella rassegnata di Abramo e quella seria dell’angelo, che ferma con la destra la mano di Abramo che brandisce il coltello e indica con la sinistra la vera vittima sacrificale, cioè l’ariete -Cristo.  Anche in questa mirabile interpretazione del testo biblico, lo stile originalissimo del Caravaggio riesce a fondere insieme realismo e simbolismo, tanto che le figure risultano al tempo stesso realissime e simboliche.

Fulvio Sguerso

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