Le bugie di Tremonti

Le clamorose bugie dell’Onorevole ministro Dottor Giulio Tremonti
         BERLEGHINANDO L’ARTICOLO QUARANTUNO
E ad Albenga l’armata della sindachessa sforna ordinanze di fascista memoria. Mentre trova spazio anche la nostalgia per i “casini”

Le clamorose bugie dell’Onorevole ministro Dottor Giulio Tremonti

         BERLEGHINANDO L’ARTICOLO QUARANTUNO

E ad Albenga l’armata della sindachessa sforna ordinanze di fascista memoria.

Mentre trova spazio anche la nostalgia per i “casini”

Noi non sappiamo fino a che punto giunga la buona fede di un Ministro; nel caso in esame, se non dovessimo credere nella sua buona fede, con connessi errori, dovremmo pensare molto male. Il dramma si è che trattasi del Ministro più importante della compagine berleghista che ci governa (si fa per dire).

L’Onorevole Dottor Giulio Tremonti ha recentemente affermato che, nell’ambito delle operazioni di rilancio dell’economia, pensa di abolire le regole e gli adempimenti prescritti per le piccole e medie imprese, artigiani, ricerca e simili, onde, senza lacci e laccioli, concorrano in totale libertà ad incrementare produzione e servizi.

Ma, dice il Ministro, per far ciò occorre modificare l’articolo 41 della Costituzione che vuole l’impresa produttrice di effetti socialmente positivi, il che sarebbe di impedimento alla liberalizzazione da lui “pensata”.

   NON E’ VERO: non c’è alcun bisogno di modificare l’articolo 41 della Costituzione. Leggiamolo insieme:

L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Le legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”

Non occorre essere giuristi per comprendere che il dettato costituzionale non intralcia nel modo più assoluto le ansie liberiste del Nostro. Ovviamente, nessuna attività può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale ma potrebbe anche essere socialmente indifferente. Non è la stessa cosa dire che si devono produrre effetti positivi o dire che non debbono prodursi effetti negativi. La Costituzione dice che non debbono prodursi effetti negativi, o addirittura dannosi per la sicurezza, la libertà e la dignità umana. Ci mancherebbe altro! Che cosa vorrebbe il Ministro? che si eliminassero questi principi ammettendo il lavoro senza sistemi di sicurezza, l’attività di operai schiavizzati, officine nelle fogne ?

  Ma quello che evidentemente si sottace, malgrado il chiaro dettato normativo, è che, comunque, tutta la regolamentazione –sulla base dei principi fondamentali per la sociale convivenza da essa richiamati- è affidata dalla Costituzione alla legge ordinaria e ai regolamenti. E’ con questi strumenti che si può e si deve incidere; la liberalizzazione avviene non già eliminando o modificando l’articolo 41, ma provvedendo a sciogliere le strozzature burocratiche insite nelle leggi ordinarie, nelle leggi regionali e nei regolamenti locali.

Assuma, dunque, il Ministro le opportune iniziative in tali sedi, se proprio vuole raggiungere gli scopi prefissi e non cerchi l’alibi della Costituzione che va benissimo così com’è, non impedisce tale politica e non ostacola una seria applicazione dei criteri liberistici ai settori interessati.

Del resto ci pare di ricordare, con angoscia, che l’ex Ministro Bersani, scontrandosi con le categorie audisciplinate negli Ordini, avesse già tentato –da sinistra, olé !- tale passo ultra liberal, accompagnato da percorsi privatizzatori che non temono confronti (poi si lamenta se glielo rinfacciano).

Il Ministro berleghinista ha quindi sparato una berleghinata, con il consolidato spirito anticostituzionale del movimento verdastro cui appartiene. Del resto, mentre andiamo in macchina, sopraggiunge lo spudorato attacco alla Costituzione del Premier.

Il vetero compagno Pistarino ci ha redarguiti sulla terminologia da noi applicata all’armata brancaleone del berleghismo : “ün po’, ci ha detto, ti i ciammi ‘berleghisti’, ün po’ ‘berleghinisti’, insômma decìdite”.

No, caro Pista, si tratta di due termini di diverso significato, ancorché di identica radice. Essere “berleghisti” è uno ‘status’, il soggetto è in fase statica, una entità affetta da tale anomalia che sussiste in sé e per sé, senza nulla a pretendere (come avrebbe detto Peppino De Filippo); nel momento, invece, in cui il berleghista passa all’esternazione e quindi emana detti, atti, o provvedimenti (ahinoi!), esprime cioè ‘berleghinate’, diventa ‘berleghinista’. Questa è la differenza: berleghinista è il berleghista in movimento vocale o strumentale. Così, per esempio, la Sindachessa “Coprifuoco” di Albenga, nell’emanare le famose ordinanze di fascistica memoria, passa dal berleghismo al berleghinismo, nel quale trova ampio spazio la nostalgia per i “casini”.

    “Ma scüsa, ha insistito Pista, nô saiâe ciü semplice parlâ de ‘belinate’?

Proprio no, caro Pista, queste, purtroppo, possiamo dirle e farle tutti -ne abbiamo accumulate a sinistra, e tu lo sai bene, quantità notevoli-, ma la berleghinata è unica prerogativa dei berleghisti, essa non è solo stupida è anche dannosa per la civile convivenza e per la libertà, aggredisce, con una speciale ricercata ignoranza, persino i fondamentali diritti dell’uomo, altera la verità , tenta di distruggere la democrazia.

   “Ma chi potrà salvarsi? pe’ dila cômme i discepôli doppô che Gesü Cristô ha sentensiòn : ô l’è ciü façile che ün cammellô passe in te üna agôggia, ciü tostô che ün riccô ô vagghe in Paradisô ?”

Parafrasando la risposta evangelica (ci perdonino i credenti): forse questo non è possibile ai partiti, ma tutto è possibile al Popolo.  

 

                                                           BELLAMIGO                        

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