L’aiutino di Berlusconi e la strategia della tensione …

L’aiutino di Berlusconi e la strategia della tensione per mantenere in vita la sinistra
E per rendere inutile il voto

L’aiutino di Berlusconi e la strategia della tensione
per mantenere in vita la sinistra
E per rendere inutile il voto

 Ora che siamo, come si diceva una volta, alle porte coi sassi e la legislatura è finalmente arrivata alla sua fine naturale, innaturalmente tenuta in vita dopo l’esito del referendum, assistiamo ai prevedibili colpi di coda del serpente agonizzante. Consapevoli che il Pd e la sinistra sarebbero naufragati sugli scogli dell’invasione, degli scandali bancari, del servilismo verso Bruxelles e il quarto Reich, posti di fronte all’evidenza che il castello delle loro menzogne avrebbe travolto non solo Renzi ma anche il suo grigio sostituto, i cosiddetti poteri forti interni e internazionali hanno cercato di limitare i danni elaborando scenari in cui l’inevitabile cambio della guardia lasciasse intatto il sistema. La mossa più clamorosa e più efficace è stata quella di rimettere in corsa Berlusconi con due obiettivi precisi: legare a sé la Lega e tenerla a bada impedendo una saldatura dei “populismi” e ridimensionare l’affermazione elettorale del centrodestra per non schiacciare la sinistra


La nostra democrazia stracciona si è risolta per un ventennio nella faida privata fra due miliardari al vertice di imperi economici e finanziari aleatori e dalle radici assai poco profonde Le alterne vicende di questa faida e dei suoi risvolti politico-giudiziari hanno visto Berlusconi prima vittorioso, poi sconfitto, poi di nuovo vittorioso e infine, fuori dai giochi; da una parte oggetto di una persecuzione giudiziaria senza precedenti, colpito e affondato da una congiura coordinata dal Capo dello Stato e orchestrata in Germania ma dall’altra messo in condizione di consolidare la sua fortuna imprenditoriale in modo inversamente proporzionale al tracollo politico. Col senno del poi possiamo tranquillamente riconoscere che Berlusconi non era l’alternativa al sistema di potere della sinistra ma ne faceva parte, e, con un po’ di amarezza, ammettere che il suo era un anticomunismo di facciata, il trucco di un uomo di spettacolo che sa cogliere e utilizza a proprio vantaggio gli umori del pubblico. Ora che il potere e l’influenza internazionale del suo vero competitor si sono afflosciati i salotti buoni non lo schifano più e persino l’ultimo superstite del grande giornalismo italiano si rivolta contro il suo datore di lavoro e sotterra l’ascia di guerra agitata per quattro lustri contro il Cavaliere. Perché è lui l’uomo che, comunque vadano le elezioni, garantirà che niente in questo Paese cambi davvero.


Ma perché l’uomo di Arcore possa compiere la sua missione bisogna che qualcosa del Pd e della sinistra resti in piedi. Allora bisogna che il centrodestra vinca ma non stravinca, perché se stravince il peso di Salvini diventa determinante e il sistema rischia davvero di essere rovesciato. Ecco  il senso delle uscite, altrimenti incomprensibili, del Cavaliere: la flat tax che dà fiato e buoni argomenti ai compagni, che non ne hanno altri; le pensioni sociali a 1000 euro, un miraggio per centinaia di migliaia di giovani lavoratori, la pensione, o lo stipendio, non si è capito bene, alle casalinghe, alla faccia delle mogli degli operai che si rompono la schiena per pulire le scale nei condomini, l’apertura ai voltagabbana pentiti e, colpo finale, l’ospitalità concessa ai furbastri, o ladruncoli, espulsi dal movimento di Grillo sciocchezze che faranno guadagnare un voto ma ne faranno perdere dieci e intanto raffreddano il consenso ad una coalizione lanciata verso un’affermazione travolgente. Ma al di là della zavorra inserita in un programma che avrebbe dovuto puntare essenzialmente sull’invasione, ciò che rivela più scopertamente la mission di Berlusconi è il continuo, martellante attacco ai Cinquestelle e l’assenza di qualsiasi bordata contro la sinistra, che pure è una nave semiaffondata e vulnerabile da tutte le parti.


Se la presenza di Berlusconi è la migliore garanzia per Bruxelles, per la Germania – la Francia non conta nulla – e, in casa nostra, per il sistema di potere del Pd, non per questo la sinistra rinuncia alle sue armi tradizionali: l’intimidazione e la strategia della tensione. Non può ricorrere alla piazza, che non risponde più, né alla magistratura, di cui sta perdendo il controllo: gli restano i centri sociali e l’antifascismo. Sul quale è veramente triste che si sia giocato la residua credibilità il Capo dello Stato, sceso al livello di un tribuncello di periferia. L’antifascismo è un non sense, un’idiozia e un paradosso: anche se, finalmente abrogate le norme transitorie della Costituzione, ci fosse, e non c’è, un partito che assumesse il nome di Partito fascista, nazionale o repubblicano secondo i gusti, o una formazione che si appropriasse del nome dei Fasci di combattimento, nemmeno in questo caso sarebbe giustificato l’antifascismo, che è morto e sepolto insieme al fascismo, quello vero, che ha combattuto: sono il passato, sono materia di studio, non esiste evocatore di demoni che possa resuscitarli. I partiti, qualunque nome assumano, nascono nel presente per il presente e vanno sostenuti o avversati per il loro programma.

Ma il problema non si pone: non ci sono partiti che prendono il nome in prestito dal passato; succede invece che a destra non solo si è esposti alla minaccia continua della canaglia dei centri sociali, degli antagonisti, dei collettivi studenteschi pilotati dal Pd ma non possono operare formazioni estranee al sistema di cui gli avanzi del Msi sono parte integrante. In una vera democrazia Casa Pound e Forza Nuova, che soltanto un paranoico completamente fuori di testa può considerare un pericolo, sarebbero considerate associazioni al pari di altre, con programmi che in niente collidono con la morale, con l’ordine costituito, col senso comune, semplicemente in cerca di un minimo di visibilità da acquisire affiggendo manifesti, tenendo incontri o con manifestazioni autorizzate e pacifiche. Una visibilità che tutti, compresi gli avanzi del vecchio Msi, cercano di impedire, con l’unico risultato che tanti si convincono che sono quelle le uniche forze credibili di opposizione al sistema.

    Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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