Lettera aperta a Bersani

 

LETTERA APERTA/Cosa insegna la questione morale e l’inchiesta Mensopoli
AL SEGRETARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO
PIERLUIGI BERSANI

LETTERA APERTA/Cosa insegna la questione morale e l’inchiesta Mensopoli
AL SEGRETARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PIERLUIGI BERSANI

Stimato segretario,

mi permetto inviarle, per il tramite dei moderni mezzi di comunicazione che spero la riprenderanno, questa lettera aperta: sono un antico militante della sinistra, lontano dalle posizioni del suo Partito che assiste con grande preoccupazione alle vicende politiche tentando di difendere, nel suo piccolo, la Costituzione e quanto rimane della democrazia italiana che proprio dalla Costituzione aveva avuto origine.

Nel leggere dichiarazioni e resoconti sono rimasto favorevolmente impressionato dal suo, possiamo definirlo così tanto per racchiuderlo in una frase, “scatto d’orgoglio”, a rivendicare, anche rispetto ai critici da sinistra, identità, capacità, presenza politica del suo Partito in funzione della costruzione di una alternativa.

Questo suo “scatto d’orgoglio” mi ha fatto riflettere ed indurmi a porle alcune domande.

La prima: perché, invece, di rivolgersi ai “critici da sinistra” ( o presunta tale, perché certe posizioni di critica sicuramente hanno poco a che fare con la storia della sinistra, in Italia e in Europa) non si interroga, non ci si interroga collettivamente, non fa in modo che il suo partito si interroghi, sulla scelta di fondo dell’adozione del modello liberista nell’economia e nella società? Quel modello che ha stravolto, in una fase impetuosa di mutamento nel quadro delle relazioni internazionali, nell’uso della tecnologia, nell’apparire di nuove contraddizioni globali definite post-materialiste, che ha portato alla crisi attuale: una crisi che pare reclamare un ritorno, un ritorno a categorie che affrettatamente sono state buttate nei ferrivecchi: dal ruolo dello Stato, all’intervento pubblico in economia, ad una idea forte del welfare.

La seconda, strettamente legata alla prima: l’idea liberista, assunta indiscriminatamente da un arco vasto di forze che avevano fatto parte della sinistra, ha provocato anche una ricaduta netta sul piano più strettamente politico, portando all’abbandono del modello del partito di massa (e del partito “ad integrazione di massa”, nella distinzione tra Duverger e Neumann), dando spazio a modelli competitivo-personalistici (non userei definizioni nobilitanti quali “partito professionale elettorale”), modelli del tutto consoni all’avversario ed in particolare ad un avversario del tipo di quello che ci si ritrova nel nostro Paese.

Lo scioglimento del PCI, in questo senso, in una dimensione che forse valuto in una concezione di taglio eccessivamente politologico ma che ritengo giustificata dai fatti, è risultato esiziale, e pesa ancora adesso a quasi 20 anni di distanza: uno strascico lungo, troppo lungo, per non interrogarsi sulla profondità dei guasti provocati da quel fatto

Non si sono fuse, nell’operazione del PD le due più importanti culture politiche della prima storia del dopoguerra italiano, si è fatta soltanto confusione, si sono mescolate le ambizioni soggettive di appartenenti ad un ceto politico del tutto separato dal contesto sociale, laddove non funzionavano più i corpi intermedi e la società stessa si sfrangiava in molti rivoli mentre emergevano problemi drammatici per la vita quotidiana delle persone: in primo luogo il lavoro, non difeso più da alcuna tutela collettiva. Sia ben chiaro che, al riguardo, analoga tensione critica andrebbe rivolta alle forze che rifiutarono il passaggio dal PCI al PDS, poi disgregatesi nella galassia inconsistente dell’Arcobaleno e che adesso paiono riproporsi attraverso visioni “presidenzialistico- personalistiche” che potranno anche piacere ad una parte del pubblico televisivo, ma che certamente non affrontano il nodo di fondo, anzi contribuiscono agli equivoci.

Torno alla politica: qual’è, davvero, stimato segretario il suo pensiero su temi come quelli della “vocazione maggioritaria” e delle “primarie”, primarie oggi usate per cercare semplicemente l’anti-Berlusconi di sinistra, più o meno di sinistra? Queste analisi forse le ripetono in tanti, ma in forma che giudico – forse a torto – indiretta, mentre sarebbe invece interessante sentire il suo parere immediato.

Infine, per porre un limite che gli argomenti sono tanti (nel quadro di riferimento al liberismo, infatti, ci sta anche il delicato rapporto pace-guerra sul quale già i DS si erano giocati gran parte della credibilità), perché il PD non affronta la questione del proprio ceto politico di periferia, all’interno del quale viaggia una “questione morale strisciante” (non mi si risponda, come nel 1985, che si tratta di una “macchia nera su di un vestito bianco”: a Genova si è appena concluso il processo “Mensopoli”) fatta non tanto e non solo di episodi minuti, ma di un complesso di incultura, arrivismo, pressapochismo nell’amministrazione pubblica, di tanti personaggi sbagliati.

Qual’è la vita interna del suo Partito, una vita interna che riguarda direttamente le sorti della democrazia in Italia, la credibilità del sistema, il possibile radicamento nella società oggi assolutamente latente, quale il meccanismo di diffusione di cultura dal basso verso l’alto e viceversa, qual’è il percorso di selezione dei quadri, non tanto al riguardo delle candidature, ma della possibilità di direzione politica, al centro come in periferia?

 Insomma: giusto il suo “scatto d’orgoglio”, giusto il suo “chiedere rispetto”, ma quando si comincerà ad interrogarsi sul serio attorno alla realtà che ha portato il “caso italiano” dall’avanguardia (so di scrivere di cose che lei conosce benissimo) alla coda d’Europa?

Quando finiranno le scimmiottature e si ricercherà di nuovo autonomia di pensiero, di  iniziativa politica, di “diversità” delle proposte e dei quadri chiamati a sostenerli?

Grazie per l’attenzione

Savona, 1 Maggio 2010                                                         Franco Astengo

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