L’assassinio di Pier Paolo Pasolini

UN PETROLIO ROSSO-SANGUE

UN PETROLIO ROSSO-SANGUE

 
Non è ormai più un mistero che anche l’assassinio di Pier Paolo Pasolini, avvenuto nella notte tra i Santi e i Morti del millenovecentosettantacinque, all’Idroscalo di Ostia,   per mano di “ignoti”, si inscrive – è la parola giusta –  nella trama dei poteri occulti e criminali, tinti di nero (con venature bianche), autori e strateghi della cosiddetta “strategia della tensione”, costata la vita, tra l’altro, a testimoni pericolosi come il giornalista Mauro De Mauro, andato troppo oltre nella sua indagine sullo strano incidente aereo in cui perì l’allora presidente dell’Eni Enrico Mattei.

 

Anche Pasolini era andato troppo oltre nel raccogliere documenti, indizi, testimonianze sull’attentato e sui probabili mandanti, materiale preparatorio del suo annunciato “Romanzo delle stragi”, romanzo profetico quant’altri mai, in cui lo scrittore – come aveva dichiarato, ahimè troppo incautamente, nel suo articolo sul Corriere della Sera del 14/11/1974, un anno prima di quella fatale notte in cui la sua opera fu interrotta per sempre – avrebbe “fatto i nomi” che altri non osavano fare per convenienze, connivenze o compromessi vari, o semplicemante per pavidità. Val la pena riportare i passaggi salienti di  quell’articolo-denuncia: “Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato ‘golpe’ (e che in realtà è una serie di ‘golpe’ istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.

 Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del ‘vertice’ che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di ‘golpe’, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli ‘ignoti’ autori materiali delle stragi più recenti….Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme pezzi disordinati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero….Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.

 A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale….” Naturalmente non asservito a questo o a quel potentato economico o politico, e Pasolini era ormai diventato un intellettuale “scomodo”, “corsaro”, cioè non omologabile (fecero scandalo le sue prese di posizione contro l’aborto, contro la Tv e la scuola dell’obbligo) e del tutto “disorganico”, ma per niente qualunquista, anzi più che mai impegnato nella ricerca di quelle tracce o indizi o fili invisibili che tenevano “insieme pezzi disordinati e frammentari di un intero coerente quadro politico…”, e oggi possiamo aggiungere, con il senno di poi,  “criminale”. Ma quali tracce e quali pericolosi fili  aveva dunque toccato raccogliendo materiali e documenti storici per quella che sarebbe stata la sua ultima “fatica” – è il caso di dire – letteraria, cioè il suo incompiuto, o  inter-rotto e quindi in-finito  Petrolio, che, nelle intenzioni dell’autore, avrebbe dovuto “presentarsi sotto forma di edizione critica di un testo inedito (considerato opera monumentale, un Satyricon moderno)”, proprio come avverrà nel 1992, per le edizioni Einaudi, con una copertina tutta bianca, salvo lo stemma con lo struzzo e il nome dell’autore in nero, e al centro il titolo in rosso?

 
Lo spiegano bene Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza nel loro libro-inchiesta Profondo nero (Chiarelettere, 2009), che riprende la tesi sul movente del delitto da sempre sostenuta da Gianni D’Elia, leggibile ne Il petrolio delle stragi, pubblicato dalle edizioni Effigie nel 2006, che doveva essere aggiunto come postilla a L’eresiaPasolini, sempre di D’Elia, uscito nel 2005: “Un filo nero come il petrolio avvolge la fine di Mattei, De Mauro e Pasolini. E’ quanto afferma, nella sua complessa inchiesta giudiziaria sulla fine di Mattei, il pm Vincenzo Calia, costretto dopo nove anni di indagini a concludere il fascicolo con una richiesta di archiviazione per non aver raccolto prove sufficienti a inchiodare i colpevoli alle loro responsabilità. L’inchiesta è stata dunque archiviata.

 

Ma il gip Fabio Lambertucci, pur chiudendo il caso, non ha potuto non evidenziare ‘il merito indiscusso in chiave di ricerca storiografica dell’indagine condotta dalla Procura di Pavia’. Lo stesso Lambertucci, infatti, ha riconosciuto l’esistenza di una catena inquietante di fatti apparentemente inesplicabili che hanno seguito la morte del presidente dell’Eni, leggendoli come possibili depistaggi, ma in assenza di prove sufficienti ha rilevato che ‘sulla cruciale vicenda della scomparsa di enrico Mattei, potranno d’ora in avanti esercitarsi al più gli storici’”. Così il gip Lambertucci, nel decreto di archiviazione del 17 marzo 2004; ma come si è arrivati a queste deduzioni che confutano del tutto la versione ufficiale del delitto Pasolini costruita sulla testiminianza alquanto inattendibile (e tra l’altro più volte riveduta e corretta) del “reo confesso” Pino Pelosi? Riferisce D’Elia che un coraggioso magistrato pavese, Vincenzo Calia appunto, nell’indagare sull’attentato in cui morì Enrico Mattei, verificò quanto lucida e profetica fosse la visione che lo scrittore aveva dell’Italia di allora, e quanto attendibile  la sua convinzione che il mandante del delitto fosse Eugenio Cefis, successore di Mattei, dopo un brevissimo interregno, alla presidenza dell’Eni; convinzione così poco arbitraria che la si poteva leggere in un libro uscito nel 1972, e subito ritirato dal commercio e dalle biblioteche: Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, di Giorgio Steimetz (pseudonimo di Corrado Ragozzino), e che Pasolini potè leggere in fotocopia (si trova ora al Gabinetto Viesseux). Nel frattempo una mano misteriosa provvide a sottrarre dal  tormentato dattiloscritto di Petrolio il famoso Appunto 21, intitolato “Lampi sull’Eni”, che, secondo la ricostruzione di D’Elia, dall’omicidio di Mattei conduce al regime di Cefis, ai “fondi neri”, alle stragi di Stato, a Tangentopoli, all’Enimont e alla madre di tutte le tangenti. “Il cuore di Petrolio – scrivono a loro volta Lo Bianco e Sandra Rizza – è tutto qui. Nella denuncia  della ramificazione criminale del potere economico in Italia.

