Le tre P: Protesta, Partecipazione, Politica

 Le tre P:
Protesta, Partecipazione, Politica

Le tre P: Protesta, Partecipazione, Politica

 La partecipazione, come in passato ho già avuto modo di scrivere, è la nuova frontiera del concetto di amministrare con intelligenza e coinvolgimento della cittadinanza le nostre città. Non è affatto facile trovare la formula migliore ma vi sono esempi virtuosi che possono, in Italia, fungere da apripista tramite più o meno interessanti  forme innovative di coinvolgimento della cittadinanza, purché volte poi a contribuire alla risoluzione dei problemi e al miglioramento delle condizioni generali e diffuse di vita.

C’è forse un curioso filo conduttore del vivere nella collettività che lega 3 principali azioni ad esso annesse: la Protesta, la Partecipazione e la Politica. Ne do una mia personale interpretazione.

La Protesta. Essa stessa racchiude l’inizio di qualunque esperienza, provando a guardare con occhio critico ad ogni situazione che ci circonda, per chi non la condivide consegue un iniziale disagio una “ espressione, manifestazione, dichiarazione energica e ferma della propria opposizione o disapprovazione” (Treccani).

La Partecipazione. Qui le cose si complicano, la definizione non è facile perché ci sono diverse interpretazioni , quella più generale ed attinente alla materia in questione ci riporta però la seguente:  “prendere parte a una forma qualsiasi di attività, sia semplicemente con la propria presenza, con la propria adesione, con un interessamento diretto, sia recando un effettivo contributo al compiersi dell’attività stessa” (Treccani)

La Politica. Una definizione storica, che ci giunge addirittura dal filosofo greco Aristotele secondo cui la “politica” significava l’amministrazione della “polis” (città in greco, n.d.r)  per il bene di tutti cui tutti sono chiamati a partecipare. Certamente in questo caso il concetto di partecipazione era limitato ad alcune tipologie di cittadini ma è interessante come si parli di politica e partecipazione già legati insieme.

E’ facile quindi fare una sorta di scala evolutiva che partendo dalla Protesta porti alla Politica, tramite la Partecipazione. Quindi, mentre la Politica è l’attività di amministrare, la partecipazione è lo strumento all’interno del quale viene  individuato il modello migliore per coinvolgere i cittadini nell’attività di amministrare (politica) e trasformare la protesta in proposta:  la partita quindi si gioca nella Partecipazione. Per intenderci, ad oggi,  generalmente  abbiamo un modello di partecipazione rappresentativa dove in sostanza ci sono dei rappresentanti dei cittadini eletti a cui è data la delega per fare le scelte in nome e per conto di tutti, essi poi esercitano  “la politica”. Pur sempre però una forma di partecipazione, sia ben chiaro.

Ora, nelle sperimentazioni “partecipative” che l’Amministrazione comunale savonese ha lanciato l’anno scorso, si sono attuate 2 modalità di azione: la prima era quella di trovare una nuova forma che sostituisse le circoscrizioni, che per Savona non sono più applicabili per questioni normative e che in effetti erano, e laddove ancora presenti sono, forme di decentramento amministrativo. A Savona la definizione di “Assemblee di quartiere” non è e non poteva essere intesa quale una forma di decentramento amministrativo ma bensì una forma di consultazione della base cittadina che attraverso un referente ne riportasse le istanza all’Amministrazione, viceversa le risposte della stessa alla cittadinanza.

La seconda modalità di azione lanciata, definita OST (Open Space Technology) , prevedeva il periodico incontro della cittadinanza in luoghi adeguati per affrontare temi di più largo respiro con tecniche di discussione condivisa attraverso gruppi di lavoro più o meno casuali, il collante era ed è fornito da cittadini interessati di volta in volta allo specifico tema. In quest’ottica, nelle due occasioni organizzate nel 2012, era sottoposto dall’Amministrazione un ambito generale all’interno del quale i cittadini proponevano dei temi specifici, per ognuno le discussioni sviluppate dovevano tendere a identificare degli indirizzi di soluzione, validati nella fase conclusiva da una relazione di fattibilità da parte dell’Amministrazione. I temi nel caso specifico hanno prodotto una importante e di rilievo massa critica di idee e proposte.

