LES ASSIS IN TERRACOTTA DI VINCENT MAILLARD

LES ASSIS  IN TERRACOTTA DI VINCENT MAILLARD
(Libera interpretazione figurata di una poesia di Rimbaud)

      LES ASSIS  IN TERRACOTTA DI VINCENT MAILLARD

 (Libera interpretazione figurata di una poesia di Rimbaud)

           I visitatori della mostra “Pagine di terracotta” allestita al Museo Luzzati a Porta Siberia, nell’Area del Porto Antico di Genova da Vincent Maillard, che rimarrà aperta fino al 13 Aprile 2014,  troveranno, tra i suoi tanti caratteristici omini e gli alberelli e le pile di libri scolpiti in precario equilibrio e alle altre piccole sculture ironiche, argute  ed estrose che   popolano gli spazi più interni del Museo, anche lo scheletro di una vecchia poltrona trasformata dall’artista in una specie di oggetto impossibile ornato di frange e microsculture, e una seggiola rustica in stile veneziano, priva del ripiano su cui normalmente ci si siede, sui cui bordi, sullo schienale e sulle traverse si sono appollaiati, nelle pose più varie e acrobatiche, gli omuncoli che Vincent ha tratto dagli alessandrini della poesia “Les assis” (1871) di Arthur Rimbaud.


La scelta di ispirarsi a quella poesia non è certo casuale:  il tema dominante di quel testo ferocemente satirico  è   la simbiosi dei “Seduti” (i burocrati incartapecoriti) con il legno delle loro amate seggiole, la deumanizzazione che trasforma in oggetti quasi inanimati le persone e gli oggetti inanimati, come le sedie, in personaggi; i Seduti hanno solo saputo “innestare, con amori epilettici, le loro ossature barocche agli scheletri neri delle sedie, allacciandosi con i piedi strettamente  a quelle sbarre rachitiche, dalla mattina alla sera”. La connotazione fortemente visiva, espressionistica  e grottesca  (richiama, per la sua icasticità, lo stile figurativo di Grosz, di Otto Dix, di Christian Schad) di questi versi è la cifra stilistica di “Les assis”: “Neri di cisti, il volto butterato, gli occhi cerchiati di verde e le dita serrate intorno al femore. L’occipite coperto di placche scorbutiche, come le inflorescenze di vecchi muri lebbrosi…”. E’ qui evidente la repulsione, quasi il ribrezzo fisico verso la grassa borghesia bonapartista e i burocrati del secondo impero:

“I Seduti, con i denti alle ginocchia, verdi pianisti tamburaggiano la seggiola con le dita; ascoltano sciabordare patetiche barcarole e fanno ondeggiare rapiti quei loro zucconi…”. Verlaine, per spiegare l’origine di tanto risentimento nutrito da Rimbaud nei confronti di quei vegliardi attorcigliati ai loro seggi, racconta una “piccola storia” (che senz’altro ha avuto la sua parte anche nell’immaginazione poetica di Vincent e nella sua attrazione-repulsione per “Les assis”): “Arthur Rimbaud, che a quel tempo frequentava come esterno la seconda classe del liceo di Charleville, marinava spesso le lezioni, e quando, finalmente ne aveva abbastanza di percorrere a piedi monti, boschi e pianure (che formidabile camminatore), si recava alla biblioteca di tale città  a chiedere libri che suonavano disdicevoli alle orecchie del bibliotecario-capo, il cui nome, alquanto inadatto alla posterità, danza sulla punta della mia penna – ma che importanza può avere il nome di quel bravìuomo in questo lavoro da maledettino? L’eccellente burocrate, obbligato dal suo ruolo a consegnare a Rimbaud, su sua richiesta, molti Racconti Orientali e libretti di Favart, il tutto mischiato a strani libri scientifici, molto antichi e molto rari, imprecava quando era costretto ad alzarsi dalla seggiola a causa di quel monello, e lo rispediva volentieri , a viva voce, ai suoi studi non troppo amati: Cicerone e Orazio e non sappiamo più quali greci.