Nella scoperta delle origini della strategia della tensione, orchestrata e finanziata dai potentati economici, con un gioco perverso tollerato dai più alti rappresentanti delle istituzioni. Nella consapevolezza della totale manipolazione degli organi di informazione in un Paese che non ha mai conosciuto, e forse non conoscerà mai, una vera libertà di stampa. Nella individuazione di un progetto eversivo, che corre parallelo alla storia repubblicana degli anni Settanta, e che funziona come perenne arma di ricatto, di corruzione, di potere.” E che non è stato certo archiviato: si pensi alla Loggia P2 di Eugenio Cefis, di Licio Gelli, di Umberto Ortolani e al suo piano per trasformare la Repubblica da parlamentare a presidenziale; lo “Stato nello Stato”, lo Stato parallelo e occulto continua la sua trama eversiva puntando sul populismo e sull’impero mediatico dell’affiliato Silvio Berlusconi (tessera P2 n. 1816); il quale, il 29 giugno 1993,  con Marcello Dell’Utri, membro dell’Opus Dei e amico di mafiosi come  Vittorio Mangano e Gaetano Cinà, insieme ad altri professionisti e dirigenti Fininvest,  fonda Forza Italia a Milano, presso lo studio notarile Roveda. E Dell’Utri entra anch’egli, e non come semplice comparsa, in questa tragedia italiana, o “romanzo delle stragi” divenuto realtà storica –  pur senza le caratteristiche del personaggio tragico – e vi entra in quanto bibliofilo e collezionista (per la verità non molto perspicace) di manoscritti rari: si ricorderà l’entusiasmo con cui, quattro anni or sono, annunciò di essere venuto in possesso dei diari originali di Benito Mussolini, rivelatisi poi falsi in seguito a  un  accurata disamina filologica del professor Luciano Canfora. Ma come entra Dell’Utri nell’ipertesto romanzesco e giudiziario che  ancora si sta scrivendo sull’”edizione critica di un testo inedito”, poi edito con il titolo Petrolio stampato in  rosso su campo bianco? Nel marzo dell’anno scorso Dell’Utri ebbe a dichiarare, in un’intervista a Il Tempo, di poter recuperare “Lampi sull’Eni”, il capitolo scomparso, fondamentale perché lì si trova la chiave interpretativa delle allegorie, delle “visioni” e dei riferimenti alle vicende e alle persone reali – le “persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari…” (non sfugga l’acutezza e la precisione  della diagnosi!) – a cui lo scrittore  allude sotto altri nomi (Troya, ad esempio, sta per Cefis, Carlo per Mattei) in un testo di non facile lettura, anche perché in divenire. 

La cosa poi non ebbe seguito in quanto il non meglio identificato possessore del prezioso dattiloscritto, così come si era materializzato, si smaterializzò. Dell’Utri afferma di averlo solo sfogliato quel tanto che basta per vedere che si trattava di uno scritto “inquietante per l’Eni” e che vi comparivano i nomi di Cefis e di Mattei legati alla storia del nostro Paese e al ruolo di Mattei, ha definito “un giallo” la scompara del manoscritto, e ha ipotizzato che fosse stato rubato  dallo studio di Pasolini, senza specificare in base a quali indizi. Se si considera che anche la scomparsa di Mauro De Mauro è collegata a quello che poteva aver scoperto, o meglio, che non si doveva proprio scoprire, sul caso Mattei, ce n’è abbastanza perché il senatore del Pdl Dell’Utri, già condannato in primo grado e in Appello per concorso esterno in associazione mafiosa,  venisse sentito come teste d’eccezione dal procuratore aggiunto Ingroia e dal sostituto Demontis che dal 2005 indagano sulla morte del giornalista de L’Ora, in  procura a Palermo, pochi giorni fa. No, decisamente il “romanzo delle stragi” non è concluso, e l’opera di Pasolini è oggi più che mai un’opera aperta.

FULVIO SGUERSO

 

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