L’attacco alla Raggi e la tentazione del partito unico…

L’attacco alla Raggi e la tentazione del partito unico: dal PNF al PND

L’attacco alla Raggi e la tentazione
del partito unico: dal PNF al PND

Mentre l’Italia annaspa in fondo alla classifica dei Paesi più industrializzati, mentre si aspettano i nomi dei responsabili del disastro delle banche, i cittadini vogliono risposte sulla sicurezza e pretendono che  in parlamento si smetta di cincischiare sulla legittima difesa, con le rapine in villa che sono diventate lo sport nazionale di rumeni, albanesi e moldavi in trasferta da noi  e il coprifuoco nelle nostre strade per donne sole non accompagnate, con i terremotati lasciati al freddo e il flusso dell’invasione che non si arresta, cosa campeggia sulle prime pagine dei giornali di regime (tutti) e nelle aperture dei telegiornali (tutti)? i battibecchi dentro il pollaio del Pd e le polizze di Romeo intestate alla Raggi. In questo modo, oscurando le notizie veramente importanti, si nascondono gli effetti del malgoverno, si scredita il movimento Cinque stelle, si afferma l’idea che il Pd non è semplicemente un partito ma è il Partito.


Si finge di interessarsi agli equilibri interni del partito, al congresso sì o no, alle elezioni a giugno – tutti sappiamo che non ci saranno – ma il messaggio subliminale che deve passare è un altro: l’orizzonte della democrazia coincide con l’orizzonte del Pd; il Pd è il partito dell’arco costituzionale, è insieme destra, sinistra e centro, maggioranza e minoranza, governo e opposizione. Le altre formazioni politiche sono anomalie, figlie del populismo, del secessionismo nordista, degli interessi di un monopolista televisivo, tutta roba estranea al gioco democratico di cui prima ci sbarazziamo meglio è, non interlocutori con cui confrontarsi ma disturbatori mal sopportati. La dialettica democratica è tutta interna al Pd, il partito comunista del terzo millennio, il partito unico, il nuovo PNF, il Partito Democratico della Nazione.

Ma intanto bisogna mettere all’angolo il disturbatore più pericoloso, che, sondaggi alla mano, è il movimento fondato da Grillo e Casaleggio. Poi toccherà alla Lega.

Puntuale come una cartella esattoriale è arrivato l’attacco a palle incatenate al movimento Cinque stelle. Il bersaglio rimane, per ora, l’inquilina del Campidoglio, ma c’è da aspettarsi che presto ne seguiranno altri.

L’altra sera, al termine di un telegiornale di regime, sviscerando la questione delle polizze ci si rivolgeva con tono paterno alla Raggi invitandola a dichiarare pubblicamente, lei che è separata e come tale legittimata, deo gratias, a intrattenere rapporti sentimentali con chicchessia, qual è o qual è stata la natura dei suoi rapporti con Romeo. “Se ne è l’amante”, si concludeva, “lo dica, capiremo”. In un Paese come il nostro, con una classe politica corrotta come una mela marcia, ascoltare queste cose è raccapricciante, soprattutto quando a parlare sono giornalisti che non vedono, non sentono e sono affetti da forme devastanti di amnesia (qualcuno si ricorda di Marrazzo?). Un Paese in cui ai vertici delle banche, degli organi di sottogoverno, alla Rai, negli enti previdenziali, ricorrono gli stessi cognomi, gli stessi legami familiari, con l’intreccio delle parentele e dei commerci carnali che compone una fitta rete capace di autoriparare le proprie smagliature. In un Paese così si crea uno scandalo perché ad una carica politica, per un incarico di fiducia, il sindaco ha nominato una persona del suo entourage. A chi avrebbe dovuto chiedere il permesso? o chi avrebbe dovuto suggerirle il nome giusto? Forse il capo della propria segreteria deve essere assunto attraverso un concorso? Tutto ciò quando laddove per legge dovrebbero esserci concorsi e selezioni pubbliche si procede allegramente per chiamata diretta.


 Ma c’è anche lo scandalo dello stipendio. Per quel che so io il centinaio di dirigenti, grazie alla sciagurata legge Bassanini sono todos caballeros, del comune di una città più piccola di una circoscrizione romana si mette in tasca da cento a duecento mila euro l’anno. È una cosa abominevole, della quale nessuno parla, ma tant’è, e allora dov’è lo scandalo per Romeo?

Già; le polizze. Confesso di essere un po’ a disagio nel ruolo che non mi compete di difensore d’ufficio della sindaca di Roma. Se penso che Roma, a parte il suo passato e il patrimonio di memorie e di monumenti, è una delle grandi capitali mondiali nelle quali il sindaco gode di un’autorità di poco inferiore ai capi di stato e di governo e mi pongo davanti la statura – non quella fisica – di Virginia Raggi mi viene da ridere. Ma in questa nostra anoetocrazia, come l’ho chiamata in un mio libretto uscito proprio in questi giorni, la nostra avvocatessa fa la sua bella figura. Veniamo dunque alle polizze. A dar retta alla stampa italiana – tutta, senza eccezioni – la polizza sulla vita contratta da Romeo nella quale è indicata come beneficiaria in caso di morte del contraente sarebbe uno strumento di corruzione. Ma questo non è neppure un modesto cadeau, non è niente di cui il beneficiario possa realmente beneficiare, può solo sperare che il contraente muoia prima di avere il tempo di riscuotere il suo malloppo.


Quelle polizze sono semplicemente una forma di investimento poco redditizio ma sicuro, in cui il contraente, di norma, non è certo mosso dalla prospettiva di lasciare questa valle di lacrime per far felice un beneficiario, che va comunque indicato anche quando, come pare il caso di Romeo, non ci sono persone di famiglia alle quali fare riferimento. Gli stessi giornali hanno fatto passare questi modesti investimenti per operazioni finanziarie imponenti e si sono chiesti: ma chi c’è dietro? da dove vengono i soldi? Guarda un po’ questi manigoldi di grillini quali affari nascondono, roba che al confronto nel giglio magico stavano giocando a rubamazzo. Eppure su questo nulla hanno imbastito un affaire che dura da settimane e ancora non mollano la presa. Lo stesso nulla col quale è stato infangato, perseguitato, politicamente distrutto Berlusconi fra le olgettine e Rubi rubacuori finché non si è trovato un falso in bilancio per la stoccata decisiva, un reato vero, questo, per carità, ma vorrei vedere quanti in Italia, dalla macelleria di quartiere alla piccola azienda che installa condizionatori fino alle grandi multinazionali uscirebbe indenne da chi volesse mettersi con tanto zelo a far loro le pulci.

Gli americani anche in questo hanno fatto scuola. Maestri nella costruzione di dossier, nel fabbricare scandali, non solo a casa loro; cominciarono con Watergate per far fuori Nixon e non hanno più smesso. Ma almeno negli States c’è una pluralità di informazione che qui da noi è una chimera.

   Pier Franco Lisorini

Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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