 Le “Assemblee di Quartiere “ si prestavano e si prestano particolarmente ad accogliere la “Protesta” con il fine di indirizzarla all’Amministrazione per la ricerca di una soluzione,  gli incontri “OST” per quanto potuto assistere hanno rappresentato dei momenti di elaborazione di “Proposte”. Ambedue le forme rappresentano i primi passi (Protesta e Partecipazione con proposta)  per arrivare alla ricerca della soluzione applicabile tramite la Politica.

Oggi questo intero processo non sta funzionando, ed è un fatto. Le assemblee di quartiere non riescono nella loro missione di base, ovvero incanalare la protesta che invece continua ampiamente a manifestarsi nella diffusione capillare di comitati su comitati che vertono su specifici problemi.

Quali sono le cause? Come sempre molteplici, a parer mio per le Assemblee di quartiere sono principalmente tre:

– gli strumenti messi a disposizione dei referenti di quartiere: di fatto nessuno, una dose di buona volontà e nessuno canale privilegiato per portare i problemi realmente di fronte all’Amministrazione. Ad esempio un meccanismo regolamentato tramite il quale obbligare il consiglio comunale a prendere in esame le istanze da essi portate,  vincolando quindi la Politica a prendersi in carico lo studio di un problema, dandone evidenza alla cittadinanza, qualunque sia l’esito.

– L’amministrazione comunale: è ovvio che se all’Amministrazione vengono posti dei problemi ed essa nemmeno risponde, un silenzio assordante non lascia che amare ma oggettive considerazioni.

– i referenti di quartiere: troppo ingessati nel loro ruolo, non è chiaro se per questioni personali, magari anche caratteriali, o perché così indirizzati ma di fatto ci sono stati ben pochi segnali di iniziativa per, ad esempio, provare a fare incontri autonomi di assemblee di quartiere su temi specifici (Aurelia Bis, differenziata, pulizia delle scuole, traffico nelle singole zone di quartiere, sicurezza, sociale etc..). Questo per condividere i problemi, come fanno i comitati che non hanno certamente ne un bilancio partecipato ne tantomeno un ruolo istituzionale, al più si registrano con atto notarile, ma tanto quanto fanno i comitati potevano fare le assemblee di quartiere.

Per quanto riguarda gli eventi OST, di cui si sono registrate 2 sessione e delle quali ho già fatto alcune considerazioni nella parte conclusiva di un mio precedente articolo “Libertà è Partecipazione”, ci sono certamente ed unicamente responsabilità nell’Amministrazione comunale. Qui non vi sono molti dubbi a riguardo, alle molte ed interessanti Proposte suggerite, l’Amministrazione non è riuscita nemmeno a dare delle risposte, negative che fossero. Una sconfitta a tavolino per impraticabilità del campo.

Da cosa e come ripartire? Se rimane la volontà di allargare la Partecipazione non solo a coloro che per delega elettorale rappresentano i cittadini nella partecipazione volta ad attuare la politica, ma anche ad una più ampia fetta di cittadini che vogliono contribuire a partecipare sia nella protesta che nella proposta, è necessario ripartire dalle Assemblee di quartiere intervenendo fortemente sugli strumenti, sui ruoli e le persone e sull’Amministrazione che deve accettare un confronto aperto con ciò che potrebbe arrivare dalle assemblee, potrebbe anche verificarsi una contrapposizione, una conflittualità tra cittadini e amministratori ma deve essere gestita, mitigata e devono essere date delle risposte. E’ necessario consentire un raggio di azione molto più ampio alle assemblee, maggiori poteri concreti pre-stabiliti potranno necessariamente indurre più cittadini a partecipare ben sapendo che a maggiori responsabilità deve necessariamente seguire un maggior potere, altrimenti il meccanismo non funziona.

ANDREA MELIS

 

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