 

Il ragazzo, che del resto conosceva i classici e li apprezzava assai più del vecchiaccio, finì per irritarsi e scrisse il capolavoro in questione”. Sulla scorta di questo racconto di Verlaine possiamo comprendere meglio i versi seguenti: 2Che nessuno li scomodi, sarebbe un naufragio…Si ergono mugolando  come un gatto punito, aprono lentamente  e con rabbia le scapole…sentite cozzare i loro crani spelacchiati ai muri scuri, i piedi sciabattano rabbiosi…hanno una mano invisibile che uccide…Al ritorno, lo sguardo filtra il veleno nero che offusca gli occhi della cagna picchiata, e voi sudate, presi in un atroce imbuto…”. E infine, quando la stanchezza li vince e si addormentano sulla scrivania con il capo chinato sul braccio, che cosa sognano? “Sognano di fecondare  seggiole e di aver tutto intorno amorini di sedie che circondino gaie le altiere scrivanie”, tanto ristretto è il loro orizzonte di burocrati che sognano di amoreggiare con le loro sedie impagliate, così che “il loro membro s’irrita alle spighe barbute”. Abbiamo qui un esempio del “brutto” funzionale a una sorta di dichiarazione di odio verso un’intera  categoria di persone, quelle che non molto tempo fa  si chiamavano ancora le  “mezze maniche”.

La satira di Vincent non è così feroce:  i suoi  piccoli uomini-massa sono 

tratteggiati  più con umorismo che con disprezzo, il loro conformismo non è senza speranza.  Come ha scritto Emanuele Luzzati: “Questi personaggi che vorrebbero stare sempre insieme per correre, per giocare, oggi sono separati da qualcosa creato e voluto da loro stessi”, e che li obbliga a fermarsi e a pensare. Da che cosa sono separati? Per esempio una parete divisoria, da un muro, dagli scaffali di una biblioteca, da una porta chiusa, da un tavolo o da una…seggiola.

Fulvio Sguerso


 

BIOGRAFIA VINCENT MAILLARD

Vincent Maillard è nato a Parigi nel 1957. Trasferitosi in Italia in giovane età frequenta l’accademia Ligustica di Genova, ma è soprattutto attraverso l’amicizia con il pittore francese Daniel Bec e la frequentazione dei suoi amici artisti che si avvicina al mondo dell’arte.

Tiene la sua prima mostra di acquarelli a Milano nel 1977, l’apprezzamento e la critica favorevole di Mario De Micheli lo invogliano a continuare.

Oltre agli acquerelli incomincia ad interessarsi alla terracotta, ed è in questo materiale che trova la sua migliore espressione.

Lo stesso anno la Gallerista Piera Gaudenzi, entusiasta del suo lavoro, gli  propone  una prima mostra personale di terracotte presso la Galleria “Il Vicolo” di Genova.

Sarà un sodalizio che durerà per anni e che continua tutt’oggi.

Dal allora ad oggi tiene numerose mostre in gallerie e spazi pubblici.

Il suo lavoro è stato  seguito con interesse da artisti, critici e personaggi del mondo della cultura.

Le presentazioni di Emanuele Luzzati, Flavio Baroncelli  hanno accompagnato le sculture di Vincent Maillard con sensibilità e profondità.

Negli anni 80 conosce Sergio Noberini, attraverso di lui viene a contatto con i ragazzi disabili dell’Istituto David Chiossone e per diversi anni tiene per loro laboratori e corsi. Sarà un’esperienza che umanamente  lo arricchirà moltissimo e che si vede  riflessa anche nelle opere di quegli anni.

Per Il suo carattere schivo e riservato non ha molti contatti con gli altri artisti e con i loro studi per cui sviluppa un suo stile molto personale.

Dà vita con le sue terracotte patinate, ad un universo leggero, magico e misterioso. I suoi omini sono atteggiati di volta in volta in posizioni diverse l’una dall’altra, oppure tutti sono uniti a formare l’identità di un’unica umanità di cui indovinare le sfumature dei pensieri, del carattere, degli umori.

Lavori come “Big Bang”, “ La biblioteca”, “ La scala” sono racconti del vivere, storie piene di ironia e poesia, specchio del nostro vivere insieme come uomini di questo mondo e degli ostacoli che creiamo fra noi.


 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.