LAVORO & DENARO: MEZZI O FINI?

LAVORO  &  DENARO:  MEZZI  O  FINI?

LAVORO  &  DENARO:  MEZZI  O  FINI?

Il lavoro e il denaro dovrebbero essere mezzi per procurarsi e scambiarsi beni e servizi. Oggi si sono elevati a fini, cui tutti tendono, dando loro valore in sé.

E chi è in grado di elargirli al mercato del lavoro e dei capitali? Le classi dei grandi imprenditori e dei banchieri. I primi si chiamano anche “datori di lavoro”, i secondi “fabbricatori di moneta”…LEGGI…  Entrambi gestiscono questi fattori come fossero beni propri e soggetti a penuria, al pari di beni fisici, merci; e spetta a loro regolarne il dosaggio, col secondo fine di eliminare i piccoli-medi imprenditori e lavoratori in proprio e monopolizzare il mercato del lavoro e del denaro.

Se andiamo indietro nel tempo, notiamo come il lavoro fosse proporzionale alle braccia in grado di svolgerlo. Non c’era quindi disoccupazione, ma solo sfruttamento da parte di chi elargiva lavoro e ne intascava gran parte dei frutti. Lavorare non era un diritto, ma un dovere, di biblica discendenza. Memore dell’Eden, l’uomo lo vedeva come una maledizione divina, non un privilegio.

Ma privilegio divenne col prevalere dell’industria sull’agricoltura, allorché le macchine “rubarono” gran parte del lavoro manuale, determinando la nascita di movimenti di protesta (luddismo) al sorgere dei primi fenomeni di disoccupazione, causati dai telai nell’industria tessile. In pratica, il guadagno reso possibile dalle minori ore di lavoro a parità di produzione, anziché venire devoluto almeno in parte ad ammortizzatori sociali, andò ad impinguare le tasche dei datori di lavoro, che ebbero così un efficace strumento per disporre di disoccupati disposti a qualunque compromesso pur di venire assunti in un contesto di lavoro calante. Più cresceva la tecnologia, ossia la produttività, più il lavoro si rarefaceva e si poteva quindi “concederlo” a prezzi di saldo, pescando nelle affollate schiere dei disoccupati. Oggi non c’è imprenditore, sindacalista, politico o addirittura presidente della Repubblica che non esalti la necessità, “per uscire dalla crisi”, di favorire l’avanzamento tecnologico e la produttività, tralasciando di evidenziare la conseguente moltiplicazione dei disoccupati.

Ma non è solo il lavoro ad essere diventato “merce”, sempre più rara ed appetita; lo stesso è accaduto al secondo fattore suaccennato: il denaro.

Il denaro è un mezzo solo se ad emetterlo è uno Stato, che ne regola la quantità non in base a calcoli di convenienza finanziaria, ma sociale. Se la sua gestione passa in mani private, come è avvenuto nell’arco degli ultimi decenni –senza che la gente ne sia stata minimamente informata- anche il denaro diventa fine, anzi merce, pur essendo fittizia la sua penuria; è però nell’interesse di chi lo fabbrica (i banchieri) di farlo apparire tale, ossia soggetto alle stesse restrizioni di una qualsiasi materia prima.

Quando si sente ripetere, come un mantra, che “non ci sono soldi”, li si considera come un materiale ristretto da vincoli esterni, anziché producibile ad libitum.

Lavoro e denaro sono strettamente legati l’un l’altro; e non a caso oggi si vuol far credere che la penuria di entrambi esuli dalla volontà di chi ne tiene in pugno le chiavi: banchieri e grandi imprenditori (spesso coincidenti). Ciò poteva avere un senso quando la liquidità era garantita da riserve auree, che assoggettavano alla legge della penuria fisica anche le banconote; ma non vale più oggi che il denaro è sganciato da qualsiasi bene fisico e può quindi essere immesso sul mercato a seconda delle necessità, come farebbe uno Stato degno di questo nome; certo non un banchiere privato, che agisce solo per il suo profitto.

È soprattutto dal 2008 che tutti invocano la crescita del Pil per ridurre il rapporto con esso di debito e deficit pubblici (dati per incomprimibili). A tal fine si esalta la ricerca e l’innovazione tecnologica, che perlopiù privilegiano l’aumento della produttività, ossia della quantità di merci prodotte a parità di addetti; in sostanza sostituendo all’uomo la macchina. E neppure si tiene conto che gli impianti esistenti lavorano ormai da anni ad una frazione della loro capacità. Il problema non è come produrre di più, ossia “crescere”, ma come vendere di più in un mercato saturo, con decrescente potere d’acquisto e con meno possibili acquirenti proprio per la mancata occupazione.

 

Impresa pressoché impossibile, che finora solo l’abbondanza di denaro e di lavoro aveva permesso, in parallelo al lancio di prodotti sempre diversi, rendendo obsoleti sempre più rapidamente quelli esistenti, con ciò stesso innescando però il fenomeno del consumismo e il depauperamento delle materie prime; queste sì soggette alla legge della scarsità.

Come uscire da questa impasse, senza ricadere in un consumismo selvaggio? Tutto fa ritenere che la penuria di denaro sia stata creata ad arte proprio per evitare questa ricaduta, in un disegno di lungo respiro globale, teso a quella sobrietà generale (non di élite!, beninteso) che i politici, assetati di consensi, in democrazia non possono garantire. La parte più difficile, per i think tanks che l’hanno pianificata, è come non creare diffuse sacche di povertà estrema, per il disordine sociale e possibilmente rivoluzionario che ne deriverebbe. Di qui la crescita esponenziale degli espedienti di “sicurezza”, giustificati come lotta al “terrorismo” (termine più vago di “insurrezione armata”, che è il vero terrore delle classi dominanti), delle tecniche di condizionamento mentale attraverso i media, della sistematica invasione della privacy (schedature di massa, redditometro), della schermatura di quanti curano gli interessi dei signori del danaro (BCE, BIS, FMI, BM et sim.) da qualsiasi interferenza della politica e della magistratura.

Insomma, la strategia politica è sfuggita di mano ai politici -che pur si scannano ad ogni tornata elettorale pur di entrare in un parlamento sempre più svuotato di significato- per migrare verso lontani centri studi al servizio di opachi poteri globali, il cui obiettivo finale è, dando per fallito l’esperimento democratico, un mondo meno popolato e più gestibile.

L’eventuale fortuna elettorale di Monti equivarrebbe alla diffusa percezione di questo fallimento e al bisogno istintivo di almeno parte dell’elettorato di un governo “forte”, che lui sarebbe ben felice di offrire, agli ordini dei suddetti signori del denaro e di un’Unione Europea a guida tedesca. L’essere umano cerca da sempre stabilità e sicurezza; e spesso è disposto, in loro nome, a farsi suddito di chi gliele promette.

 

 

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                                20 gennaio 2013

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