LA VERITA’ CI FA MALE

No, questa volta non mi riferisco al quotidiano di propaganda putiniana, no vax e antigovernativa “a prescindere” di Maurizio Belpietro e Francesco Borgonovo, ma proprio alla verità intesa come ciò che corrisponde esattamente a una determinata realtà, a determinate esperienze vissute o sofferte in prima persona o attestate da testimonianze documentate e suffragate da prove certe. Sennonché, “aqui està el busilis; Dios nos valga!”, direbbe il manzoniano cancelliere Antonio Ferrer se tornasse tra noi: chi ci dice infatti che i testimoni oculari siano attendibili? Che le documentazioni fotografiche non siano taroccate e i filmati non siano pura fiction?

Chi può mettere la mano sul fuoco sulla veridicità dei vari reportage dei giornalisti di tutto il mondo che operano sul campo (il fatto che siano lì anche a rischio della vita non è che un dettaglio)? Per chi lavorano costoro se non per il padrone d’oltreoceano? E come si fa a parlare tanto dei presunti crimini di guerra dell’esercito russo e a tacere sui crimini di parte ucraina? Forse che il male sta da una parte sola? Quanto alla propaganda di guerra, la praticano soltanto i russi? Gli ucraini dicono forse solo la verità? Non sarà che a noi arrivi solo la versione ucraina dei fatti, come nel caso dell’eccidio di Bucha? Possibile che i mass media occidentali siano tutti (o quasi) dalla parte dell’Ucraina? Non sarà che obbediscano tutti (o quasi) allo zio Sam? E siamo poi sicuri che sia stato Putin ad aggredire l’Ucraina e non viceversa tramite la Nato? Quando i media occidentali accusano i media russi di fare solo propaganda che cosa pensano di fare se non propaganda antirusssa? Questi sono i dubbi e le domande dei cosiddetti “complessisti” e dei putiniani italiani dichiarati. Quanto alla complessità a cui si appellano, voglio credere in buona fede, fior di intellettuali come Alessandro Barbero, Donatella Di Cesare, Moni Ovadia e la nuova star televisiva Alessandro Orsini sono del parere che non vada liquidata sic et simpliciter come propaganda filorussa, la complessità è una cosa seria e guai a non tenerne conto nel cercare di capire quello che sta succedendo.

Alessandro Barbero, Donatella Di Cesare, Moni Ovadia e Alessandro Orsini

Come scrive Massimiliano Panarari su L’Espresso del 15 maggio 2022: “C’è, dunque, fortemente bisogno di categorie per descrivere e analizzare la complessità, la quale si colloca all’antitesi del populismo e del sovranismo, fenomeni politici basati sul semplicismo e sul riduzionismo, e intenti a sfoderare poco più che degli slogan di fronte a problemi per l’appunto assai complessi. Ma proprio per questo l’invocazione della complessità per motivare l’equidistanza tra Ucraina e Russia da parte di tanti è irricevibile. E si traduce in un giustificazionismo di Putin utile solo per una certa (pseudo)sinistra populista e neneista – dove si affollano opinionisti e imprenditori politici vecchi e nuovi – alla ricerca di spazio mediatico ed elettorale. Con l’effetto di rendere un pessimo servizio all’idea autentica della complessità”. Che non significa avere tutti ugualmente torto o ugualmente ragione, non saper decidere da che parte stare, guardare questi tragici avvenimenti dall’alto di una torre d’avorio ma prendere atto che la pace non scende dal cielo e che non lo si può raggiungere senza combattere.

