Le origini del degrado: il verde

Il patrimonio di verde della città, lungi dall’essere accresciuto e valorizzato come vorrebbero i dettami della famosa transizione ecologica, ma anche il semplice buon senso di chi è sensibile alla qualità della vita, ha subito invece anch’esso un inarrestabile degrado, per tempi modi e metodi.
Dapprima qualche segnale, poi, nella trascuratezza e indifferenza generale, un vero e proprio crollo. E attenzione: una facciata si può rifare, una panchina si può sostituire, ma ripristinare il verde non è né così semplice né così immediato. È un patrimonio che si costruisce pazientemente col tempo, e si distrugge in un attimo.
Vorrei servirmi di immagini, più che di parole, in queste circostanze, citando degli esempi.
Prima, però, ricorderei alcuni punti.
– I giardini un tempo erano progettati bene. Vedi S. Michele e Prolungamento, ma anche quelli delle Trincee, che dobbiamo alla lungimiranza delle compiante circoscrizioni. Poi è iniziata una deriva diciamo più enfaticamente architettonica che botanica, dove il verde è alla stregua di un complemento d’arredo usa e getta, aggiunto diradando colpevolmente l’esistente, tagliando ogni siepe frangivento, in mezzo a lastricati e pomposi artefatti. Oppure il verde come pretesto su un dito di terra di aiuole sul cemento, o sulle volte di box interrati.
– la capitozzatura, la potatura drastica, si dovrebbe eseguire solo su piante semisecche e malate per tentare di salvarle, non è, e ripeto NON è una pratica benefica e usuale per risanare e mantenere uccellini. Fa solo risparmiare soldi se vuoi potare ogni tanto, ma toglie bellezza, ossigeno, ombra e frescura d’estate. Fa ammalare e rapidamente uccide.
– Trascuratezza, assenza di manutenzione, alternata a manutenzione drastica e fuori stagione, ottengono lo stesso desolante risultato
– negli appalti la parte verde andrebbe affidata a ditte e progettisti a parte, non agli stessi delle opere edili
– se pianti, innaffia regolarmente, non sperare nella pioggia. Se predisponi impianti di irrigazione, il minimo è sperare che vengano attivati e che funzionino. Se pianti tanto per fare e la pianta secca, oltre che un peccato è un danno anche economico per la comunità
– alcuni cittadini, e chi purtroppo li rappresenta, possono anche essere ignoranti in materia di verde, chiedere tagli di alberi e pelature di tronchi come si chiede lo spazzamento urbano (peraltro effettuato meno di frequente delle spelature) o la pulitura dei tombini, ma chi di dovere e chi se ne intende dovrebbe bloccarli, non assecondarli. Purtroppo ai fini elettorali hanno più peso queste frange, che non i difensori del verde. Esattamente come i cacciatori rispetto agli ambientalisti, anche se sono una minoranza.
– le piante tagliate andrebbero sempre sostituite con essenze simili per crescita, alberi con altri alberi, possibilmente aumentandone e non diminuendone il numero, e non arbusti o vasetti. Dovrebbe valere per il pubblico e per il privato.
Ma iniziamo la panoramica.

I pini e il corso
Dopo la stagione di odio per i pitosfori, che ha visto praticamente scomparire alberi e siepi, è iniziata la feroce caccia al pino, colpevole di avere, ahimè, radici, che tendono ad affiorare se non si lascia loro spazio adeguato.
La cosa è partita da lontano, e non c’è colore politico che tenga. I pini davanti alla sede CGIL, per i quali sarebbe bastato togliere un po’ di asfalto e sacrificare due o tre parcheggi, furono le prime vittime, già otto o nove anni fa, seconda amministrazione Berruti.
I pini

 La “sostituzione”

Stessa sorte per i pini in darsena, uno dopo l’altro, dopo qualche blando tentativo di manutenzione dei basoli sollevati. Sostituiti, neanche a dirlo, da cespugli di oleandro.
Taglio dell’ultimo rimasto

La grande tristezza di corso Tardy e Benech dilania ancora il cuore di chi ama gli alberi, nel profondo.
I magnifici alberi

 Lo strazio del taglio e i tronchi sanissimi

Si giurò sulla sostituzione con alberi che sarebbero cresciuti rapidamente altrettanto imponenti. Io ne dubitai già osservando la piantumazione. I detriti prevalevano sul terreno sano, e si scelse di cementificare quasi del tutto l’aiuola, per non sacrificare il parcheggio
 Il cemento


Ora, a distanza di tre anni, i fatti mi danno ragione. Ecco lo stato degli alberi: uno su tre, praticamente, sta morendo.

E per terminare in bellezza, il maestoso pino sul terrapieno di via Stalingrado, anch’esso perfettamente forte e sano, (giuro, ho visto i pezzi di tronco, enormi e bellissimi, mentre li tiravano giù) che avrebbe meritato valorizzazione, amore, rispetto e protezione, fu stroncato su richiesta del privato proprietario, vittima dell’isteria collettiva e del timore di dover risarcire ipotetici danni, e ovviamente sostituito con un vasetto.

Alla prossima, il giro continua.

Milena Debenedetti

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