LA TRAGEDIA DELL’ILVA DI TARANTO

LA TRAGEDIA
DELL’ILVA DI TARANTO

LA TRAGEDIA DELL’ILVA DI TARANTO

L’occupazione, di fatto, di un grande stabilimento come quello dell’ILVA di Taranto ci riporta di colpo indietro nel tempo (per i savonesi, poi, sotto questo aspetto la denominazione dell’impianto suscita poi ricordi molto particolari e precisi).

 Ci riporta agli anni ’50: alla lotta dura per l’occupazione, nel momento della riconversione dell’industria bellica, delle scelte decisive per l’avvenire del Paese e della Comunità Europea, di una feroce repressione poliziesca ed intere Città si schieravano con gli operai, senza distinzioni di ceto, professione, condizione economica.

Lo scenario sembra ripetersi, in un contesto tutto diverso: questa volta l’occupazione avviene a causa di un conflitto tra salute e lavoro che si trascina da troppo tempo e che, in realtà, sottende un conflitto tra giganteschi profitti accumulati a danno dei cittadini, imponendo loro tragiche condizioni di vita (pensiamo, per fare paragoni ancora vicini a noi all’ACNA e a Cornigliano) e -in misura addirittura tripla – dei lavoratori, sfruttati in quanto tali, posti nella situazione di lavorare in condizioni massacranti dal punto di vista della salute e colpiti – come cittadini – dalla tragedia ambientale.

Difficile, in questa situazione, mantenere equilibrio e coscienza di classe: ma è ciò che, ancora una volta, occorre fare anche se può apparire cosa d’altri tempi.

Lottare fino in fondo per la propria condizione materiale, comprendendo che è il profitto e non il lavoro il colpevole, il vero assassino, in queste tragiche vicende.
 
Nel corso di questi anni, come stiamo verificando per via delle vicende giudiziarie, c’è stata una copertura di tipo delinquenziale da parte dell’azienda ed un silenzio assordante da parte delle istituzioni: questo è avvenuto in una Regione nella quale il Presidente vanta primati raggiunti nel campo della compatibilità ambientale.

 Sarebbe meglio che interrogasse la propria coscienza e il vuoto di iniziativa che si è verificata attorno a questa tragica vicenda, evitando di usare parole auliche del tutto fuori luogo dentro ad un contesto di questo tipo, ma assumendosi fino in fondo le proprie responsabilità, fin qui clamorosamente mancate.

Eguale responsabilità tocca ai sindacati, come sempre esitanti e incapaci di cogliere i nessi veri di questa vicende, delle quali – a Taranto come abbiamo già avuto occasione di osservare in altre situazioni – tocca ai cittadini, alla loro spontaneità nell’organizzarsi farsi carico fino in fondo, pagando sulla propria pelle in termini di salute collettiva e in termini economici.

Ripetiamo, però, infine: il conflitto tra ambiente e lavoro, in questo caso portato al massimo dell’esasperazione, è un conflitto “falso” il cui “cuore” è, come sempre, rappresentato dalla ricerca dello sfruttamento, dell’uomo, dell’ambiente, della natura stessa delle relazioni sociali.

La nostra solidarietà ai lavoratori dell’ILVA di Taranto si accompagna all’indicazione precisa di una responsabilità di fondo: quella del Moloch del profitto.

La storia va avanti, ma impressionantemente si ripete.

 
 
Patrizia Turchi e Franco Astengo

da 

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