Diverso è ancora il caso di chi ha scelto di stare dalla parte di Putin; eh sì, perché, anche se può sembrare strano, ci sono italiani nostalgici dell’Unione Sovietica e italiani antisistema e convinti no vax che, in odio a Draghi e a questo nostro strano e traballante establishment, sperano nella vittoria di Putin contro l’Occidente, quindi pure contro l’Italia, atteso che siamo in Europa e quindi anche noi occidentali. Certo è che questa polarizzazione tra “guerrafondai” e “pacifisti” rappresenta un’ennesima guerra civile virtuale tra italiani proprio in un frangente in cui sarebbe necessaria la massima unità tra istituzioni e popolo; ma, a quanto pare, noi italiani siamo fatti così: individualisti e bastian contrari, ciascuno convinto di essere nel giusto e caratterialmente incapaci di ascoltare le ragioni del prossimo. A sincerarsene basti guardare lo spettacolo offerto dai “dibattiti” televisivi: “Nei talk show televisivi, seguendo il fortunato schema collaudato nella pandemia, si invitano voci dissonanti, divergenti, fuori dal coro per preservare lo spirito democratico del dibattito. L’audience, come sanno bene i conduttori, in questi casi ci guadagna significativamente. Prima era il turno dei no vax con le loro con le loro variopinte casacche a difendere con vigore i diritti calpestati dal nuovo regime total-sanitario che approfittando della pseudo-pandemia avrebbe ristretto in modo abusivo le nostre libertà individuali costringendo milioni di persone a sottoporsi ad una vaccinazione con un siero non ben identificato , ma, alla lunga, molto probabilmente più letale del male che intendeva contrastare.

Ora è il turno della guerra in Ucraina. Eppure la postura resta sempre la stessa: al centro è lo stesso pensiero anti-sistema e negazionista. Il populismo no vax si trasfigura così in quello dell’equidistanza se non dell’aperta difesa di Putin, vittima della maligna avidità dell’Occidente. Insomma, dovremmo fare attenzione alla contraffazione della verità che, attraverso la spudorata manipolazione dei media. La riduce a mera propaganda guerrafondaia che difende gli interessi americani, una Europa corrotta e incapace, l’élite finanziaria, l’oligarchia del governo Draghi , il tradimento del popolo, ecc.Di fatto sarebbero in corso due guerre distinte: quella che gli eserciti combattono sul campo e quella del conflitto delle interpretazioni. Seguendo il fortunato slogan secondo il quale la prima vittima di ogni guerra è la verità – i fatti sono resi irriconoscibili dalla propaganda – sarebbe solo grazie alla nobile figura del dubbio e della raccolta necessaria e paziente delle prove che si riuscirebbe a ricostruire una verità sfuggente. Ma l’effetto di questo atteggiamento è che l’evidenza viene annullata in una girandola di discorsi che finisce per annullare la responsabilità mescidandole in una sola indistinta poltiglia.

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Non a caso la nozione di “complessità” gioca un ruolo retorico cruciale in questa battaglia in questa battaglia delle interpretazioni. Il rinvio del giudizio, la ricostruzione storica, l’equidistanza necessaria, l’attribuzione di eguali responsabilità dei due contendenti (Nato e Putin; Russia e Ucraina) getta, in realtà, sabbia negli occhi. Ma gli occhi di Edith Bruck, che hanno già visto l’orrore, non hanno affatto bisogno della nobile arte del dubbio, non servono a lei ulteriori prove per riconoscere un crimine di guerra. Se un regime, come quello russo, occulta sistematicamente da più di vent’anni la verità, reprime il dissenso, abolisce ogni forma di democrazia, uccide e avvelena gli oppositori, coltiva il sogno della Russia come il baluardo nei confronti della democrazia, scatena una guerra nel cuore dell’Europa, bombarda le città, uccide i civili inermi, è davvero necessario sollevare dubbi, perplessità, interrogativi sul massacro di Bucha e agli altri che purtroppo ne seguiranno? Nel nome di quale concezione astratta della verità? Non sono sufficienti le testimonianze, le immagini, i racconti dal fronte? Ma, direbbero i preoccupati per la difesa a oltranza della verità, alcuni dettagli non tornano, alcuni elementi restano contraddittori, non tutto quadra, bisogna fare attenzione. ‘Anime belle del cazzo’, risponderebbe loro Pasolini…” (Massimo Recalcati, su La Stampa dell’11 maggio 2022). Così come anche Primo Levi, Marc Bloch, Leone Ginzburg, Edith Stein, Hannah Arendt, Don Milani (se non con le stesse parole con il medesimo concetto).

Fulvio Sguerso

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