LE MANI DI RODIN STUDIATE DA RENZO MANTERO

LE MANI DI RODIN STUDIATE
DA RENZO MANTERO

LE MANI DI RODIN STUDIATE DA RENZO MANTERO

L’incontro postumo tra lo scultore François Auguste Rodin e il chirurgo e studioso della mano nella storia dell’arte (e nella musica e nella letteratura) Prof. Renzo Mantero, si direbbe uno di quegli incontri “destinali” che prima o poi dovevano accadere. 

Questo perché tanto Rodin (Parigi, 1840 – Meudon, 1917) quanto Renzo Mantero (Porto Venere, 1930 – Savona, 2012) erano persuasi del fatto che  la mano con le sue funzioni e con le sue straordinarie possibilità  operative ed espressive distinguesse e distanziasse di gran lunga l’uomo dagli altri animali, come asseriva già Anassagora quattrocento anni prima della nostra era: “l’uomo è divenuto il più intelligente degli animali perché ha la mano”; al che si può aggiungere l’osservazione aristotelica secondo la quale  a ben poco gli sarebbero servite le mani se l’uomo non fosse già stato il più intelligente degli animali; ma in ogni caso è evidente che senza mani fatte proprio così come sono non saremmo andati troppo lontano (basti considerare la presenza o la mancanza dell’opponibilità del pollice al mignolo).

Non si tratta però soltanto di una questione strumentale: “Rodin – scrive Renzo Mantero – ha dato alla mano la dignità espressiva che le è propria, l’ha rappresentata come immagine esterna del cervello, come l’organo muto che trasferisce fuori di noi, col gesto, gli stati dell’anima, i dolori, le gioie, le idee, il pensiero, anche quello più riposto del sogno”. E difatti nel disegnare e poi nello scolpire le mani dei suoi modelli e delle sue modelle (tra le quali spicca la grande e tormentata  scultrice Camille Claudel, sorella maggiore di Paul, devotissima amante del  maestro, che finì i suoi giorni nell’ospedale psichiatrico di Montdevergles in Vaucluse, nel 1943) Rodin sembra tener presente quel passo dei Saggi di Montaigne, opportunamente citato da Renzo Mantero (in “Manovre” del giugno 2006), in cui il moralista francese, nel tessere l’apologia del teologo catalano Raimond de Sebond, enumera le principali azioni possibili grazie alle mani: “Che cosa possiamo fare con le mani? Chiediamo, promettiamo, chiamiamo, congediamo, minacciamo, preghiamo, supplichiamo, neghiamo, rifiutiamo, interroghiamo, ammiriamo, contiamo, confessiamo, ci pentiamo, temiamo, ci vergogniamo, dubitiamo, insegniamo, comandiamo, incitiamo, incoraggiamo, giuriamo, testimoniamo, accusiamo, condanniamo, assaltiamo, ingiuriamo, disprezziamo, sfidiamo, ci indispettiamo, aduliamo, applaudiamo, benediciamo, umiliamo, scherziamo, riconciliamo, raccomandiamo, esaltiamo, festeggiamo, ci rallegriamo, compiangiamo, ci rattristiamo, ci sconfortiamo, ci disperiamo, ci stupiamo, gridiamo, tacciamo; e, con una varietà e molteplicità che rivaleggia con quello della lingua, che altro non facciamo?”.
Tale molteplicità e varietà di funzioni fa della mano qualcosa di simile a una sineddoche, cioè a quella figura retorica che consiste nel nominare il tutto per la parte o la parte per il tutto: è chiaro che, in questo caso,  si dice mano ma si intende uomo, o donna, o anima, o amore, o linguaggio, o creazione, o addirittura  Dio…E infatti Rodin, come osserva Renzo Mantero, tramite il modellato delle sue tante mani “non fa altro che esprimere tutti questi atti arricchendo il vocabolario della gestualità sempre aperto nell’infinito della ricerca”, dove la parola “infinito” può anche significare il “non-finito” caratteristico dello stile di Michelangelo, di cui Rodin si considerava allievo ed interprete, sia pure influenzato dal luminismo impressionistico e dall’esasperato linearismo dell’ Art Nouveau di fine Ottocento e primo Novecento.
Auguste Rodin
 Ma vediamo alcuni esempi: nel Battista (1880) la mano destra alzata “ha il palmo e l’indice rivolti verso l’alto per comunicare la venuta di un Essere più grande. L’altra mano si piega verso terra, come per mostrare i due ambiti in cui la divinità si riflette. Il Profeta sembra voler lasciare il suo piedistallo, con solennità, per portare ovunque la sua parola di fede”.
 In quel periodo Rodin lavora al  progetto per un portale destinato al futuro Museo della Arti Decorative, tra li sculture è notevole l’Adamo, il cui dito della mano destra indica la terra da cui è venuto “con esplicito richiamo all’Adamo della Cappella sistina ove quel dito raffigura il tocco della vita infusa nel primo uomo da Dio”.  Del 1885 è Le Penseur, forse la sua opera più famosa, che doveva far parte anch’essa della Porta dell’Inferno: “Le mani in quest’opera sopportano il peso del pensiero. La destra regge con fatica la testa che le grava sopra pesante come un macigno: è una mano che offre aiuto, sostegno e anche riposo. La sinistra cade verso il basso abbandonata con dentro tutto il peso dello stato d’animo che traspare dal viso, anch’esso pensante”. Significativa questa aggiunta sul viso “che pensa”, e non solo il viso pensa ma tutto il suo corpo contratto. 
Renzo Mantero

