L’attività sportiva per la salute: “mens in corpore sano” un esempio: l’antichissimo sport della “palla pugno” o “palla al bracciale”.

Il bracciale di legno

Spettacolo giocondo! /trasvolare dell’aria ampio sentiero/ cuojo greve  ritondo,
/ in cui soffio di vento è prigioniero;/ li precorre leggiero/ il giocatore, mentr’ei ne viene dall’alto;/ e col braccio guernito/ d’orrido legno lo percuote ardito,/ rimbombando lo respinge in alto”

Quale spettacolo sportivo è stato cantato in maniera così appassionata dal poeta Savonese Chiabrera? Doveva trattarsi di un gioco di notevole importanza e diffusione, se era protetto dai granduchi di Toscana e i suoi atleti osannati come i calciatori o i tennisti di oggi, anzi in grado di ispirare i poeti come forse solo i toreri nella poesia spagnola.
Non intendiamo riferirci al solo Chiabrera: “gente quadrata e che nervoso il braccio,/ i piè quasi ha di piume….”ma anche a Giacomo Leopardi: “ te l’echeggiante/arena e il circo, e te ne fremendo appella/ ai fatti illustri al popolar favore, /te rigoglioso dell’età novella/oggi la patria cara/gli antichi esempi a rinnovar prepara”.
Si trattava della Palla al bracciale, giocata da squadre costituite da tre o quattro elementi, rispettivamente se in campi dotati di muro d’appoggio o senza muro, “alla lizza”.

PUBBLICITA’

La palla era formata da otto spicchi di pelle di manzo conciata per un diametro di 39 cm e un peso di circa 300 grammi. Veniva lanciata e percossa con ausilio di un bracciale in legno, generalmente di soro, munito di 7 cerchi da 105 punte a piramide smussata. Nella versione toscana pesava circa 2 kg, uno solo nella variante bracciale piccolo piemontese.
Gioco amato dalle folle sino al delirio, con gli atleti “pallonisti” di professione osannati, portati in trionfo e strapagati: Carlo Didimi “il garzon bennato” di Leopardi, nel 1830 chiedeva per un solo incontro in compenso non inferiore a 600 scudi romani, mentre lo stipendio di un maestro elementare poteva variare da 25 a 60 scudi l’anno.
Cantato dai poeti, il gioco della palla bracciale venne riprodotto nell’ambito delle arti figurative in disegni, affreschi e stampe. La prima raffigurazione compare in un affresco dell’Appartamento dei giochi del castello degli Estensi a Ferrara, databile al 1570-74, attribuito alla bottega del Bastianino.
Una precisa descrizione di una fase saliente del gioco è presentata in un inedito disegno a penna di Luigi Sabatelli (Firenze 1770 Milano 1850). Raffigura l’incontro tra due formazioni di tre elementi ciascuna, con il quarto uomo, il mandarino, che sta per lanciare la palla al battitore appena corso giù dalla pedana, affiancato da spalla e terzino, mentre sul lato opposto del campo tre avversari stanno in fremente attesa. Il forte impatto del nostro gioco nel costume nella vita civile non poteva non determinare anche citazioni nella pittura maiolica.
Segnalo in questa sede un piatto di manifattura di Albissola, del diametro di 34,5 cm con basso piede ad anello, tesa piuttosto ampia. Il campo presenta decoro calligrafico e tappezzeria con elementi vegetali, insetti e uccelli in blu su sfondo azzurrino. Al centro compaiono due figure di bimbi: uno impugna con la mano destra il bracciale mentre con la sinistra si accinge a lanciare la grande palla di cuoio, il secondo tende verso l’alto un arco con freccia, riferimento ad un altro gioco del tempo, il tiro con l’arco verso un bersaglio mobile legato in cima un palo. Il piatto presenta la marca della corona con le iniziali MC riferibile a Melchiorre Conrado.

“Gente quadrata, e che nervoso il braccio, i piè quasi ha di piume” Il gioco della palla al bracciale in una maiolica di Albissola

La palla al bracciale piccolo piemontese evolve successivamente nel pallone elastico, quando il cuoio viene sostituito dalla gomma, dopo la scoperta nel processo di vulcanizzazione, ed il pugno, fasciato con cinghie e bende, può perdere ormai inutile armatura di legno. Oggi è regolamentato dalla Federazione Italiana Palla Pugno. Subisce, a partire dalla fine del XIX secolo l’impatto dei nuovi sports di matrice anglosassone; troverà un ultimo canto del cigno del 1897 con la pubblicazione de Gli azzurri e rossi di Edmondo De Amicis, ma arretra in  un bacino d’utenza compreso tra le Langhe l’entroterra del ponente ligure, sostituito nel richiamo delle folle cittadine da un gioco in cui dieci elementi, utilizzando solo i piedi, cercano di inserire una palla in un grande sacco di diete difeso non dicessimo giocatore cui è consentito usare le mani.

Renato Giusto

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.