Lettura di un’immagine: La maschera tragica d’oro di Bebe Vio

Sono rimasto colpito dall’immagine pubblicata sulla prima pagina della “Repubblica” di domenica 29 agosto 2021 della campionessa mondiale ed europea di fioretto individuale paralimpico Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio, nota come Bebe Vio.
Se non si sapesse che lo scatto la ritrae nel momento dell’esultanza per la vittoria nei confronti dell’avversaria, si direbbe che la campionessa pianga disperatamente per essere stata sconfitta dopo aver invano combattuto strenuamente con tutte le sue forze. Invece quel volto in lacrime contratto come in uno spasmo di dolore atroce era espressione di una gioia, diciamo pure di una felicità, incontenibile. Quel volto contratto mi ha ricordato il volto di Eva cacciata con Adamo dal paradiso terrestre nell’affresco di Masaccio nella chiesa fiorentina del Carmine, volto che richiama la maschera tragica usata nel teatro greco antico appunto nelle tragedie.

maschera della tragedia greca

volto di Eva del Masaccio

Già, ma in questo caso non si tratta di una tragedia, caso mai, sempre nei termini della metafora teatrale, di una commedia, dato che l’azione drammatica interpretata da Bebe Vio è a lieto fine. E sarebbe veramente fuori luogo ricordare la favola della Volpe e della maschera tragica narrata da Fedro in cui compare l’espressione cerebrum non habet perché tutto si può dire di lei meno che fosse senza cervello. Ma allora come spiegare una tale esplosione adrenalitico-isterica al culmine del suo trionfo paralimpico? La spiegazione ce la fornisce lei stessa sulla sua pagina Facebook dove leggiamo: “Se qualche settimana fa mi avessero detto:’A rokio vincerai due medaglie’ mi sarei messa a ridere. Due medaglie… Per quanto ero messa male consideravo già un miracolo arrovare a Tokio. Ma volevo arrivarci…Venivo da un anno di alti e bassi. Il grave infortunio al gomito a settembre dell’anno scorso, dolorosissimo, i lunghi mesi di riabilitazione. Finalmente stavo meglio. Poi ad inizio d’anno il crollo: infezione da stafilococco aureo. Un altro maledetto batterio, dopo il meningococco di ranti anni fa. Ero messa proprio male e quando mi hanno detto ‘se l’infezione è arrivata all’osso dobbiamo amputare l’arto’ mi è crollato il mondo addosso. Basta amputazioni! Non mi è rimasto molto da tagliare…Poi l’operazione, l’infezione debellata, le settimane chiusa in ospedale e quando siamo usciti mancavano 119 giorni alla Paralimpiade. ‘Non ce la farete mai’ ci hanno detto. ‘Ci vogliamo provare?’ ci siamo chiesti. Passione, coesione, lavoro, fatica. Così in pochi mesi siamo riusciti a conquistarci un oro e un argento. Cos’è limpossibile? Mi hanno salvato le persone…”.  Da notare il fatto che Bebe scrive al pluarale, non dice ‘io’ ma ‘noi’; e ringrazia i medici, il suo fisioterapista, il preparatore, i maestri della Nazionale che l’hanno ”supportata e sopportata”, le sue compagne di squadra, tutti gli amici che “nel momento del bisogno” l’hanno “inondata” dell’amore di cui aveva bisogno, e naturalmente la sua famiglia, “la mia forza, il mio tutto”. “Senza di voi – dichiara Bebe – non ce l’avrei mai fatta. Ora sono felice. Stanca ma soddisfatta e felicissima…quanto n’è valsa la pena!”. Ecco dunque il significato di quella maschera tragica: tutto il dolore che è stato necessario attraversare per raggiungere una vittoria che sembrava impossibile.

 FULVIO SGUERSO

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