La taglia sui terreni agricoli

La taglia sui terreni agricoli
Tanti anni fa i contadini pagavano “la taglia”, cioè una tassa, un tributo, relativo al possesso e al relativo sfruttamento di un pezzo di terra, di bosco, di frutteto

La taglia sui terreni agricoli

Tanti anni fa i contadini pagavano “la taglia”, cioè una tassa, un tributo, relativo al possesso e al relativo sfruttamento di un pezzo di terra, di bosco, di frutteto.

Ci siamo aggiornati, con la consapevolezza che l’agricoltura è fondamentale e pure ardua, lo Stato ha previsto di imporre i suoi tributi in maniera non così diffusa, applicando certe norme a chi è agricoltore o imprenditore agricolo (c’è differenza…) e chi non lo è, ma detiene terreni agricoli.

Intendiamoci ancora su una cosa: che un terreno sia o meno agricolo, e che questo terreno abbia o meno un resa, lo stabiliscono il comune e il catasto, affibbiando al lotto di terreno una qualifica precisa. L’amministratore pubblico non fa poi tante differenze: un ettaro nella piana d’Albenga, sulle colline di Montepulciano o in Alta Valle Bormida è pur sempre terreno. Diversa la valutazione, senz’altro. Però sono essenzialmente la stessa cosa: terra.


Naturalmente non è così: è tale e tanta la differenza tra le varie realtà che non si possono neppure paragonare.

Allo stesso modo chi fa l’agricoltore (iscritto ai “coltivatori diretti”, si dice in gergo) o chi possiede un’azienda agricola, viene spesso equiparato, salvo nelle aliquote di tassazione o di possibilità di accesso a fondi e sostegno per l’agricoltura.

Insomma, vorrei semplificare, e dire che l’agricoltura è tanto complessa e variegata quanto lo è la nostra bella terra, ornata di costiere, fiumi, ruscelli, boschi, pianure, dirupi, esposti o meno, fertili o meno.

La legge per sua natura unifica, tende a fare eguali tra chi non è eguale. Si sforza di farlo. E solo se chi fa la legge ha un’alta considerazione dell’oggetto della legge, una profonda conoscenza della nazione su cui la legge insiste, delle relazioni, dei soggetti, delle consuetudini, abitudini, preferenze, trasformazioni, convenienze di un popolo, può immaginare di fare delle leggi, le meno dannose possibile.

Tutta la premessa serve per introdurre l’ultima pensata dei legiferatori: la taglia sui terreni agricoli, altrove detta IMU. Mi sento chiamato in causa, perché ho ereditato alcuni ettari di terra e di bosco da mio padre, in un paese della collina savonese.

Per tenere vagamente in ordine una parte di queste terre e sottrarle al bosco sempre più invadente, spendo soldi, senza averne nessun vantaggio. Regalo il poco fieno che ancora vegeta spontaneo ad un vicino che accetta, solo perché i miei campi sono in piano e adiacenti ad una strada asfaltata. I campi più remoti sono già stati fagocitati dal bosco.

Faccio un orto. Sette, ottocento metri quadrati di erbacce, frammiste a verzure stente (erbacce e verzure stente sono conseguenza della mia pigrizia, non altro). Per coltivare quel piccolo orto spendo soldi, tanti da bastare per comprare tre volte la verdura che produco. Lo faccio per soddisfazione, perché l’ho sempre visto fare, per avere qualcosa di cui parlare con mio fratello, con i vicini, per non perdere il contatto con la terra.


 Molti miei amici sono così: figli di contadini, senza esserlo. Né imprenditori, né coltivatori diretti. Agricoltura famigliare, credo che si chiami. Consumo casalingo, ecco tutto. Sconveniente economicamente.

A quel funzionario o politico che ha pensato di mettere la taglia sui terreni agricoli non ho niente da dire. Se non ci è arrivato da solo, se non sa queste cose di suo, non c’è possibilità che io gliele possa mai far capire. Io so che egli, chiunque esso sia, fa le leggi con la riga e il compasso, tracciando linee su un territorio fatto di dossi e ruscelli irregolari, e mi sembra proprio faccia parte di una classe di burocrati che vogliono imporre la misura degli zucchini, il peso di un uovo, la forma di un formaggio, la lunghezza di un salame, forse domani il colore “corretto” di un tramonto, o gli occhi di un bambino. E tutto questo mi rattrista molto, e mi lascia senza parole.

Immagino quali frutti porterà l’introduzione di questa taglia: i terreni agricoli non di proprietà degli agricoltori (in Val Bormida e su tutto l’Appennino è pieno) saranno deprezzati ulteriormente (chi vuole un pezzo di terra faticosa, su cui è pure imposta una tassa?). Nei paesi più piccoli saranno abbandonati completamente, e il bosco se li mangerà, bevendosi l’acqua delle falde acquifere, riducendo ancora la poca terra fertile. Nei paesi più grandi, in fondovalle, gli amministratori locali si chiederanno come rispondere alle molte lamentele per questa taglia tanto ingiusta. I buoni sindaci, in accordo con i buoni geometri, architetti e ingegneri, proporranno varianti al piano regolatore, per trasformare lotti di terreno agricolo in terreno edificabile, in modo che, pur pagandoci le tasse, possa diventare terreno appetibile per le solite stramaledette speculazioni edilizie: un oasi nel verde a solo dieci minuti dal centro.

E mi dispiace anche stavolta vedere la promulgazione di leggi e regolamenti lontani dai cittadini, lontani dalla vita che pure scorre ancora, sempre più affaticata e svogliata, nelle vene di questo Paese.

E se qualcuno dice che sono un pessimista rispondo si, lo sono. E vorrei tanto essere smentito dai fatti.

ALESSANDRO MARENCO

 

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