A questo proposito risulta pertinente la lettura che ne fa il  filosofo Andrea Tagliapietra: “Come l’Atlante del mito regge il mondo, ossia l’insieme di tutte le cose, in un eterno portare, così anche al Pensatore appartiene il possente slancio muscolare di colui che regge e insieme sostiene. La tensione plastica di ogni singolo muscolo della figura esprime la concentrazione del pensiero.

Per il Pensatore, quell’arresto che precede qualsiasi attesa non è un fatto, bensì un atto” (Il dono del filosofo. Il gesto originario della filosofia, 2009).

Nell’altra  celebre e, in allora (1886), scandalosa scultura nota come Il bacio, in cui vediamo i magnifici corpi nudi di due amanti (in un primo tempo dovevano rappresentare Paolo e Francesca nell’ Inferno, nel luogo in cui è scritto: “la bocca mi baciò tutto tremante”) la posizione e la plasticità delle mani esprimono accentuandola l’intimità amorosa dei due personaggi, “l’uomo posa delicatamente la mano sulla coscia della giovane donna con ujn contatto leggero che si trasforma, a guardarla, in un gesto nervoso, forte, appassionato, di delicatezza amorosa che diviene il vero centro della della composizione”. Segue  poi l’analisi minuziosa delle  mani dei sei Borghesi di Calais,  e dei loro atteggiamenti di sfida, o di fierezza,  o di disperazione. Le mani, in Rodin, sono così essenziali  che, in certi casi, costituiscono delle opere   staccate e autonome dai corpi, come nei numerosi bozzetti con i quali ne fissava le forme e persino le deformazioni. Valgano, come conclusione provvisoria sul tema, le considerazioni di R. M. Rilke,  citate da Renzo Mantero perché, a suo avviso, colgono poeticamente  il significato profondo che avevano le mani per il maestro di Meudon: “Nell’opera di Rodin vi sono mani indipendenti, piccole mani che vivono come disgiunte da un corpo. Mani che scattano irate, minacciose, mani le cui cinque dita divaricate sembrano latrare come cinque gole tese del mitico cane degli inferi. Mani che camminano, mani che si risvegliano, mani criminali testimoni di penose eredità, mani stanche di fatica e nascoste in un angolo come un animale ferito, quasi sappiano che nessuno può correre loro in aiuto. Tuttavia queste mani rappresentano già un organo complesso: un delta i cui fiumi di vita provenienti da lontane sorgenti si fondono nel mare dell’azione…”. E anche nel volto misterioso di quello splendido Ritratto di Camille in cui la mano sinistra di uno dei borghesi di Calais, staccata dal suo contesto, le sfiora la testa come fosse l’ala gelida della morte.
 
FULVIO SGUERSO

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