Lettura di un’immagine: Crocifissione

LETTURA DI UN’IMMAGINE 36
Crocifissione

Olio su tela (1941) di Renato Guttuso
Galleria d’arte moderna – Roma

LETTURA DI UN’IMMAGINE 36 

Crocifissione

Olio su tela (1941) di Renato Guttuso
Galleria d’arte moderna – Roma
 

“Questo è tempo di guerra e di massacri: gas, forche, decapitazioni, voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati, ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee”. 

Così scriveva Guttuso (Bagheria, 26 dicembre 1911 – Roma, 18 gennaio 1987) nel suo diario nel 1942, quando la sua Crocifissione fu classificata seconda nella quarta e ultima -a causa della guerra – edizione del Premio Bergamo promosso da Giuseppe Bottai, Ministro dell’Educazione Nazionale, nel 1939 , in contrapposizione al più ortodosso Premio Cremona, istituito dal gerarca Roberto Farinacci l’anno precedente.

L’opera non piacque  per niente alle gerarchie ecclesiastiche e nemmeno alla critica accademica, ma ci sarebbe da stupirsi del contrario: nessuna convenzione su questo tema  è rispettata, non vi si trova la minima traccia dell’iconografia sacra tradizionale della Passione, tuttavia sono numerosi i riferimenti ai testi evangelici: le mani di Gesù trafitte dai chiodi, la corona di spine che si intravede appena, la ferita ancora sanguinante nel costato, la spugna in cima a un’asta e i dadi in mano al soldato che ha vinto la tunica rosso sangue del Redentore; quanto al resto, a cominciare dalla disposizione delle croci commisse, è tutto sconvolto.  A un primo sguardo non si distingue neppure la figura del Cristo, seminascosta da un braccio della croce su cui è legato il ladrone rosso cupo visto di schiena  e dal corpo nudo della Maddalena che si protende lungo l’asse della croce per abbracciare il Cristo morto.

Questa nudità della Maddalena e di altre figure  insieme alla strana posizione defilata del Cristo in secondo piano è stata interpretata come  un oltraggio deliberato alla sacra rappresentazione, come una vera e propria bestemmia, tanto che il vescovo di Bergamo, monsignor Bernareggi  bollò l’artista siciliano con il titolo di Pictor diabolicus e interdisse l’accesso alla mostra “a tutto il clero della diocesi ed a quello di passaggio, pena la sospensione a divinis ipso facto”. Tanta severità ci suona eccessiva oggi, abituati come siamo a trasgressioni ben più estreme e discutibili (penso alla Rana crocifissa del geniale ma sfortunato artista tedesco Martin Kippenberger, allaDonna crocifissa dell’estroso e fortunato provocatore padovano Maurizio Cattelan e al volutamente scandaloso Crocifisso nell’urina del fotografo thrash americano  Andres Serrano) ma non si può negare che Guttuso abbia completamente secolarizzato il tema della Passione: anche il corpo esanime del Cristo è quello di un uomo tra altri uomini torturati e uccisi per le loro idee e la loro ribellione ai potenti di turno (significativi quei pugni chiusi del Cristo e di uno dei due ladroni) , e le tre Marie sono donne del popolo che si disperano per la morte dell’amato morto in croce.  

Scriverà il pittore nell’aprile del 1965 su “Il Contemporaneo” a sua giustificazione: “La nudità dei personaggi non voleva avere intenzione di  scandalo. Era così perché non riuscivo a vederli, a fissarli in un tempo: né antichi né moderni, un conflitto di tutta una storia che arrivava fino a noi. Mi pareva banale vestirli come ogni tentativo di recitare Shakespeare in frac, frutto di una visione decadente. Ma, d’altra parte, non volevo soldati vestiti da romani: doveva essere un quadro non un melodramma. Li dipinsi nudi per sottrarli a una collocazione temporale: questa, mi veniva da dire, è una tragedia di oggi, il giusto perseguitato è cosa che soprattutto oggi ci riguarda. Nel fondo del quadro c’è il paesaggio di una città bombardata: il cataclisma che seguì la morte di Cristo era trasposto in città distrutta dalle bombe”. Dal punto di vista formale e stilistico, è evidente il riferimento a Guernica di Picasso e al cubismo, soprattutto per i diversi punti di fuga prospettici e le linee verticali e orizzontali che si intersecano alternandosi con i profili mossi dei cavalli e dei corpi nudi dei cavalieri, della Maddalena e dei tre crocifissi.

Tutto, in questo dipinto, dà l’idea del movimento, a partire dal tavolo in primo piano visto in prospettiva inversa, su cui è posata una specie di natura morta che richiama lo stile di Cezanne, salvo gli strumenti per torturare come i chiodi, le forbici e un coltello. La Crocifissionedi Guttuso non avviene sul Golgota ma in un luogo indeterminato, salvo che per alcuni particolari che fanno pensare alla Sicilia, come il ponte arabo-normanno a gobba d’asino e le casette ammonticchiate sullo sfondo  che ricordano Bagheria Alta. Quest’opera di Guttuso riesce ad armonizzare il Realismo con il Cubismo, con il Fauvismo e con l’ Espressionismo, Picasso con i pittori tedeschi del Cavaliere Azzurro, Ensor con Rosso Fiorentino e con il Trionfo della Morte di Palermo, per questo è considerata il punto più alto dell’arte del maestro siciliano, anche per il valore etico, politico e umano del suo messaggio, valido oggi come ieri e  come sempre.

    FULVIO SGUERSO  

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.